Mancano ormai solo due settimane ad una data che sta generando una profonda spaccatura nel panorama politico spagnolo e catalano. A scontrarsi sono due schieramenti ben definiti quanto politicamente compositi, quello nazionalista spagnolo e quello indipendentista catalano.
Nel mezzo ci sono le cosiddette forze federaliste che teoricamente riconoscono il diritto all’autodeterminazione delle nazionalità oppresse dello Stato Spagnolo ma nei fatti sono contrarie ad una separazione della Catalogna da Madrid. Si tratta di formazioni di un certo peso, come Podemos e le sue sezioni locali alleate dei partiti storici della sinistra moderata catalana.
L’accelerazione della campagna indipendentista e la fissazione della data del voto hanno letteralmente terremotato queste formazioni che hanno visto improvvisamente la propria posizione perdere peso e credibilità di fronte alla necessità di schierarsi pro o contro il referendum ed eventualmente a favore o contro l’indipendenza.
Inizialmente sembrava che l’amministrazione comunale di Barcellona, guidata da Ada Colau, volesse tenersi fuori dal contenzioso sul voto dichiarato illegale dal Tribunale Costituzionale, mentre Podemos a livello statale si pronuncia contro la ‘precipitazione indipendentista’ impressa agli eventi da parte della maggioranza del Parlament catalano. Iglesias continua a proporre di “fermare le macchine” e di affidarsi ad una futuribile riforma federalista dello Stato Spagnolo, sostenuta da un referendum concordato con lo Stato, che solo una maggioranza dei due terzi alle Cortes di Madrid potrebbe approvare. Considerando che Podemos alle ultime elezioni sembra aver raggiunto il suo apice senza riuscire a sfondare e viene data in calo nei sondaggi, e che il parlamento di Madrid è dominato dai partiti nazionalisti spagnoli, si tratta di una proposta di principio inattuabile e senza gambe politiche.
Le pressioni di una parte della propria base e quelle della sinistra indipendentista, insieme alla scontata reazione repressiva del governo spagnolo e delle sue istituzioni, stanno ora costringendo questo settore politico ad aggiustare il tiro. Mentre Podemos accentua la sua denuncia nei confronti della repressione di Madrid man mano che questa si fa più capillare e consistente, la sindaca di Barcellona e la sua maggioranza sembrano orientarsi a partecipare a quella che considerano una ‘mobilitazione democratica’ – cioè il referendum indetto dalla Generalitat – senza però schierarsi.
Così hanno deciso due consultazioni interne a ‘Catalunya en Comù’ e a ‘Esquerra Unida i Alternativa’, che fa parte della formazione guidata da Ada Colau ma che ha mantenuto, come del resto ‘Iniciativa per Catalunya-Verts’, la sua autonomia (Podem, invece, rigettando gli inviti di Iglesias, non ha aderito al nuovo soggetto politico ed è molto vicina al fronte indipendentista).
Il 60% dei militanti di Catalunya en Comù (al voto hanno partecipato il 44% degli iscritti) ha votato per questa soluzione. Elisenda Alamany, portavoce della formazione catalana vicina a Podemos, ha sostenuto che “E’ il momento di non piegarsi alla strategia della paura” e che il partito invita a partecipazione al referendum per opporre resistenza all’ondata repressiva del Partito Popolare.
Anche il coordinatore generale di EUiA, Joan Josep Nuet, ha annunciato sabato che il Consiglio Nazionale del partito ha deciso di fare appello alla partecipazione al referendum sull’autodeterminazione dopo che il 76% dei militanti si è espresso in questo senso (contro un 16% di voti contrari e l’8% di astensioni).
Ciò non vuol dire che i due partiti si schiereranno a favore dell’indipendenza, al contrario di Podem che invece ha già dato indicazione ai suoi di votare Sì, ma sicuramente il fronte delle forze coinvolte nell’appuntamento del 1 Ottobre si amplia notevolmente. I ‘Comuns’ non daranno indicazioni di voto, ma un recente sondaggio afferma che il 33% degli elettori catalani di Podemos ha intenzione di andare a votare ‘indipendenza’ tra due settimane. Percentuali simili e anche leggermente superiori per EUia e ICV; in alcuni casi dei loro dirigenti stanno partecipando a titolo personale a delle iniziative della Cup, la sinistra radicale indipendentista.
Nel frattempo Ada Colau ha deciso, dopo un lungo tira e molla, di mettere a disposizione i seggi elettorali dopo un accordo con la Generalitat. L’accordo – di cui non sono chiari i particolari – dovrebbe salvaguardare i funzionari e l’amministrazione comunale di centrosinistra di Barcellona da eventuali rappresaglie penali ed economiche delle istituzioni centrali.
Mentre sui media e nelle strade il dibattito ferve, la cronaca degli ultimi giorni è costellata da episodi di repressione e dalle reazioni del fronte indipendentista.
Il governo Rajoy ha già schierato in Catalogna alcune migliaia di membri aggiuntivi della Guardia Civil e della Policia Nacional nel tentativo di impedire con la forza l’espressione del voto popolare che giudica illegale. Secondo i media la Segreteria di Stato avrebbe approntato un piano per mobilitare in Catalogna tra i 10 mila e i 13 mila effettivi delle forze di polizia, guidati da 140 ‘funzionari’ provenienti da Madrid. Tra questi, una settantina, agenti dei servizi antiterrorismo della Polizia, dovrebbero coordinare le operazioni per impedire la costituzione dei seggi e perseguire i promotori del referendum, coadiuvati dalle unità d’élite delle forze speciali dell’esercito mobilitate da altri territori dello Stato.
Gli agenti negli ultimi giorni si son dati molto da fare, accolti e stigmatizzati da partecipate manifestazioni di protesta. La Guardia Civil ha notificato a decine di mezzi d’informazione privati l’ordine giudiziario che li obbliga ad astenersi dal pubblicare propaganda relativa al referendum. In caso contrario direttori e lavoratori sono stati avvertiti del fatto che rischiano ritorsioni penali. Le redazioni dei media pubblici, Catalunya Radio e TV3, erano già state ‘avvisate’ direttamente dal Tribunale Costituzionale.
L’associazione Omnium Cultural, promotrice insieme all’ANC delle massicce mobilitazioni popopolari che negli ultimi anni hanno convinto il partito liberal-conservatore catalano PDeCat ad abbracciare la rivendicazione indipendentista, ha denunciato che le poste non stanno recapitando a una parte degli abbonati le copie della rivista di settembre che ovviamente invita a mobilitarsi a favore della separazione. D’altronde nei giorni scorsi la direzione centrale delle poste spagnole ha inviato un’email a tutti i centri operativi in Catalogna nella quale comunica che l’impresa “dovrà astenersi dall’accettare spedizioni relazionate al referendum”.
Come se non bastasse un tribunale di Barcellona ha ordinato a tutte le imprese informatiche che lavorano nela comunicazione di bloccare l’accesso ai siti web approntati dal governo catalano e da altre entità in vista del referendum del 1 ottobre. Un sito realizzato dalla Generalitat è già stato chiuso dalla polizia. Quello che lo ha rimpiazzato ha pubblicato la scheda elettorale e il manifesto ufficiale della campagna del Govern a favore dell’indipendenza invitando i cittadini a stamparli e a distribuirli in proprio. Questo dopo che nel fine settimana le forze di sicurezza spagnole hanno sequestrato in diverse tipografie circa un milione e mezzo di manifesti e volantini.
Ma anche le iniziative di campagna referendaria stanno finendo nel mirino della repressione spagnola. Negli ultimi giorni agenti della Guardia Urbana di Barcellona, della Guardia Civil e dei Mossos d’Esquadra hanno identificato dei militanti indipendentisti mentre tenevano iniziative di dibattito e di propaganda, alcune delle quali sono state impedite con la forza, oppure mentre erano intenti a distribuire volantini o ad attaccare manifesti. Responsabili di Esquerra Republicana e della CUP hanno denunciato che la polizia spagnola ha effettuato fermi, interrogatori e sequestri di materiali. Iniziative della sinistra radicale indipendentista sono state proibite ed impedite a Gasteiz, nel Paese Basco, a Valencia ed in altre città dello Stato Spagnolo.
Ma la repressione spagnola si sta rivelando un vero e proprio boomerang, convincendo alcuni settori politici e della società catalana che finora si erano tenuti ai margini della necessità di mobilitarsi a favore della realizzazione del referendum e dell’indipendenza.
Si moltiplicano le iniziative di disobbedienza civile promosse sia dall’associazionismo sia dai partiti indipendentisti. Nel centro di Barcellona i manifestanti si sono dati appuntamento per un “attacchinaggio di massa” dei cartelli ‘fuorilegge’, mentre a Tarragona centinaia di persone hanno esposto i manifesti illegali guardati a vista dalla polizia. A Madrid a centinaia si sono presentati per seguire l’iniziativa a favore del diritto a decidere dei catalani proibito dalla magistratura. Dopo il divieto ad usare i locali messi a disposizione dalla sindaca Manuela Carmona, i promotori hanno optato per un teatro nel centro di Madrid che non era abbastanza capiente per ospitare tutti coloro che erano accorsi per partecipare al dibattito.
Anche i 712 sindaci catalani (sui 948 totali) ai quali il Procuratore generale dello Stato Spagnolo, José Manuel Maza, ha inviato un ordine di comparizione chiarendo che se non si presenteranno in tribunale subiranno delle azioni giudiziarie, hanno reagito ribadendo il loro impegno l’1 ottobre.
Infine, la decisione da parte del ministro spagnolo delle Finanze, Cristobal Montoro, di commissariare i conti della Generalitat sembra indicare che Madrid è pronta a ricorrere all’articolo 155 della Costituzione che consente al governo centrale di assumere direttamente il controllo delle autonomie esautorando i governi locali. Il provvedimento sembra la reazione di Rajoy alla decisione del vicepresidente catalano, Oriol Junqueras, che ha deciso di non inviare più a Madrid i tradizionali resoconti settimanali sulle spese della Generalitat.
Marco Santopadre
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