Nel mondo, assai meno in Italia, si analizza e si discutono le conclusioni e le decisioni emerse nel congresso del Partito Comunista Cinese. Molte di esse rappresentano una discontinuità, altre la continuità, con il percorso avviato dai gruppi dirigenti cinesi dalla “svolta” del 1978. La prima sensazione è che con il congresso la politica sia tornata fortemente al posto di comando rispetto all’economia, una sorta di “terza fase” che intende sintonizzarsi con il cambiamento di fase storico in cui stiamo vivendo in questo secondo decennio del XXI Secolo. Qui di seguito troverete un articolo di Michelangelo Cocco (direttore del Centro Studi sulla Cina Contemporanea) e un articolo redazionale del sito Cinaforum.net che analizza i membri del gruppo dirigente emerso dal congresso del Partito Comunista Cinese.
Xi Jinping più su di Mao, il suo pensiero guida la Cina
Di Michelangelo Cocco
Il Partito comunista cinese (Pcc) ha inserito nella sua costituzione il “Pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una nuova era”. Si tratta di un’attesa quanto clamorosa novità, perché con l’emendamento odierno alle norme del Partito-Stato, quest’ultimo attribuisce al segretario generale che lo governerà almeno fino al 2022 un prestigio pari a quello del padre della Repubblica popolare, Mao Zedong, le cui teorie e il cui nome entrarono in Costituzione nel 1975, un anno prima della morte del Grande timoniere.
In attesa di conoscere, domani, i nomi dei cinque nuovi membri che affiancheranno Xi e il premier Li Keqiang nel Comitato permanente del Politburo, l’elevazione a rango costituzionale delle teorie del Presidente rappresenta la novità più importante non solo del giorno in cui i 2.300 delegati hanno chiuso l’assise eleggendo il nuovo Comitato centrale, ma di tutto il 19° Congresso del Pcc, che entra nella storia come quello che traccia una terza fase della Repubblica popolare: dopo il maoismo e le riforme di mercato di Deng, ci troviamo di fronte a un Paese che punta a diventare rapidamente forte, ricco e moderno.
Xi affianca così Mao e “supera” Deng Xiaoping, le cui teorie furono inserite nella Costituzione soltanto post mortem, situandosi parecchi gradini più in alto rispetto ai suoi predecessori alla guida del maggior Partito politico del mondo (88 milioni di iscritti) Hu Jintao e Jiang Zemin, che non hanno avuto l’onore di vedere i loro nomi entrare nella costituzione ma solo le rispettive teorie dello “sviluppo scientifico” e delle “tre rappresentanze”.
Che cosa cambia da un punto di vista pratico? Potrebbe continuare a cambiare molto, anche perché quella di Xi non è un’usurpazione di potere. Come abbiamo già sottolineato infatti quella di attribuire maggiori poteri al vertice del Partito è una scelta collegiale operata dal 18° Congresso (2012), in conseguenza della quale, già negli ultimi cinque anni, a Xi sono stati date nuove e più incisive funzioni.
Se, fino ad ora, all’interno del Comitato permanente del Politburo (l’organismo di sette membri che, di fatto, governa la seconda economia e il paese più popoloso del Pianeta) il segretario generale è stato una sorta di primus inter pares, averne iscritto – già a metà mandato – il pensiero politico in Costituzione, lo pone parecchi gradini più su rispetto ai suoi colleghi.
Secondo la leadership cinese, c’è bisogno di un “nucleo” del partito più compatta e potente (rispetto alle province e allo stesso Consiglio di Stato, per affrontare una serie di concomitanti fattori di crisi:
– il rallentamento della crescita (per effetto del rallentamento della domanda dall’estero e delle trasformazioni del modello economico cinese)
– la corruzione che stava minando il Partito alle fondamenta
– la catastrofe ambientale del Paese
– un Partito sempre più lontano dai giovani
Va inoltre tenuto in gran conto il nuovo ruolo che la Cina è chiamata a svolgere sul piano internazionale, in un mondo multipolare e multicentrico all’interno del quale si affermano leadership sempre più forti e nazionaliste: mentre l’influenza morale e politica degli Stati Uniti diminuisce, se la Russia è guidata dall’uomo forte per eccellenza Vladimir Vladimirovic, la Turchia dal sultano Erdogan e la Germania da mamma Angela Merkel, perché la Cina non avrebbe dovuto partorire un super Xi?
Nello stesso tempo, la collegialità rimarrà un aspetto importante (anche se meno importante) del Pcc, non fosse altro perché è inimmaginabile un Paese di 1,36 miliardi di persone con un solo uomo al comando. Basti pensare che, quando regnava Mao, la popolazione della Cina era la metà di quella attuale e l’ideologia era in grado di mobilitare le masse. E il Grande timoniere dovette a più riprese fronteggiare una violenta fronda interna al Partito.
Domani sapremo se i cinque nuovi membri del Comitato permanente del Politburo saranno fedelissimi di Xi.
Intanto nella Costituzione emendata è stato inserito anche un riferimento alla leadership “assoluta” del Partito sull’esercito; al ruolo “decisivo” del mercato nella distribuzione delle risorse; e alla Belt and Road Initiative, a dimostrazione di quanto venga considerata strategica la principale iniziativa di politica estera cinese.
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Qui di seguito invece il redazionale di Cinaforum.net
Non solo uomini di Xi nel nuovo Politburo
Con la rituale, austera coreografia – tutti in piedi per qualche scatto accanto al segretario generale Xi Jinping e al premier Li Keqiang – il Partito comunista cinese ha svelato oggi a Pechino i nomi dei cinque nuovi componenti il Comitato permanente del Politburo, il potente organismo di sette membri che, di fatto, governa il Paese più popoloso del mondo.
Nel tentativo di sostenere la tesi di uno Xi tutto impegnato a prolungarsi il mandato oltre il 2022 (quando scadrà il doppio mandato quinquennale attribuito, per consuetudine, al segretario generale), in queste molti media sottolineano che – a differenza del 2007 con Xi e Li nel ruolo già di eredi designati – tra i cinque questa volta “non c’è nessun successore designato.
Un’altra considerazione va fatta sulla presunta lotta tra fazioni, che Xi avrebbe azzerato negli ultimi anni colpendone esponenti di spicco attraverso la campagna anticorruzione. Almeno due dei cinque nuovi leader sono riconducibili a tali “fazioni” tanto che si parla di un Comitato permanente “di compromesso”, piuttosto plurale. Ciò sembra confermare che la mani pulite con caratteristiche cinesi abbia scopi che vanno ben al di là della lotta politica, che nel Pcc c’è sempre stata, ma riguarda soprattutto una differente interpretazione – trasversale alle fazioni – sulla definizione del rapporto tra Stato e mercato.
Vediamo i nomi dei cinque nuovi membri del Comitato permanente del Politburo che affiancheranno Xi e Li.
Li Zhanshu, 67 anni, è il capo del personale e braccio destro di Xi Jinping, col quale ha un’amicizia trentennale. Ha accompagnato il segretario generale in numerosi viaggi di Stato e dal 2013 è a capo dell’ufficio generale della Commissione per la sicurezza nazionale presieduta da Xi. Li è stato governatore della provincia dello Heilongjiang, segretario del Partito nel Guizhou e a Xian.
Wang Yang, 62 anni, considerato un riformista è ex segretario del Partito a Chongqing e, dal 2007 al 2012 nella provincia industriale del Guangdong, dove si è guadagnato la fama di “liberal” facilitando la migrazione di lavoratori verso le città e rendendo pubblico il bilancio della grande provincia meridionale. È un uomo chiave nei rapporti internazionali, tra i più abili a comunicare con gli americani.
Wang Huning, 62 anni, è il teorico del Partito, direttore dell’Ufficio centrale di ricerca politica e tra gli ideatori del concetto di “Sogno cinese”, lo slogan che caratterizza il mandato di Xi. Si occuperà di propaganda, ideologia e organizzazione. Molti non lo davano tra i papabili, per il suo profilo giudicato “troppo accademico”: a 30 anni diventò il più giovane professore associato della prestigiosa Università Fudan di Shanghai. Wang sostiene che un governo molto centralizzato è utile per mantenere la stabilità e favorire la crescita, ma che debba gradualmente espandere i suoi principi democratici.
Zhao Leji, 60 anni, sarà a capo dell’apparato anticorruzione con la Commissione centrale di vigilanza (CCDI) alla quale sarà affiancato, dal marzo 2018, un nuovo organismo ad hoc, che avrà giurisdizione non più soltanto sugli 88 milioni di iscritti al partito, ma su tutta l’amministrazione pubblica. Negli ultimi anni ha lavorato assieme a Wang Qishan, ex capo della CCDI e protagonista assoluto della campagna “contro mosche e tigri” lanciata da Xi nel 2013.
Han Zheng, 63 anni, ex capo del Partito a Shanghai, sarà vice premier esecutivo. L’estate scorsa, alla testa di una delegazione di politici e imprenditori della seconda metropoli cinese, Han ha visitato l’Italia, incontrando il presidente del Consiglio Gentiloni e siglando una serie di accordi economici e di cooperazione. È un profondo conoscitore dell’economia dell’area di Shanghai che sotto la sua guida ha favorito i processi di innovazione tecnologica promossi dal governo centrale.
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