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Catalogna: in carcere anche la presidente del Parlament

Non si ferma la furia repressiva del governo e dei tribunali spagnoli. Ieri, al termine di una lunga giornata di interrogatori, il giudice del Tribunale Supremo Pablo Llarena ha ordinato l’arresto della presidente del Parlamento Catalano, l’indipendentista Carme Forcadell, per la quale ha disposto la liberazione una volta pagata una cauzione pari a 150 mila euro. Gli altri componenti dell’ufficio di presidenza dell’assemblea catalana – Lluis Corominas, Lluis Guinó, Ramona Barrufet e Ana Simó – sono stati rilasciati a piede libero ma dovranno versare ognuno 25 mila euro entro una settimana per rimanere in libertà in vista del processo; nel frattempo gli è stato ritirato il passaporto e dovranno comparire ogni settimana in tribunale per attestare la loro presenza in territorio ‘spagnolo’. L’unico a scampare ogni provvedimento restrittivo è stato Joan Josep Nuet (di CSQP, l’aggregazione che comprende Podemos).

Al loro arrivo, in mattinata, presso la sede del Tribunale Supremo nel centro di Madrid i componenti dell’ufficio di presidenza del Parlament erano stati accolti dalla solita – ma assai sparuta – manifestazione organizzata dai gruppi di estrema destra all’insegna di slogan nazionalisti, di canti franchisti e di minacce e offese nei confronti dei ‘separatisti’.

L’accusa nei confronti di tutti gli interrogati era quella di ‘ribellione’, per aver permesso ai deputati di discutere e votare la “dichiarazione di indipendenza”, lo scorso 27 ottobre. Per tutti, tranne che per Nuet, la procura aveva chiesto l’arresto senza cauzione, ma il giudice è stato “più clemente” anche grazie alla relativa collaborazione da parte degli imputati. Forse è servito, seppure fino ad un certo punto, il cambiamento della strategia da parte di Forcadell rispetto alla scelta dei ministri incarcerati nei giorni scorsi di non rispondere alle domande dei magistrati spagnoli. Forcadell ha infatti dichiarato di riconoscere la cessazione del Govern e del Parlament e quindi la legittimità dell’applicazione dell’articolo 155 della Costituzione da parte del governo spagnolo, e ha definito “evidente” la dissoluzione delle istituzioni catalane. Secondo alcune fonti giornalistiche, la presidente del Parlament avrebbe anche affermato che la dichiarazione unilaterale di indipendenza aveva un carattere esclusivamente “simbolico” e senza effetti giuridici. Altre fonti hanno in parte smentito quello che a molti indipendentisti è suonato come un tentativo maldestro di sminuire l’importanza di un atto che certamente ha un valore prettamente simbolico ma anche un significato politico, e al quale dovrebbe nei prossimi mesi appoggiarsi un vasto movimento di resistenza e disobbedienza istituzionale e popolare.

Un tentativo, ammesso che venga confermato, che si è rivelato utile fino ad un certo punto, visto che il giudice ha comunque decretato l’arresto di Forcadell, considerata dal magistrato una delle leader e delle promotrici del processo di ribellione nei confronti delle leggi e delle istituzioni dello Stato Spagnolo e rinchiusa nel carcere di Alcalà Meco. Scrive il giudice nella sentenza che “i promotori dell’indipendenza avrebbero potuto servirsi della violenza, e di una mobilitazione più decisa e pacifica di vaste proporzioni, per esibire i movimenti popolari come spoletta di una eventuale esplosione sociale”. Ma il giudice del Tribunale Supremo Pablo Llarena riconosce che difficilmente il delitto di ‘ribellione’, che comporta una pena fino a 30 anni di carcere, potrà essere utilizzato per descrivere il ruolo di Carme Forcadell, come invece insiste il procuratore generale dello Stato, Josè Manuel Maza. Al massimo potrebbero configurarsi, secondo il giudice, i reati di cospirazione e sedizione, che comunque vengono puniti con pene non certo irrisorie.

Anche gli altri imputati hanno in qualche modo tentato di sminuire il valore giuridico della dichiarazione di indipendenza, così come il carattere unilaterale della stessa, riconoscendo che un tale atto solo può essere il risultato di un accordo con la controparte, almeno stando alle cronache pubblicate dai quotidiani spagnoli e catalani (che in mancanza di una smentita da parte dei diretti interessati vanno per ora prese per buone…).

Subito dopo la pronuncia della sentenza da parte del giudice del Tribunale Supremo, l’Assemblea Nazionale Catalana ha annunciato che si incaricherà di versare la cauzione imposta a Carme Forcadell e al resto dei membri dell’Ufficio di Presidenza del Parlament attingendo alla cassa di solidarietà creata nei mesi scorsi attraverso una capillare sottoscrizione popolare. Forcadell è stata scarcerata nel primo pomeriggio, una volta che i suoi avvocati hanno versato l’assegno.

Per domani pomeriggio l’Anc e l’altra associazione trasversale indipendentista, Omnium Cultural, hanno convocato a Barcellona una grande manifestazione nazionale per la liberazione dei prigionieri politici; il massiccio corteo sarà aperto da uno striscione che reciterà “Llibertat presos polítics. Som República” e dai familiari di Jordi Sanchez e Jordi Cuixart. Proprio ieri Carmen Lamela, giudice dell’Audiencia Nacional, il vecchio Tribunale per l’Ordine Pubblico di franchista memoria, ha rifiutato di concedere la scarcerazione al vicepresidente della Generalitat, Oriol Junqueras, e ai sette ministri imprigionati la scorsa settimana perché accusati di ribellione, sedizione e malversazione di fondi pubblici (destinati all’organizzazione del referendum del 1 ottobre).

Non sono però solo i dirigenti delle istituzioni catalane ad essere presi di mira dalla repressione spagnola in vista dell’appuntamento elettorale del 21 dicembre che, imposto da Madrid dopo il commissariamento della Generalitat e lo scioglimento del Parlament, mira a condizionare il voto e a ottenere con la forza un cambio di maggioranza a favore dei nazionalisti spagnoli.

Ieri il Ministro degli Interni, Juan Ignacio Zoido, ha difeso il comportamento dei Mossos d’Esquadra – anch’essi commissariati – e della Policia Nacional contro i manifestanti che mercoledì hanno partecipato alle manifestazioni e ai blocchi stradali e ferroviari organizzati nella giornata di sciopero generale indetto dai sindacati di classe contro la repressione. L’esponente del Partito Popolare ha esplicitamente minacciato i “cento radicali” identificati nel corso degli interventi contro blocchi stradali e ferroviari – circa 70 quelli realizzati durante la giornata – che hanno paralizzato la circolazione in tutta la Catalogna e hanno visto la partecipazione anche di migliaia di persone, come nel caso dell’invasione dei binari dell’alta velocità a Girona e poi nella stazione di Sants, a Barcellona. Zoido ha affermato che “gli atti di sabotaggio” nelle strade e contro le linee ferroviarie non rimarranno impuniti.

Intanto il consigliere comunale del comune di Badalona (periferia industriale di Barcellona) Josè Tellez, accusato di aver restituito ai manifestanti un cartello sequestrato dalla Polizia Locale durante le proteste dello scorso 25 settembre contro gli arresti dei funzionari della Generalitat, si è rifiutato di rispondere alle domande dei giudici della Procura che lo accusano di disobbedienza e ostruzione alla giustizia, denunciando la mancanza di indipendenza della magistratura rispetto al potere politico.

Da parte loro sette elettori che sono stati feriti a causa delle feroci cariche contro i seggi durante il referendum del 1 ottobre scorso hanno deciso di chiedere alla procura di indagare sul comportamento degli ufficiali della Policia Nacional che gestirono i reparti antisommossa lanciati contro cinque diverse scuole di Barcellona. I denuncianti hanno chiesto che venga interrogato al riguardo anche il colonnello della Guardia Civil Diego Perez de los Cobos, incaricato dal governo spagnolo di coordinare durante quella giornata i Mossos, la Policia Nacional e la Guardia Civil. Le vittime dell’indiscriminata repressione durante il referendum dichiarato illegale da Madrid – che causò quasi mille tra contusi e feriti, alcuni dei quali gravi – non solo pretendono la punizione degli agenti, la cui identità è stata confermata dall’esame dei filmati girati da elettori, attivisti e giornalisti, che usarono i loro manganelli contro di loro, ma anche degli ufficiali che li coordinavano. Il comportamento violento degli agenti – manganellate sul volto, calci, pugni – non sono da considerarsi eccessi isolati da parte di alcuni membri delle forze dell’ordine, accusano gli avvocati dell’associazione per i diritti umani ‘Iridia’, ma il risultato di una precisa strategia violenta coordinata dall’intera catena di comando contro la cittadinanza.

Da rilevare, invece, che mercoledì scorso la sezione spagnola di Amnesty Internacional ha affermato di non poter considerare né Cuixart e Sanchez né gli esponenti del governo catalano rinchiusi in carcere come “prigionieri di coscienza” – cioè prigionieri politici – in quanto sono accusati di reati previsti dal codice penale (!). L’associazione per la difesa dei diritti umani, spesso strabica nei suoi giudizi a seconda del paese in cui interviene, ha comunque affermato di considerare eccessiva la prigione preventiva decisa dai giudici nei confronti degli esponenti indipendentisti e ha chiesto il ritiro dell’accusa di sedizione nei loro confronti…

 

 

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