La stampa israeliana riporta senza troppi giri di valzer la parola che è più ricorsa nelle tre ore di colloquio tra Netanyahu e Putin, durante il vertice di mercoledì scorso a Sochi, sul Mar Nero: ‘guerra’. Gerusalemme non si sogna certo di minacciare Mosca, ma il messaggio è rivolto agli sciiti che stanno facendo il bello e il cattivo tempo in Siria. Iran e Hezbollah libanesi, in primis. Gli Alti comandi con la Stella di David tengono da un pezzo nervosamente il dito sul grilletto.
I generali di Netanyahu temono che a Teheran e nella Valle della Bekaa ‘pasdaran’ e ‘Partito di Dio’ possano sfruttare la mattanza siriana per riportare l’inferno a ridosso del Golan.
Israele ha chiarito al Cremlino che, in presenza di una simile evoluzione degli scenari sul campo, Tsahal, l’esercito di Gerusalemme, interverrebbe. Pesantemente.
In una lunga e articolata intervista concessa ieri all’autorevole quotidiano Haaretz, l’ex capo dell’aviazione israeliana, Esher, le ha cantate chiare anche lui: per mettere le mani avanti (e difendere il Golan) i caccia e i bombardieri di Tel Aviv sono stati a un passo dal fare terra bruciata in tutto l’ovest della Siria. Probabilmente li ha fermati una risicata analisi costi-benefici e il desiderio di non fare imbufalire ulteriormente la Casa Bianca.
Trump, assediato da tutte le magagne domestiche che lo assillano, non vuole altre rogne. Qualcuno dice che abbia preso alla lettera (indirettamente) i suggerimenti offerti dal ‘guru’ degli strateghi americani, Edward Luttwak, per quanto riguarda il Medio Oriente: strafregatevene e fatelo cuocere nel suo brodo. Più facile a dirsi che a farsi. Putin lo sa e, astuto e rapido come un crotalo, si è raggomitolato in un angolo in attesa di avvelenare tutti quelli che passano. O che non vogliono ragionare col Cremlino.
I russi, che gli Stati Uniti avevano cacciato dalla regione ai tempi onusti di glorie e di allori dell’Unione Sovietica, grazie alla dabbenaggine dell’Occidente (chiedere a Sarkozy e a Cameron), sono rientrati dalla porta di servizio.
Come abbiamo già scritto, Netanyahu ha fatto un preciso riferimento alla presenza sempre più massiccia delle Guardie Rivoluzionarie di Teheran e, soprattutto, di Hezbollah. Argomenti che sarebbero stati ampiamente illustrati a diversi governi nelle settimane scorse dai direttori del Mossad (Yossie Coohen) e dello Shin Bet, i servizi segreti di Gerusalemme. Che hanno lanciato avvertimenti urbi et orbi. Ma Trump, per esempio, non pare aver capito l’antifona.
Nel colloquio con Putin il leader israeliano ha ribadito con foga, le sue preoccupazioni per la stabilità dell’area vicino al Golan. Anche la Giordania ha avanzato le stesse serie osservazioni di Gerusalemme. Ma senza esito. Dal canto suo, Putin sarebbe stato abbastanza abbottonato, limitandosi a garantire che, a guerra finita, si ritireranno dalla Siria tutte le parti in lotta. Campa cavallo, pensano gli israeliani che, infatti, affilano i canini.
Certo, dicono gli analisti, Putin preferirebbe evitare complicazioni. Le forze armate con la Stella di David sono un osso duro, meglio risolvere le rogne a tavolino. Però al Cremlino fanno pure un altro ragionamento: se gli iraniani si dovessero sentire minacciati, probabilmente si legheranno ancora di più alla Russia, in cerca di “patronage”. E di armi e munizioni. Comunque sia, Mosca “vincerà” in ogni caso.
- da remocontro.it
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