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Le tangenti di Sarkò per nascondere la verità sulla guerra del 2011

Nicolas Sarkozy è stato incriminato per aver preso 50 milioni di euro da Moammar Gheddafi con cui avrebbe finanziato la sua campagna elettorale del 2007. Su di lui sta avanzando, da più parti, il sospetto che la guerra del 2011 contro il regime di Tripoli sia stata un modo per cancellare le prove di quella corruzione. Ma è una bufala gigantesca. Certo, la cosa può avere influito, in una certa misura, soprattutto nel modo brutale e definitivo con cui ad un certo punto, quelli che manovravano i “ribelli”, decisero di eliminare Gheddafi. Ma le ragioni di quella guerra furono ben altre.

Innanzitutto va ricordato che l’aggressione alla Libia fu voluta anche da USA, Gran Bretagna, Qatar ed Emirati Arabi Uniti. In prima fila c’era Barack Obama che sosteneva le primavere arabe con il fine esplicito di rimpiazzare i regimi laici esistenti con governi islamici “amici” e rimettere le mani sulle risorse energetiche dell’area.

Ma fu il Qatar a muovere le fila della rivolta di Bengasi da cui prese le mosse la “guerra civile”, mentre le petromonarchie temevano che si instaurassero dei regimi laici in seguito alle primavere arabe. Le spinte erano, dunque, diverse e contrastanti.

Così Londra e Parigi trovarono una sponda perfetta negli Emirati del Golfo che, peraltro, esercitavano(ed esercitano ancora) a loro volta un’influenza enorme sia nei confronti della Francia che della Gran Bretagna, paesi in cui hanno effettuato massicci investimenti nel corso degli ultimi decenni.

La verità è che sia Sarkozy che il premier britannico David Cameron colsero al volo l’occasione di chiudere i conti con l’eredità post-coloniale dell’Italia ed i suoi cospicui interessi sia energetici che economici in Libia (commesse et et). Una situazione che si era mostrata alla luce del sole con il Trattato di Amicizia italo-libico del 2009, voluto e firmato da Berlusconi e Gheddafi (la scena del baciamano tra le file di “amazzoni” libiche fu preso come un affronto inaccettabile dalle cancellerie occidentali) e che non era certamente andato giù sia ai Francesi che ai Britannici.

A quel punto Sarkozy cercò e trovò una sponda in Qatar, Emirati Arabi Uniti ed Arabia Saudita, peraltro anche grandi investitori in armamenti prodotti made in France. E quando il figlio di Gheddafi, Saif, disse di non capire la ragione dell’improvvisa ostilità francese aggiungendo ironicamente che sarebbe stato pronto a riconsiderare l’acquisto di caccia francesi Rafale a cui erano stati preferiti i Sukhoi russi, aveva colto nel segno avendo intuito perfettamente dove stava andando a parare la situazione.

Insomma, le tangenti di Gheddafi a Sarkozy, nel quadro appena descritto, appaiono solo come un dettaglio nella volontà di Sarkozy di ottenere l’uccisione di Gheddafi, in cui pare, tuttavia, siano stati coinvolti davvero i servizi segreti francesi (DGSE). Certo, se Gheddafi fosse stato catturato vivo avrebbe potuto svelare non pochi retroscena imbarazzanti per i suoi nemici occidentali ed arabi. Ma la guerra alla Libia ebbe una matrice complessa e fu determinata da un progetto ben più ampio delle beghe personali di Sarkò. E poi va ricordato che l’ostilità palese di Parigi nei confronti degli interessi italiani in Libia non nacque con Sarkozi e non è venuta, di certo, meno con suoi successori.

Potremmo dire che Sarkozy, a suo modo, interpretò una linea di pretesa egemonia nell’area che aveva solide tradizioni e che ha trovò poi anche in Francois Hollande ed Emmanuel Macròn dei perfetti continuatori. Basti pensare al sostegno fornito al generale Khalifa Haftar o, più recentemente, alle milizie affiancate da consiglieri militari francesi che hanno avversato i gruppi armati di Sabratha con i quali l’Italia aveva trattato per interrompere i flussi migratori dopo l’accordo italo-libico voluto da Gentiloni e Minniti del febbraio 2017.

Per completare il quadro va ricordato che furono gli Stati Uniti ad assestare il colpo finale alle truppe di Gheddafi sebbene Obama non avesse avuto il via libera del Congresso per condurre una guerra su vasta scala. Fu così che il presidente statunitense lasciò che le operazioni militari venissero svolte dagli alleati europei che impiegarono ben sette mesi prima di avere ragione delle deboli forze di Gheddafi.

E l’Italia? L’Italia cedette alle pressioni dirette di Washington e partecipò all’aggressione “costretta” dall’appartenenza alla NATO ed all’Unione Europea ma anche per impedire che i raid aerei francesi distruggessero gli impianti dell’ENI. Di certo che non basteranno le tangenti di Gheddafi a Sarkò a mascherare la totale inconsistenza politica del governo italiano che si schierò a favore della guerra seguendo la direzione “atlantista“ indicata da Napolitano, che mise così una pietra tombale su decenni di tradizione e vocazione mediterranea della politica estera italiana.

Eppure all’Italia sarebbe bastato non concedere le basi italiane senza le quali tutta l’operazione non sarebbe stata tecnicamente possibile. Barak Obama, senza il permesso del Congresso USA, sarebbe stato nell’impossibilità di condurre operazioni militari di lunga durata per le quali necessitava di almeno tre o quattro portaerei. Londra non aveva portaerei e Parigi, avendone una sola, avrebbe pagato costi altissimi per una flotta di rifornitori in volo. Peraltro avere accettato di entrare nel conflitto volle dire per l’Italia tradire un trattato già firmato con una grave perdita di reputazione ed influenza sui paesi dell’Africa del Nord tutti pubblicamente ostili all’intervento contro Gheddafi.

Cui prodest? Non certo all’Italia stessa. Spostare tutta le colpe su Sarkozy, nel tentativo capzioso e fuorviante di trasformare tutta la vicenda in un affaire di corruzione tra lui e Gheddafi, è un’operazione maldestra che mira a rimuovere dalla memoria collettiva il quadro di interessi in gioco che hanno determinato quella vile aggressione ma anche ad occultare le enormi responsabilità dell’Italia nella guerra del 2011 contro la Libia. Un tentativo che, non a caso, sta trovando una sponda attivissima di tra i commentatori dei media mainstream del nostro paese.

In conclusione, non si può non convenire con quanto scritto da Giorgio Cremaschi su Contropiano del 22 marzo 2018:

Napolitano sulla vicenda libica scatenò quell’interventismo prepotente che poi usò a dismisura nelle crisi economiche e politiche successive. Il presidente della Repubblica cominciò subito a pretendere che l’Italia scendesse in guerra. Alla fine convinse il capo del governo Berlusconi, che era recalcitrante, e ottenne, ma era scontato, la piena adesione del PD. Così l’Italia entrò nella sporca guerra, e il ministro della difesa La Russa offrì basi e aerei per l’impresa. Naturalmente tutta la grande stampa salì a bordo dei bombardieri, con la sua solita retorica da guerrafondai umanitari. Ora che la Libia non è più uno Stato, ora che motovedette non si sa di chi minacciano di uccidere chi salva i migranti in mare, ora che il governo italiano paga i tagliagole perché fermino quei migranti nel deserto, i colpevoli della sporca guerra di Libia dovrebbero essere chiamati a risponderne. Giorgio Napolitano per primo dovrebbe andare sotto inchiesta, anche se a differenza di Sarkozy non rischierebbe nulla, vista l’immunità. E con lui dovrebbero essere messi sotto accusa Berlusconi e tutti coloro che, più o meno convinti, hanno coinvolto l’Italia nell’intervento militare in Libia. Gran parte della classe dirigente colpevole di quella sporca guerra è stata punita dall’ultimo voto. È positivo ma non basta. Bisogna che si faccia piena luce su quella vicenda le cui conseguenze ancora paghiamo. Il parlamento faccia una commissione d’inchiesta e non lasci nulla di impunito, almeno politicamente. E i colpevoli, a partire da Napolitano, di aver trascinato il paese in una azione militare totalmente illegale, paghino per ciò che hanno fatto.

 

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