Grande successo strategico – nel totale silenzio mediatico occidentale – per l’esercito siriano ed i suoi alleati. Il 5 settembre, infatti, le fonti ufficiali del Governo di Damasco hanno annunciato di aver eliminato l’assedio dell’Isis alla città di Deir-ez-Zor (in realtà, al momento in cui si scrive, una sola delle due sacche governative che resistono nella città è stata liberata), abitata da più di 200mila abitanti prima della guerra, capoluogo dell’omonima divisione amministrativa e situata nei pressi del confine con l’Iraq.
Deir-ez-Zor era circondata su tutti i lati dai miliziani dell’Isis sin dalla metà del 2014, quando gli uomini del califfato, nel loro periodo di massima espansione, conquistarono gran parte del deserto siriano cacciando, appunto, le truppe governative e gli altri ribelli salafiti. Da allora Daesh aveva tagliato l’energia elettrica alla città che, rimasta isolata e difesa da poche migliaia di soldati dell’esercito di Damasco, poteva essere rifornita di viveri e di armi esclusivamente per via aerea e viveva con generatori autonomi.
Nonostante ciò, le numericamente deboli unità dell’esercito siriano sono sempre riuscite, nel corso dei 3 anni, ad evitare la completa capitolazione della città, respingendo numerose ondate di assalti grazie alle molte fortificazioni presenti nell’area urbana. Si ricorda che un anno or sono, pur di far cadere Deir-ez-Zor, gli USA bombarono una di tali fortificazioni a beneficio di un’offensiva del califfato, facendo andare in frantumi una tregua in vigore in molte aree del paese.
A quanto pare, quest’incubo per la popolazione finirà presto; già vi sono testimonianze video di festeggiamenti in corso con bandiere nazionali alla mano. Al momento, l’esercito siriano, guidato dai gruppi d’elite delle forze Tigre, è ancora impegnato a liberare il resto della città.
L’esercito regolare, anche grazie al supporto dell’aviazione russa e delle forze speciali di terra russe e iraniane, di Hezbollah e di altri alleati, riesce così a raggiungere il principale obiettivo che si era posto dopo la vittoria di Aleppo.
Va detto che l’impresa è stata possibile con relativa rapidità rispetto a quando è scattata l’offensiva nel deserto, grazie alla diplomazia russo-iraniana, la quale, essendo riuscita a coinvolgere la Turchia nell’implementazione di alcune zone di de-escalation militare, ha permesso a Damasco di concentrare le forze sui fronti contro il Califfato.
Al momento restano comprensibilmente silenti le cancellerie europee e nordamericano e i loro megafoni mediatici.
Quella di Deir-er-Zor, infatti, oltre ad essere una sconfitta catastrofica per l’Isis, ben avviato sul viale del tramonto in Siria e Iraq, è anche una sconfitta per i disegni imperialisti di frazionare la Siria. L’ampio deserto siriano, infatti, è relativamente ricco di petrolio e gas ed è stato più volte nelle mire delle varie potenze protagoniste dell’invasione per procura del paese.
Se, in precedenza, i Saud volevano sostituire l’Isis (o semplicemente operarne un rebrand) con organizzazioni wahabite “legalmente riconosciute” dalle altre potenze, ultimamente gli USA e i paesi dell’UE avevano puntato su due forze sul terreno per provare ad impossessarsi dell’area e, soprattutto, raggiungere Deir-ez-Zor: i ribelli del cosiddetto Free Syrian Army addestrati in Giordania da sud e le Syrian Democratic Forces (alleanza curdo araba costituita prevalentemente dalle Ypg-Ypj curde) da nord; i comandanti di entrambe queste forze, infatti, nei mesi scorsi avevano più volte affermato che spingersi verso la città era un loro obiettivo.
Tuttavia, i primi si sono rivelati deboli e numericamente scarsi; dopo aver subito una lunga serie di sconfitte per mano dell’esercito siriano, di defezioni e fughe verso la Giordania, ora sono raccolti intorno alla guarnigione americana posta ad Al-Tanf senza alcuno sbocco possibile.
Le SDF, invece, stanno concentrando le loro forze su Raqqa e la vittoria, seppure pare ormai inevitabile, non sembra altresì imminente.
La competizione per il confine sirio-iracheno, comunque, continuerà. In ballo vi è da un lato, l’intenzione americana di creare un semi-stato nel nord-est della Siria (anche strumentalizzando le legittime aspirazioni del popolo curdo), magari replicando lo schema iracheno, dall’altro c’è la possibilità che le forze filo-governative siriane entrino in contatto con le forze irachene delle Popular Mobilization Units (PMU), le quali stanno combattendo sull’altro versante del confine.
All’interno delle PMU vi sono brigate legate direttamente all’Iran, i cui miliziani già combattono in un certo numero in Siria al fianco di Damasco e hanno partecipato all’offensiva nel deserto. Pertanto, se il ricongiungimento dovesse avvenire, oltre ad aprire un potenziale canale di rifornimento diretto via terra da Teheran ad Hezbollah via Iraq (prospettiva vista come sale agli occhi da Israele) si avrebbero inevitabili effetti negli equilibri in Iraq e in tutto il vicino oriente.
Quella per il confine sirio-iracheno, dunque, sembra essere la prossima partita strategica di questo conflitto; da verificare, inoltre, se si riaprirà il fronte nel nord est fra Turchia e Ypg, come più volte annunciato da Erdogan (in quel caso SDF ed esercito di Damasco potrebbero cooperare in funzione anti-turca).
Quel che è certo è che negli ultimi mesi il governo siriano ha più che raddoppiato i territorio sotto il proprio controllo frustrando alcuni dei progetti imperialisti.
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