La riunione plenaria dell’Assemblea parlamentare dell’Osce ha approvato nei giorni scorsi la risoluzione presentata da Kiev sulla cosiddetta “integrità territoriale” dell’Ucraina. Vi si dice che l’Osce “rinnova la propria condanna della temporanea occupazione della Repubblica autonoma di Crimea e della città di Sebastopoli da parte della Federazione Russa e anche della continuazione dell’aggressione ibrida della Russia contro l’Ucraina nel Donbass”. Il documento invita i paesi membri dell’Osce ad astenersi da qualsiasi passo che direttamente o indirettamente riconosca le elezioni in Crimea e a Sebastopoli, sollecita la Russia a rinunciare al riconoscimento dei documenti di DNR e LNR e a cessare “di prestare qualsiasi aiuto alle formazioni armate illegali in alcune aree delle regioni ucraine di Donetsk e Lugansk”.
Nell’euforia del momento e nella convinzione di poter contare sull’assenso di alte cariche internazionali (Laura Boldrini, ad esempio?) Andrej Parubij, il nazista speaker della Rada, è andato oltre e ha chiesto al Segretario generale dell’ONU Antonio Guterres di privare la Federazione Russa del diritto di veto nel Consiglio di Sicurezza.
Inoltre, incontrandosi ieri a Kiev con il con il Segretario di stato USA Rex Tillerson, il golpista N. 1 Petro Porošenko ha avuto la sfacciataggine di dire che al mondo non c’è persona più interessata di lui a togliere le sanzioni alla Russia. Tale passo significherebbe che Mosca abbia “adempiuto gli accordi di Minsk e abbia liberato il territorio ucraino”, ha omeliato Petro dal suo pulpito, lasciando alla pazienza dei fedeli l’attesa della riforma costituzionale (decentralizzazione status speciale di alcune aree delle regioni di Donetsk e Lugansk) che, proprio in base agli accordi di Minsk, l’Ucraina avrebbe dovuto adottare entro la fine del 2015.
Chissà se queste ultime uscite dei golpisti di Kiev non hanno come base una sensazione di forza che viene dall’inizio, oggi, delle manovre congiunte ucraino-americane nel mar Nero “Sea Breeze-2017” (si ripetono annualmente dal 1997), che andranno avanti fino al 23 luglio, con la partecipazione di naviglio di almeno 17 paesi. Non manca certo l’Italia, insieme a Canada, Belgio, Bulgaria, Francia, Georgia, Grecia, Lituania, Moldavia, Norvegia, Polonia, Romania, Svezia, Turchia e Gran Bretagna. Da parte statunitense, vi prendono parte l’incrociatore lanciamissili “Hue City” e il cacciatorpediniere di squadra “Carney”, insieme al velivolo da avvistamento subacqueo P-80 Poseidon, mentre 800 fanti di marina parteciperanno alle esercitazioni terrestri. Alla vigilia dell’inizio delle manovre, erano già atterrati a Odessa due aerei militari Nato da trasporto C-130J “Hercules”, con materiale bellico che, non c’è da dubitarne, a manovre terminate andrà a rimpinguare l’arsenale ucraino.
Nell’ambito di questa “offensiva diplomatica” ucraina, è passato pressoché sotto silenzio il riaccendersi delle scaramucce tra Azerbajžan e Armenia per la questione del Nagorno-Karabakh. La settimana scorsa, Baku ha accusato le forze armate armene di aver esploso colpi di artiglieria contro il villaggio di Alkhanly, provocando la morte di un’anziana e della nipote. A sua volta, il Ministero della difesa del Nagorno-Karabkh, ha sostenuto di aver messo a tacere una batteria di razzi TR-107 azeri, posizionata in mezzo alle abitazioni civili dello stesso villaggio, che in precedenza aveva sparato contro le posizioni del Karabakh, impiegando anche mortai da 85 mm e artiglieria pesante. Stepanakert, che nei giorni scorsi accusava Baku del ferimento di militari del Nagorno, riversa sulla parte azera ogni responsabilità per la ripresa degli scontri, dopo l’apparente calma durata oltre un anno.
I negoziati per la regolazione pacifica del conflitto nel Nagorno-Karabakh vengono portati avanti dal 1992 dalla speciale commissione di Minsk dell’Osce: mentre l’Azerbajžan insiste sul ritorno della regione (proclamatasi autonoma nel 1991) nel proprio ambito territoriale, Erevan è schierata con Stepanakert, mentre quest’ultima non partecipa al negoziato.
Ieri, la 26° riunione annuale dell’assemblea parlamentare dell’Osce, così pronta, come si è visto, a schierarsi con Kiev, non ha trovato niente di meglio che esprimere “profondo dispiacere per i mancati progressi nella regolazione del conflitto nel N-K”, invitando Baku e Erevan a rinnovare i negoziati. Numerosi osservatori, nota pravda.ru, fanno rilevare come dall’inizio del conflitto nel Donbass, nel 2014, l’Osce abbia praticamente perso interesse alla questione del N-K e non esista alcun meccanismo di controllo sul rispetto del protocollo sul cessate il fuoco sottoscritto a Biškek nel 1994, così come manca una zona “sanitaria” di controllo in cui dislocare osservatori Osce.
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