All’improvviso sono cadute le maschere. E si vedono le vere facce dei protagonisti, cioè dei finanziatori e sostenitori del terrorismo jihadista, qaedista, islamista, dell’Isis e di ogni sorta. Scoppiano le contraddizioni all’interno delle monarchie del Golfo, sostenute e caldeggiate dall’Occidente e dalla nuova amministrazione di Trump.
Il presidente americano, nella sua campagna elettorale, aveva promesso di chiedere miliardi di dollari a questi paesi, per la protezione che gli Usa hanno garantito loro: un metodo mafioso, un pizzo, o una tangente se vogliamo, che va sborsata subito se vuoi campare.
Non è un caso né un mistero che il primo viaggio all’estero del presidente americano avvenga là dove ci sono i soldi ed i finanziamenti pronti da portare via: in Arabia Saudita. Di certo ci sono stati incontri preliminari dei funzionari delle due parti, di certo non dello stesso peso, ma la visita dell’uomo che presiede la più grande potenza del mondo è stata concordata nei minimi dettagli.
Tre vertici, in due giorni di vista: saudita-americano, saudita-paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo-americano e un vertice arabo islamico–americano. Nei tre vertici, Trump predica la lotta al terrorismo dell’Isis, e definisce Hezbollah e Hamas come gruppi terroristi e l’Iran come il cervello del terrorismo che i paesi musulmani devono combattere. Il presidente Trump predica e loro ascoltano in silenzio; non una parola sulla questione centrale per quel mondo arabo che dovrebbero rappresentare, che è la questione palestinese, né una parola su Gerusalemme, benché il presidente avesse annunciato di voler trasferire la sua ambasciata da Tel Aviv a questa città santa, violando le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU e le leggi internazionali. Trump parla, e forse non sa (o forse sì) che i gruppi terroristi, da Al Qaeda all’Isis, da Al Nusra a Boco Haram, sono tutti sunniti, che i sauditi e i qatarioti ne sono i primi sostenitori e finanziatori e il suo Occidente arma e addestra questi gruppi terroristi. E che, per combattere davvero il terrorismo e l’Isis, bisogna prosciugarne i finanziamenti e le armi.
Infine gli accordi bilaterali, che ammontano a 500 miliardi di dollari, di cui 110 subito. Poi c’è il capitolo “regali personali” al presidente e alla sua famiglia: “personali”, appunto, come hanno precisato i regnanti sauditi e come hanno riferito tanti giornali arabi; questi regali ammontano a un miliardo di dollari. Trump vola con il malloppo direttamente da Riyadh a Tel Aviv: nessun presidente americano ha avuto questo coraggio prima di lui.
Ma perché il Qatar, questo piccolo paese, è ora nel mirino dei grandi del Golfo? Un quesito che forse non troverà una risposta logica. È senza dubbio uno dei paesi più ricchi del mondo, il suo PIL pro capite è di 146 mila dollari, è ricco di petrolio e di gas, sul suo territorio è installata la più grande base militare americana in Medio Oriente, ha svolto in modo eccellente il ruolo a lui affidato: rapporti e relazioni diplomatici e commerciali con Israele e scambi di visite ufficiali, ha finanziato tutte le cosiddette primavere arabe, ha finanziato la distruzione della Siria e della Libia, ha finanziato i Fratelli musulmani in Tunisia e in Egitto, ha influito profondamente sulla divisione palestinese finanziando Hamas. IL Qatar fa parte del Consiglio di cooperazione e mantiene buone rapporti con l’Iran, a dispetto degli altri membri del Consiglio. E ancora Qatar è proprietario della potente emittente Al-Jazeera, che dal 1996 ha fatto da quinta colonna per la normalizzazione dei rapporti con Israele; E sempre il Qatar dietro la cacciata della Siria dalla Lega araba. Il Qatar ha enormi investimenti in Europa, ivi compresa l’Italia.
Secondo alcuni opinionisti arabi, questo piccolo paese ha giocato “da grande” in questi ultimi anni grazie alle politiche di apertura verso l’Islam politico promosse dal presidente Obama già nel suo discorso all’Università del Cairo. Una apertura propedeutica al piano americano per un nuovo Grande Medio Oriente. Il Qatar ha utilizzato la sua ricchezza economica per finanziare il movimento dei Fratelli musulmani, che è il gruppo islamico più organizzato in diversi paesi arabi, che ha sete di potere ed è disposto a fare tutte le concessioni che i governi laici non potevano fare. Nel contesto e nelle condizioni sociopolitiche speciali in cui versano certi paesi arabi, le primavere arabe sono state studiate a tavolino per preparare il terreno all’Islam politico. L’amministrazione Trump, che sta smantellando ciò che ha fatto Obama su tanti fronti (fra cui la politica estera), sta abbandonando i Fratelli musulmani e chi li ha sostenuti in questi anni, e ben venga allora una nuova alleanza islamico/sunnita sotto il comando di Riyadh, contro il terrorismo e contro l’Iran ed i suoi alleati: un’alleanza che ricorda quella araba contro Saddam nel 1991, che lo costrinse a lasciare il Kuwait e impose quell’embargo all’Iraq che è durato fino all’ invasione e l’occupazione americana del paese. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: è stato smantellato lo Stato iracheno.
Certo il Qatar non è l’Iraq, ma dal 2011 ha assunto un peso strategico più grande di lui. Quindi, fuori il Qatar dalla nuova alleanza, se non interrompe i rapporti con l’Iran e con la Fratellanza islamica. Il gioco ora è nelle mani dei “grandi” e il Qatar va ridimensionato, e subito cinque paesi, Arabia Saudita, Emirati arabi, Bahrain, Yemen e Egitto, hanno interrotto le relazioni diplomatiche con il Qatar, hanno imposto un embargo nei suoi confronti, isolandolo sia nel Consiglio di cooperazione sia nei rapporti con altri paesi arabi, e utilizzando il ricatto economico con il pretesto di proteggere la sicurezza nazionale araba dalle ingerenze esterne. Leggasi: In funzione anti-iraniana.
L’isolamento e le minacce al Qatar, oltre all’opposizione interna alla famiglia al potere, guidata da una corrente filo-saudita, potrebbe spingere il paese fra le braccia dell’Iran, creando un altro problema con gli Usa, con la Turchia e con la fratellanza islamica, ormai perseguitata da tutti, arabi, iraniani e turchi.
Sembra che le monarchie del Golfo stiano entrando nel vivo delle contraddizioni fra interessi regionali e internazionali, e per mantenere i loro privilegi sono pronte a scatenare una guerra infinita. Di certo, l’Arabia saudita e gli Emirati arabi da soli non potranno mai sconfiggere l’Iran; allora, non è da escludere l’intervento statunitense e forse anche della Nato, in nome della difesa degli interessi strategici. E cosi si realizzerebbe il sogno del capo del governo dei coloni israeliano.
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