Al vertice Nato a Bruxelles, a livello di Ministri degli esteri, tre sono stati i temi principali: aumento delle spese per la difesa, lotta al terrorismo e approccio verso la Russia. Poco o nulla di nuovo, sia sulle questioni, che sulle “soluzioni” proposte: gli alleati europei devono accollarsi un peso maggiore nel finanziamento della Nato, arrivando al 2% del PIL, ha ordinato il Segretario di stato USA, Rex Tillerson, cui i Ministri europei hanno risposto in ordine sparso.
Agli estremi: al “Obbedisco; anzi, mi sono già portato avanti nel programma” di Angelino Alfano, si è contrapposto il “Unrealistisch” del tedesco Sigmar Gabriel. Riguardo ai programmi Nato verso est, Tillerson non ha smentito la sua fama, sbandierata da tutti media italiani, di “amico” di Mosca e ha dimostrato così tanta "amicizia" da dire che l'Alleanza deve conservare la vigilanza nel rafforzare la difesa ai propri confini orientali, sottolineando che "una duratura stabilità dal Baltico al mar Nero dipende da tutti gli alleati", confermando “l'immutato sostegno USA e Nato alla sovranità e all'integrità territoriale dell'Ucraina”, ribadendo la necessità di una “risposta all’aggressione della Russia” e l'esigenza di mantenere le sanzioni contro Mosca finché questa non “restituirà la Crimea all'Ucraina” e non adempierà gli accordi di Minsk.
Nemmeno a farlo apposta, la casa editrice tedesca Telc, specializzata in corsi di lingue straniere, ha appena pubblicato un manuale in cui la Crimea è rappresentata come parte della Federazione russa. Pur se la portavoce della casa editrice ha dichiarato trattarsi di un errore di stampa, la Tass non ha mancato di dar rilievo alla cosa e non si può fare a meno di associare la “svista” alla diversità di posizioni tra Berlino e Washington riguardo a Nato e difesa comune europea.
Immediata la risposta del Cremlino a Tillerson: "Constatiamo con rammarico che tali valutazioni giungono il giorno seguente la riunione del Consiglio Russia-Nato in cui, secondo il segretario generale Jens Stoltenberg, erano state discusse un largo spettro di questioni "in un clima aperto e costruttivo".
Dunque, hanno commentato al Ministero degli esteri russo, “sorge una domanda legittima: su quali rapporti costruttivi Russia-Nato si può contare, se l'Alleanza continua ostinatamente ad agire secondo i vecchi schemi, se gli Stati Uniti e i loro alleati continuano ad allargare la presenza militare ai nostri confini, giustificandola con la necessità del "contenimento della Russia"?”. Ancora una volta, è detto nella dichiarazione russa, “la Nato pone i propri dogmi ideologici al di sopra della soluzione dei problemi globali. La conclusione è una sola: solamente un mutamento radicale nella natura stessa dell'Alleanza può offrire una chance di cambiare in meglio la sicurezza europea".
D'altronde, si fa notare a Mosca, “non è facile mantenere l'unità in una struttura come la NATO, che comprende stati così diversi; ed è perciò importante avere un forte motivo unificante. I Ministri della Nato, a giudicare dai loro commenti, non hanno dovuto cercare a lungo tale motivo: hanno sempre in testa una sola e medesima cosa, il mito della "minaccia russa", la calunnia della "aggressione russa" e l'eterno ritornello di "resistere collettivamente" a tale minaccia”. Ed è evidentemente così che Washington calcola di tenere a freno i progetti europei per propri piani “difensivi” non coincidenti con quelli USA.
Corollario a tale disputa a distanza Mosca-Washington-Bruxelles, il portavoce presidenziale russo, Dmitrij Peskov, ha detto che Barack Obama, prima di lasciare, ha fatto di tutto per complicare i rapporti tra Russia e USA, che oggi possono addirittura scadere a un livello peggiore del tempo della guerra fredda.
Sull'altro versante, l'ex segretario della Nato Anders Fogh Rasmussen, intervenendo alla conferenza “Le sanzioni USA contro la Russia: valutazione dell'influenza e dei costi”, ha detto che le sanzioni occidentali hanno reso più forte Vladimir Putin, ma ciononostante vanno mantenute. “O le sanzioni o la guerra” ha dichiarato Rasmussen, mentre, secondo le valutazioni di Pravda.ru, tra sanzioni e controsanzioni russe, la UE avrebbe già perso 17,6 miliardi di euro e 400.000 posti di lavoro.
Sullo sfondo della politica aggressiva della Nato, scriveva ieri Oleg Usik su rusvesna.su, salta agli occhi la circostanza per cui Paesi scandinavi e Stati baltici siano i pionieri delle provocazioni antirusse, rinfrancati in ciò dall'esigenza Nato di modernizzazione delle infrastrutture aeronautiche militari agli immediati confini russi, in particolare contro le regioni militari centrale e nordoccidentale russe.
Le basi di Ronneby e Luleå (rispettivamente agli estremi sud e nord della Svezia), Bodø, Gardermoen, Bardufoss (Norvegia), Rovaniemi, Kuopio e Tampere (Finlandia) sono solo una parte degli aeroporti normalmente utilizzati dall'aviazione Nato. A Bodø sono di stanza caccia F-16A, elicotteri S-61 “Sea King” e sistemi antiaerei NASAMS. Dal 2016 anche l'Islanda ha consentito agli USA l'ammodernamento della base aerea di Keflavík.
L'area del mar Baltico e mar di Norvegia, insieme ai Paesi baltici, costituisce secondo Usik il quadrante più pericoloso per il settore nordoccidentale russo, comprese le regioni di Kaliningrad e della Karelia, con la penisola di Kola e a ciò si aggiungono le pretese finlandesi sulla Karelia, mai completamente sopite dalla cosiddetta “guerra d'inverno” del 1939.
L'importanza del settore baltico per la Nato, è testimoniata anche dal fatto che i velivoli dell'Alleanza atlantica hanno cominciato a pattugliare lo spazio aereo di Lettonia, Estonia e Lituania (Operation Baltic Air Policing) già tredici anni fa, nel marzo 2004, con un costo di oltre 20 milioni di dollari al mese. Nella base estone di Ämari sono di stanza, oltre a una divisione di sorveglianza aerea nazionale, anche velivoli d'attacco USA A-10C "Thunderbolt" e caccia multiuso tedeschi Eurofighter "Typhoon". Alla base lituana di Zokniai/Šiauliai sono presenti a rotazione quattro caccia tattici e personale logistico Nato.
Secondo rusvesna.su, i paesi scandinavi si contrappongono sempre più alla Russia anche per la supremazia nell'Artico (il 28 marzo si è aperto ad Arkhangelsk il forum internazionale “Artico – terra di dialogo”), non solo quale fonte di risorse naturali, con il 13% stimato di risorse mondiali di petrolio e 30% di gas, ma anche quale via di transito tra Europa e oceano Pacifico, più corta di 1/3 rispetto a quella attraverso gli stretti di Malacca e Singapore, oceano Indiano e Suez.
Piccola nota di “colore”, che completa il quadro della “aggressione russa” all'Ucraina, il presidente golpista Petro Porošenko avrebbe intascato nel 2016 oltre 450mila dollari; nella dichiarazione dei redditi elettronica, resa nota due ore prima del termine di chiusura, Petro ha elencato immobili, terreni, auto e anche un po' di contanti. 440.000 dollari, sul totale di 450.000, gli sarebbero venuti da interessi su depositi presso la propria Banca Internazionale di Investimento; i restanti 13mila dollari, dal suo stipendio di presidente. Sul conto aperto nella propria banca, Porošenko avrebbe 26 milioni di $, mentre controlla qualcosa come circa 100 imprese industriali, di assicurazioni, media, cantieri navali, oltre naturalmente le fabbriche di cioccolato e altre industrie in Ungheria, Spagna, Kazakhstan, Cipro, Olanda… questa famosa “aggressione russa” rende bene, a qualcuno.
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