Risulta assai difficile dare un giudizio sull’incontro tra i presidenti di USA e Ucraina che si è da poco svolto a Washington. Il motivo principale è che i due comunicati ufficiali e le interviste poi rilasciate da Poroshenko, riferiscono cose diverse.
Quindi meglio attenersi ai fatti e da quelli trarre delle conclusioni. L’incontro non era previsto, è stata una forzatura richiesta dall’Ucraina per accettare un folle contratto sulle forniture nucleari. Infatti la delegazione ucraina ha fatto sostanzialmente un viaggio d’affari, concludendo accordi anche per forniture militari. L’accoglienza alla Casa Bianca è stata molto “sobria” e non è stato predisposto il consueto cerimoniale che si riserva per le visite di Stato. Difatti era un incontro di affari.
A dispetto da quello che va raccontando Poroshenko, pare che Trump (una volta rassicurato sulla stipula dei contratti) abbia sposato una linea molto attendista, di fatto invitando a proseguire sulla attuale e non ben definita rotta. In sostanza, i rapporti tra USA e Russia sono un qualcosa di troppo importante per potervi coinvolgere il presidente ucraino. Per questo l’incontro tra Trump e Poroshenko si può definire del tutto irrilevante sotto il profilo politico.
Invece, è molto interessante l’incontro che c’è stato tra Poroshenko e Madeleine Albright, un personaggio che si pensava esser finito nel dimenticatoio.
Durante la presidenza di Bill Clinton molto probabilmente la personalità più influente era la Albright. Lei è stata prima ambasciatore alle Nazioni Unite e poi Segretario di Stato. Quando Bill Clinton venne travolto da uno scandalo, la Albright rafforzò ulteriormente il proprio potere e fu in grado di condizionare le decisioni strategiche degli USA e quindi, di conseguenza, i destini del mondo.
La Albright era nota per la ferocia, che può essere efficacemente rappresentata dalla sua affermazione sul mezzo milione di bambini morti in Iraq come il “prezzo che valeva la pena pagare” per la guerra del petrolio USA. E’ stata lei anche l’ideatrice della trappola degli Accordi di Rambouillet, che servì da pretesto per scatenare i bombardamenti della NATO contro la Yugoslavia.
Visceralmente anticomunista, non nasconde il proprio odio verso il popolo serbo.
La sua azione era coordinata con quella di George Soros, insieme al quale formulò un modello di ingerenza basato sulle cosiddette “rivoluzioni democratiche”, di fatto una serie di colpi di stato in giro per il mondo.
Nonostante sia ottuagenaria, ancora lavora per il Partito Democratico. Fu una grande sostenitrice della candidatura di Hillary Clinton e continua ad occuparsi di politica estera, ovviamente proponendo una linea diametralmente opposta a quella dell’attuale amministrazione.
Qualche giorno prima della visita di Poroshenko negli USA, la Albright per conto del National Democratic Institute (che presiede) si è recata in Ucraina per incontrarlo ed esporgli il proprio piano di soluzione della crisi: consegnare armi all’Ucraina e aiutarla a riprendersi il Donbass e la Crimea.
La proposta è spaventosa. Non è la prima volta in cui la Albright dà il nullaosta per un massacro, e stavolta a farne le spese toccherebbe al popolo del Donbass. Ma ancora più inquietante è l’idea di recuperare la Crimea che ormai è parte della Federazione Russa. Ciò significa la volontà di trascinare una potenza nucleare in un conflitto all’interno dei propri confini. Uno scenario che metterebbe rapidamente a repentaglio l’intera umanità.
A prescindere dagli aspetti militari del piano, interessa soffermarsi su quelli politici, che sintetizzano efficacemente tre punti fondamentali della politica estera dei “democratici”. Il primo è che sarebbero ancora disponibili a fornire armi a quei paesi che già le usano contro i civili. Il secondo è che non gliene importa nulla del “diritto internazionale” e del principio di autodeterminazione dei popoli, su cui si legittima l’indipendenza di tutti i paesi, non solo del Donbass. Il terzo è la caratteristica che ha contraddistinto l’ultimo quarto di secolo delle relazioni internazionali: il doppio standard. In virtù di questo principio le regole varrebbero per tutti ad eccezione degli USA e dei loro ascari.
Non si può negare che l’annessione della Crimea abbia dei palesi vizi dal punto di vista del diritto, ma si tratta esattamente della medesima procedura che gli USA (indirizzati dalla Albright) utilizzarono per il Kosovo. Per decenni gli USA hanno vilipeso il diritto internazionale, quindi non ci si deve stupire se ora nessuno abbia più intenzione di rispettarlo. Ovviamente la colpa di ciò è solo degli USA che con le loro costanti violazioni e forzature hanno creato precedenti e consuetudini cui si adeguano ora anche altri stati.
La Albright e il blocco politico a cui appartiene si stanno disperatamente spendendo per contrastare il declino del dominio assoluto degli USA. Ma ormai quella fase è finita, appartiene ad un passato di cui pochi sentono nostalgia. Il futuro del mondo si sta delineando in un’altra maniera, multipolare. Il nuovo Presidente USA, l’UE e i BRICS se ne sono resi conto e si stanno preparando al cambiamento. Chi vi si oppone è fuori dal tempo.
Ma qualora ci dovesse essere un cambio alla Casa Bianca, organizzato dall’establishment che ha dominato gli ultimi 70 anni, allora si avrebbe un inevitabile scontro tra un mondo che vuole trasformarsi e un despota.
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