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Il 7 Novembre nella Russia degli oligarchi

Ormai da tempo, dopo la fine dell'Urss, quasi soltanto le organizzazioni e i partiti comunisti festeggiano in Russia, con manifestazioni  pubbliche, la data del 7 Novembre, anniversario della Rivoluzione d'Ottobre. A livello istituzionale, dal 1995 il 7 novembre è la Festa della gloria militare, in ricordo della parata del 7 novembre 1941 sulla Piazza Rossa, da cui le truppe andarono direttamente al fronte. Nel 1996 la data fu ridenominata “Festa dell'accordo e della conciliazione”, finché, nel 2005, divenne giorno lavorativo e al suo posto si iniziò a festeggiare il 4 novembre, come Giornata dell'unità nazionale, in ricordo del 1612, quando le milizie del popolo, guidate dal principe Dmitrij Požarskij e dallo starosta Kuzmà Minin, liberarono Mosca dalle truppe polacco-lituane della Reç Pospolita, che da due anni occupavano il Cremlino. La leggenda parla di unità di popolo, forgiatasi in quella lotta indipendentemente da origini, fede e condizioni sociali. Molto più prosaicamente, è assodato come la data del 4 novembre, proposta nel 2004 dal Consiglio interreligioso di Russia, sia stata prontamente introdotta l'anno successivo dai vertici politici per offuscare la tradizionale ricorrenza del 7 Novembre, tuttora legata tra la popolazione alla rivoluzione socialista. 

Quest'anno, secondo i sondaggi del VTsIOM, l'opinione dei russi a proposito di una reale unità di popolo si è divisa a metà: il 44% degli intervistati crede nell'esistenza di tale unità, ma altrettanti la negano (nel 2015 le cifre erano rispettivamente del 54 e 35%). Al primo gruppo appartengono, tra gli altri, coloro che (16%) sottolineano la pacifica coesistenza di nazionalità ed etnie diverse. Al secondo, coloro che (26%) evidenziano come si miri soprattutto agli interessi personali e coloro che (16%) rimarcano il basso livello di vita e la diseguaglianza sociale.

La rivista teorica del PCFR, Političeskoe Prosveščenie riporta le opinioni di alcuni economisti, secondo cui la Russia deve prepararsi ad almeno 15 o 20 anni di caduta economica, o quantomeno di stagnazione, con vertiginosa crescita dei prezzi, riduzione di stipendi e aumento della disoccupazione. Se l'Accademia economica rileva una riduzione dei redditi del 6% nell'ultimo quadrimestre rispetto allo scorso anno – un calo che non si registrava dal 1999 – il Ministero per lo sviluppo economico prevede una crescita del PIL molto bassa per i prossimi 20 anni. I redditi reali saliranno appena dell’1,4% annuo; l'export crescerà di un 2% annuo, l’import del 4%. Ci sono anche due diversi scenari: uno più tetro, con i prezzi del petrolio fermi per venti anni a 40 $ e un altro basato su un modello fatto di investimenti, per cui potrebbe aversi una crescita economica del 4% annuo già nel 2019. Lo stesso Ministero delle finanze prevede una crescita annua del PIL dell’1,5% fino al 2030, in mancanza di riforme strutturali. Vale a dire, nota Političeskoe Prosveščenie, lo stato non si porrà alcun obiettivo di pianificazione economica: non si parla di volume d’investimenti, di politica della Banca centrale, di programmazione da parte dello stesso Ministero per lo sviluppo economico, di una strategia complessiva, di priorità di sviluppo. Insomma, si disegna un quadro in cui le condizioni economiche attuali poco cambieranno o addirittura, per la stragrande maggioranza dei russi, peggioreranno. Se la stessa vice premier, Olga Golodets, parla di oltre 5 milioni di lavoratori con salario pari al minimo di sopravvivenza e le stime ufficiose indicano oltre due terzi di lavoratori con salari di 15mila rubli al mese, è chiaro che poco o nulla è cambiato rispetto alla politica delle privatizzazioni e della “terapia shock” degli anni '90, condotta dai vari Gajdar, Čubajs Javlinskij, Nemtsov e volta a creare una classe di miliardari, con l'1% delle famiglie che possiede il 71% della ricchezza e con un rapporto tra i redditi del 10% di popolazione benestante e il 10% di lavoratori peggio pagati passato da 3 nel 1991 a 30-40 volte intorno al 2000 e stabilizzatosi poi intorno alle 26 volte, a partire dal 2003.

Parlare quindi di Festa dell'unità nazionale pare quantomeno azzardato. Il leader del PCFR, Gennadij Zjuganov, ha ricordato come la Rivoluzione d'Ottobre abbia consentito, “dopo il crollo di un paese enorme, di riunirlo su principi basati sul rispetto dei lavoratori, amicizia tra i popoli, giustizia, umanesimo e istruzione di alta qualità”. Oggi, ha detto Zjuganov, sono comparsi di nuovo quei liberali che dopo la rivoluzione del febbraio 1917 servivano gli interessi delle banche francesi e inglesi; oggi essi se ne irridono della “storia sovietica e non sono capaci d'altro che di ruberie, svendite e distruzioni. Credo che l'unità sia solida soltanto sulla base del lavoro, della giustizia, dell'umanesimo e dell'amicizia tra i popoli. E non sulla base dell'oligarchia, dell'accumulazione di capitali e l'ulteriore saccheggio del nostro paese”.

Rot Front ricorda come, all'apparire della nuova festa del 4 novembre, molti la definissero “festa del fascista”, per come fu accolta dai gruppi nazionalisti, per come in essa si possano tutt'oggi ritrovare monarchici, xenofobi e nazionalisti. E, all'inizio, il governo accolse le sfilate dei gruppi in camicia nera che, a dirla tutta, ancora un paio d'anni fa sfilavano coi cartelli inneggianti allo zar Nicola II. Oggi il governo, scrive Rot Front, è passato a mezzi più “popolari” per oscurare la ricorrenza del 7 Novembre: concerti, spettacoli, inaugurazioni, mostre, un migliaio d’iniziative concentrate il 4 novembre. E tuttavia, a livello popolare, non è una ricorrenza sentita: non si lavora, punto e basta. L'unità nazionale si misura nell'immiserimento del popolo, continua Rot Front, con le principali banche che, “se avevano accumulato 192 miliardi di rubli in tutto il 2015, nei primi nove mesi del 2016 ne hanno raccolti 635 di miliardi, con il governo che investe 230 miliardi in un unico progetto faraonico (il ponte sullo stretto di Kerč) appaltato all'impresa di Arkadij Rotenberg, ma appena 200 miliardi totali nei dieci progetti prioritari per il 2017, comprese istruzione e sanità: è questa l'unità tra rapinatori e rapinati”.

Secondo il Partito Comunista Operaio Russo, l'unità della nazione è data dal raggiungimento degli “obiettivi realizzati a suo tempo dal potere socialista: piena occupazione, istruzione e assistenza medica gratuite, uso sociale delle conquiste di scienza e cultura, alloggi, trasporti e servizi municipali pressoché gratuiti, soddisfazione dei bisogni materiali e spirituali fondamentali, il tutto scaturente dalla proprietà sociale dei mezzi di produzione, dall’organizzazione pianificata della produzione direttamente sociale”. Oggi, la borghesia, cercando di “rafforzare il proprio dominio, aumenta l'offensiva contro la classe operaia e il popolo impoverito. La loro arma ideologica è rappresentata dalle teorie neo-liberali e social-democratiche di partenariato sociale, collaborazione di classe, pace civile, con accesi nazionalismo e clericalismo mascherati da patriottismo e popolarismo”.

Rot Front riassume inoltre una tavola rotonda su "Stalin come punto di discordia o di unione della società", organizzata di recente dal Partito della Grande Patria, che osanna ogni atto presidenziale in contrapposizione agli atti di Governo e Duma. Il PGP sembra promuovere “l'idea per cui Stalin sarebbe l'uomo attorno al quale ci si possa e debba unire per affrontare l'aggressione anti-russa dei nemici esterni e interni”.
“I comunisti devono anzi dimostrare che non si può unire la società, dal momento che essa è divisa in classi contrapposte (capitalisti e lavoratori salariati) ed è grande la disparità tra queste classi. Ricchi e poveri, sfruttatori e sfruttati, oppressori e oppressi: tra queste classi non può esserci unità” afferma il VKPB di Nina Andreeva​.
Il governo russo sta da tempo promuovendo l'idea del ripristino della concordia nazionale, dopo “le ferite della Rivoluzione d'Ottobre”. Al “Centro Eltsin” si parla di riabilitare i seguaci di Andrej Vlasov che, dopo il 1942, combatterono dalla parte dei nazisti nel cosiddetto Esercito di liberazione russo e anche i cosacchi di Pёtr Krasnov, quegli stessi che guerreggiarono contro il giovane Esercito Rosso durante la guerra civile e da cui provenivano poi alcuni reparti impiegati dai nazisti in Friuli e in Jugoslavia in rastrellamenti antipartigiani. Si tenta di inaugurare targhe e busti alla memoria dei generali bianchi, primi tra tutti Vrangel e Kolčak e si invitano in Russia i discendenti della dinastia dei Romanov, il cui ultimo esponente è conosciuto col nome di “Nicola il sanguinario”.

Ieri, l’ex procuratore della Crimea, ora deputata della Duma, Natalja Poklonskaja, non ha trovato nulla di meglio che approcciarsi alla festa del 4 novembre definendo "tiranni del XX secolo, insieme a Hitler, anche Lenin, Trotskij, e Mao”. Tutto, per l'unità e la concordia della Russia. Oggi si festeggia, si canta e si balla per le vie di Mosca sotto lo sguardo vigile della gigantografia dello zar Alessandro III, quello che fece impiccare il gruppo di narodniki col fratello di Lenin, Aleksandr. E si inaugura il monumento al Gran principe Vladimir, il cristianizzatore della Russia nel 988, con l'autore della scultura, Salavat Ščerbakov, che dichiara alla BBC di credere in “quei valori che esistevano prima dei bolscevichi ed estranei alla Russia” e di cui oggi il paese “si è liberato”.

 

Fabrizio Poggi

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