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Attacco Usa alla Siria, ma col freno tirato

Hanno evitato per scaramanzia il venerdì 13 – che nella tradizione anglosassone è il vertice della jella – ma appena passata la mezzanotte Usa, Francia e Gran Bretagna sono partiti all’attacco della Siria.

Come Contropiano aveva anticipato già ieri, i segnali di un incremento anomalo delle attività radar del Muos di Niscemi rivelava che l’attacco era ormai questione di ore.

Il via era stato dato dallo stesso Trump in diretta tv, alle 21 di ieri sera (le 3 in Italia), limitando però fortemente la portata dell’attacco rispetto alle sue stesse dichiarazioni della vigilia: “Il nostro obiettivo è distruggere le capacità di lanciare armi chimiche del regime siriano… andremo avanti il tempo necessario per distruggere le loro capacità”.

Una conferma indiretta di questa “autocensura” è arrivata da Damasco: “sono stati lanciati circa 30 missili, un terzo dei quali sono stati abbattuti”. Secondo fonti ufficiali russe, invece, si è trattato di 103 missili da crociera e aria-terra su obiettivi militari e civili in Siria. Il ministero della Difesa russo, però, aggiunge che 71 di questi missili missili è stato “intercettato e abbattuto” dai sistemi di difesa siriani.

I russi sono stati avvertiti in anticipo e gli attacchi hanno evitato con molta cura anche solo di sfiorare truppe o installazioni con personale russo. Anche qui la conferma arriva da Mosca: “nessuno dei missili degli Usa e dei suoi alleati è entrato all’interno delle aree anti-aeree russe”. Come del resto aveva dichiarato nella notte il segretario di Stato, Mattis, spiegando che i bersagli “sono stati specificatamente individuati per evitare di colpire presidi con forze russe in Siria”.

La giustificazione, ampia e ossessiva, è sempre la solita: bisognava “punire Assad per l’uso di armi chimiche”, anche se il personale Onu presente in Siria avesse ripetutamente smentito di aver rilevato tracce di armamenti chimici nell’area di Douma, dove – secondo la propaganda di Washington, Parigi e Londra – si sarebbe svolto quell’attacco.

Se non seguiranno nella prossima notte altri bombardamenti verrebbe insomma confermata la prima impressione: Trump e gli altri stati servi (sottolineiamo che l’attacco non ha coinvolto la Nato, anche per l’esplicita contrarietà della Germania e di altri paesi) hanno pensato di poter uscire dal cul de sac in cui si erano infilati da soli sferrando un attacco poco più che simbolico.

In una situazione sul campo molto complicata (la Siria “ospita” in questo momento truppe iraniane, russe, turche e statunitensi) il rischio che un’operazione più massiccia coinvolgesse soprattutto truppe di Mosca era fortissimo. E già nei giorni scorsi i russi avevano avvertito che in caso di proprie perdite avrebbero reagito colpendo “le basi di lancio dei missili”: ossia le navi statunitensi, inglesi e francesi al largo della costa siriana o del Libano. Avvertimento a cui, nelle ultime ore, si è aggiunto il monito dell’ambasciatore russo a Washington, Anatoly Antonov: “Le azioni degli Usa e dei loro alleati in Siria non rimarranno senza conseguenze”.

Un’eventualità del genere – non serve un von Clausevitz per capirlo – avrebbe comportato il rischio di avviare una “guerra simmetrica”, ossia tra forze militari qualitativamente equivalenti (anche se l’armamento americano è quantitativamente superiore).

Ricordiamo a tutti i non addetti ai lavori che le guerre statunitensi degli ultimi 30 anni (dalla caduta del Muro in poi) sono state “guerre asimmetriche”, ossia aggressioni unilaterali di una potenza che disponeva di armamento nucleare, marina, aviazione, forze di terra corazzate e non, ecc, contro paesi che invece potevano disporre soltanto di armamenti convenzionali e in quantità limitate (Jugoslavia, Iraq, Somalia, Libia).

Una “guerra simmetrica”, insomma, tra potenze nucleari dà come sempre un solo risultato certo: la mutua distruzione assicurata.

E’ la constatazione che ha preservato il mondo dalla terza guerra mondiale al 1945 ad oggi. E forse, al Pentagono, qualcuno si è rifatto rapidamente due conti, premendo infine delicatamente il pedale del freno.

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