Un’attesa di circa un anno, a opera d’un Karzai uscente e rancoroso. Una promessa vaga di vari candidati alla presidenza, ma non di tutti. Un appoggio indifferenziato fra Ghani e Abdullah, i due pretendenti avversari e nemici, divenuti amici nella compromissoria diarchia. Così l’Accordo sulla sicurezza (Bilateral Security Agreement) è stato firmato ventiquattr’ore dopo l’investitura ufficiale della nuova leadership afghana e determinerà una presenza militare delle truppe Nato, certa fino al 2016 con proiezioni fino al 2024. Vediamo alcuni aspetti del patto.
Truppe ufficiali – Le attuali truppe della Nato in Afghanistan, che ammontano a 42.000 unità, divise fra 48 nazioni di cui 2/3 statunitensi, potrebbero scendere sino a 12.000 uomini lasciati sul territorio. Di questi circa 1.400 s’occuperanno dell’addestramento dei militari locali, i restanti costituiranno forze di supporto logistico, ma buona parte sarà costituita da piloti e personale delle basi aeree create e ampliate nel Paese (Kabul, Bagram, Maraz-e Sharif, Shindand, Kandahar, Jalalabad, Shorab, Gardez). L’accordo evita alle truppe Nato ogni genere di pattugliamento di terra, ad eccezione di quei casi per i quali il ministero afghano della Difesa non espliciti una cogente richiesta. Situazioni che possono riportare le truppe della missione in azioni armate offensive. Più d’un analista valuta come il limitato numero dei marines che rimarrebbero sul territorio (un terzo delle 12.000 presenze) sia poco efficace a sostenere aperte battute offensive a caccia di Talebani. Non lo furono i 100.000 militi lanciati da Obama quattro anni fa… Però il mandato Onu per la missione di polizia internazionale, che aveva una durata sino a tutto il 2014, non è esplicitamente cancellato, dunque è passibile di rinnovo, oltre che di cambio di obiettivi dell’impegno. Potrebbero essere introdotte non azioni primarie di controterrorismo, ma supporto a quelle compiute dall’Afghan National Defence Security Forces, sebbene dovrebbero rimanere reparti speciali (dalle 2.000 alle 4.000 unità) dedicati esclusivamente al compito di colpire i qaedisti, reparti che s’integrano con le unità afghane preparate per questo scopo.
Mercenari e invasori – Resta, invece, aperto il computo delle formazioni private utilizzate per raid e missioni di ricognizione. I contractors costituiscono da tempo una realtà ben presente nelle offensive armate sparse per il globo. Un censimento del luglio scorso sul Centcom (il Comando regionale statunitense per Asia centrale, Medio Oriente e Africa) parlava di 51.000 contractors che lavorano per il Dipartimento statunitense in Afghanistan e altri 14.000 che si relazionano direttamente ai ministeri locali. Fra questi 3.100 s’occupano di sicurezza e 3.600 di altre funzioni. Sul ruolo delle operazioni di taluni di loro, organizzati nei gruppi paramilitari che la Cia crea per la sua guerra ancora più sporca di quella della missione ufficiale Isaf, abbiamo avuto diversi esempi nel corso degli anni. L’ultimo episodio risale a undici mesi or sono: le esecuzioni mirate di civili nella provincia di Wardak, segnalate dal giornalista Matthieu Aikins sul periodico Rolling Stones. Tutti gli interventi rivolti contro i civili con rastrellamenti, arresti, per tacere degli attacchi armati a persone e cose, dovrebbero non essere più consentiti se non per casi eccezionali che determinano il rischio della vita. Determinati da chi, non è dato sapere. Infine l’accordo Bsa non s’occupa di possibili aggressioni esterne da parte di altre nazioni. Se quest’ipotesi, mai scartata nei confronti d’ingombranti vicini desiderosi d’egemonia (Pakistan e Iran), resta più fantapolitica che realistica, altre soluzioni d’instabilità non vengono escluse.
Talebani e Fata – La galassia talebana, ben più di quella qaedista degli anni Novanta, rappresenta un’incognita per il futuro di chi governa il Paese per sé o per conto terzi, come nel caso dell’attuale establishment. Che può giostrare quest’argomento con altre questioni interne come il male cronico della corruzione politico-amministrativa. Ammantandosi di virtuosa legalità il neo presidente ha risollevato l’annosa vicenda dello scandalo della Kabul Bank (un miliardo di ammanchi finiti in conti privati) di cui si resero protagonisti funzionari e faccendieri del governo Karzai. La prossimità di Ghani alla Banca Mondiale (struttura che all’epoca su quel caso chiuse gli occhi più che aprirli) potrebbe svelare risvolti delle trascorse malefatte, oppure utilizzare certe conoscenze per stabilire patti più o meno reconditi. Di fatto in un’economia per il futuro immediato impossibilitata a crescere, la voce degli aiuti internazionali continuerà a risultare indispensabile e questa voce negli ultimi tempi ha subìto tracolli. Osservando uno dei “benefattori” come Usaid, l’agenzia statunitense per gli aiuti, i fondi per l’Afghanistan sono passati dai 4,5 miliardi di dollari del 2010 a 1,8 miliardi del 2012 (i dati del 2014 non sono ancora noti). Col Bsa il periodo dell’incertezza sul controllo geostrategico statunitense ritrova stabilità e gli “aiuti” potranno, o usando il condizionale, potrebbero riprendere quota. Ma la coppia Ghani-Abdullah dovrà convincere quei talebani che non vogliono sentir parlare di presenza di truppe straniere, coloro che per la firma apposta al patto sulla sicurezza hanno bollato il governo come “schiavo” dell’Occidente.
Ostpolitik – Turbanti tosti che nei mesi scorsi hanno incrementato la presenza in alcune province (Konduz, Faryab) non limitandola alle incursioni. Rintuzzati in certi casi dall’esercito afghano, sostenuto dalle truppe Isaf, in altre circostanze no. Accanto alle perdite di soldati afghani che, secondo i comandi Isaf, sono ascrivibili fra i 7.000 e le 9.000 soggetti, per sostenere gli uomini dell’esercito, anche quelli provenienti da zone povere del nord-est (Badakhshan, Takhar, Nangrahar) pagati meno di reclute di altre province, i costi sono comunque ingenti. Il progetto sicurezza consuma più del 60% del budget nazionale, e mentre un tempo la presenza armata era a carico delle truppe straniere, col Bsa molte spese ricadranno sui conti interni. Proprio perché una pacificazione sarebbe meno gravosa sul piano finanziario il governo ribadisce a talebani e fondamentalisti l’utilità d’una politica negoziale, piuttosto che proseguire un logorante conflitto. Lo scambio compromissorio potrebbe avvenire sul terreno d’interessi passati e futuri. Si potrebbe prospettare una moratoria su “chi ha ucciso i nostri vecchi e bambini” afferma Ghani oppure su quegli arricchimenti rapidi che hanno prodotto acquisizioni indebite di terreni e proprietà. Ci sono dentro in tanti: warlords, magistrati, dirigenti e funzionari statali, poliziotti. Mancano certi ceppi talebani con cui è aperta una trattativa, se non su ruberie passate che non li ha avuti protagonisti, sulle opportunità venture. E’ l’Ostpolitik asiatica, ne vedremo gli sviluppi.
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