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Palestina: Trump vuole imporre un cambio di leadership

I palestinesi vogliono ancora aiuti economici da parte degli Stati Uniti? Allora devono riprendere i negoziati. Anzi, forse devono proprio cambiare leadership (e ad Abu Mazen iniziano a fischiare le orecchie).

Al netto della rozzezza comunicativa a cui Donald Trump ci ha abituato, quello che emerge dalle dichiarazioni “sovrapposte” del presidente USA da Davos e dell’ambasciatrice Haley durante un discorso all’Onu è quasi una sorta di ultimatum rivolto direttamente ed esplicitamente al presidente dell’Anp.

Molto diretto Trump, altrettanto la Haley. Il concetto è chiaro: o ti adegui a quello che è il nostro progetto per la questione palestinese – e più ampiamente per un riassetto complessivo dell’area mediorientale – o devi trovare un altro lavoro.

A margine del World Economic Forum di Davos, in Svizzera, Trump è dunque intervenuto sulla questione palestinese, partendo dal suo disappunto nei confronti di Abu Mazen per la “mancanza di rispetto” del rifiuto ad incontrare il vice presidente Pence la scorsa settimana.

La scelta del leader palestinese, ovviamente per protesta rispetto alla scelta dell’amministrazione USA di spostare l’ambasciata a Gerusalemme, ha dato fastidio a Trump, secondo cui invece la decisione unilaterale presa è un elemento “a favore della pace” (!!!).

Nei negoziati precedenti non riuscivamo mai ad andare oltre la questione di Gerusalemme. Ora l’abbiamo tolta dal tavolo, così non dobbiamo più parlarne” – ha dichiarato il presidente, aggiungendo poi la prima minnaccia: “Diamo centinaia di milioni di dollari ai palestinesi. Quei soldi sono sul tavolo, non li riceveranno più se non si siedono a trattare”.

La grande idea di Trump è più o meno questa: con la concessione di Gerusalemme capitale Israele dovrà mostrarsi meno rigida, e se i palestinesi si ammorbidiscono ulteriormente (cioè in pratica annullando qualsiasi tipo di pretesa) sarà possibile addivenire ad un accordo. Il tutto con l’aiuto dell’Arabia Saudita che, in cambio di sostegno contro l’Iran, convincerà i palestinesi a fare i bravi. Facile no?

Non c’è bisogno di spiegare come tutto sia a vantaggio di Israele, e che l’unica prospettiva che questo tipo di progetto prevede per il popolo palestinese è accettare silenziosamente il proprio destino.

Beh, diciamo che a fare piani di pace così, saremmo bravi un po’ tutti.

Ma torniamo alle dichiarazioni: a rincarare la dose, come detto, l’ambasciatrice all’Onu Nikki Haley, che è stata forse ancora più ficcante: “Abu Mazen ha offeso il nostro presidente. Gli manca il coraggio e la volontà di cercare la pace”.

Per capire in che direzione si sta andando, è interessante anche citare il primo ministro israeliano Netanyahu, che in un confronto con il giornalista Fareed Zakaria ha descritto la sia idea di accordo con i palestinesi come “qualcosa di simile a quello che gli Stati Uniti offrirono alla Germania dopo la seconda guerra mondiale”, aggiungendo che i palestinesi possono anche autogovernarsi, ma Israele deve continuare a garantire la sicurezza nei loro confini.

Tutto chiaro, insomma.

Le risposte da parte palestinese sono arrivate da Hanan Asrawi, dell’Olp – “Rifiutarsi di incontrare l’oppressore non è una mancanza di rispetto, è un segno di rispetto di se stessi” – e da Nabil Abu Rudeina, portavoce di Abu Mazen – La minaccia della politica di fame e sottomissione non funzionerà con il popolo palestinese. Se la questione di Gerusalemme è fuori dal tavolo gli Usa resteranno fuori da quel tavolo».

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