Oggi, domenica 24 Giugno si sta votando in Turchia per le elezioni politiche e presidenziali.
Nel parliamo con Murat Cinar, giornalista free-lance turco da anni residente in Italia.
Le elezioni anticipate in Turchia sono solo l’ultima delle trovate di Erdogan, che ci ha abituato ad accelerazioni e svolte repentine. Quali sono le motivazioni di questa scelta?
Ci sono motivazioni ufficiali e non ufficiali. Quelle ufficiali sono state dichiarate nel mese di aprile da Devlet Bahçeli, leader del partito nazionalista MHP. Tale partito, dopo aver appoggiato esternamente l’AKP, fa ora direttamente parte della coalizione di Governo.
L’intervento di Bahçeli ha toccato tre punti: la crisi economica in arrivo, le dinamiche internazionali e una preoccupazione elettorale. A novembre, infatti, ci saranno le elezioni amministrative e le elezioni politiche avrebbero dovuto svolgersi nel 2019, per cui, in caso di sconfitta alle elezioni amministrative, anche le politiche sarebbero state molto più incerte.
Queste motivazioni non sono state mai smentite da parte del Governo o dal Presidente della Repubblica. Erdogan ha semplicemente dichiarato che, grazie al referendum presidenziale dell’anno scorso, la Turchia è pronta per passare totalmente al sistema presidenziale: i tre poteri (giuridico, legislativo e giudiziario) vanno accentrati per rispondere al terrorismo, alla crisi economica e alle incognite internazionali. Oltre a questo, non manca una motivazione più banale: il Governo, totalmente corrotto, cerca di evitare tutti i maxiprocessi a proprio carico dal 2014 e blindare il proprio operato per altri 4 anni diventa una necessità.
Quali sono le forze politiche che si presentano alle elezioni e come è cambiato lo scenario dall’ultima tornata elettorale?
È nato un nuovo partito di centro-destra, Iyi Parti (il Partito Buono), che ha come leader una donna. Nasce dalle costole del Partito nazionalista. Storicamente sono conservatori, ma l’appoggio dell’MHP (per tradizione critico verso Erdogan) al Governo, ha spaccato il partito e la parte più laica e meno aggressiva ha fondato questa nuova formazione. Alla guida si trova Meral Akşener, 61 anni, insegnante di lettere, laica, conta molto sulla libertà delle donne e sulla difesa della libertà di espressione. Molto probabilmente questa formazione politica supererà l’alta soglia di sbarramento (10%).
Poi abbiamo il partito CHP (Partito popolare repubblicano) e HDP, che non è meramente filo-curdo, ma un partito di sinistra che abbraccia le varie anime del progressismo nel Paese.
Infine c’è la coalizione tra AKP e MHP.
I residenti all’estero hanno già votato. Possono riservare qualche sorpresa?
I residenti all’estero sono più di 3 milioni e hanno la possibilità di votare da tre anni.
Per questa turnata elettorale, l’affluenza è stata quasi del 50%, in crescita rispetto alle ultime consultazioni (hanno votato 100mila persone in più), anche se stavolta ci sono delle diversità. Dopo il Colpo di Stato del 2016, infatti, molte persone hanno dovuto emigrare e, esclusi quelli a cui è stato ritirato il passaporto, i migranti politici potrebbero dare un segnale. La novità è la nuova diaspora turca e curda, mentre in altri paesi si voterà come sempre.
Una delle motivazioni della tenuta dell’Akp è stata la crescita economica. Su questo versante, oltre a problematiche interne legate al modello di sviluppo del Paese, si percepisce anche una cerca stretta internazionale nei finanziamenti.
L’economia è stata resa dipendente dall’estero in tutti i modi. Dai prodotti agricoli fino alla tecnologia, la Turchia ha quasi smesso di produrre in proprio. È diventata la Cina d’Europa, con fabbriche straniere che si avvalgono dell’ampia manodopera a basso prezzo. Condizioni di lavoro già disumane hanno raggiunto nuove vette raccapriccianti con l’arrivo dei siriani. La Turchia compra patate, cipolle, jeans; è il mattone, con le sue devastanti conseguenze ambientali, che domina l’economia nazionale.
Un Paese dove non ci sono risorse naturali ha bisogno di denaro “caldo”. Le aziende si sono indebitate in valuta estera (dollaro ed euro), la lira si è ripetutamente svalutata e il problema del debito è diventato scottante. Tante grandi imprese hanno dovuto chiedere alle banche una rinegoziazione del debito. Ciò vuol dire che parecchi cantieri in programma non sono partiti e che è stato richiesto l’intervento dello Stato per impedire i fallimenti.
Tutto ciò ha un effetto moltiplicato nel periodo elettorale. I partiti dell’opposizione parlano molto della crisi ma anche il partito al Governo ha dovuto ammettere la difficoltà del momento promettendo che dopo le elezioni tutto si risolverà.
Una delle soluzioni prospettate è quella di fare della Turchia in hub del gas…
Questo progetto è molto delicato. Il Governo svende il suo territorio, alimenta le commesse di imprese a lui vicine ma non c’è un serio guadagno economico per il Paese. L’obiettivo è il mantenimento del potere attraverso questa grande rete di aziende legate all’AKP
Un ulteriore elemento di debolezza è legato ai paesi produttori, spesso in guerra o con delicate situazioni interne. Infine bisogna dire che la destinazione di questi progetti, l’Europa, consuma sempre meno. Ma ad Erdogan interessa esclusivamente il consenso.
Con il fallito golpe si è chiusa la grande fase di protesta partita da Gezi Park. Si è aperta una stagione repressiva violentissima. Dopo mesi di terrore nel Paese sembra riemersa la voglia di far politica.C
Questa cultura repressiva ha creato una polarizzazione estrema; lo stato di emergenza è ancora in atto e numerose manifestazioni sono state impedite. Nella vita quotidiana il clima di odio alimentato dal Governo ha avuto gravi conseguenze: gli attacchi ad HDP, tra incendi di sedi e aggressioni fisiche, sono stati 35, con 136 membri arrestati e 12 parlamenti finiti in carcere. Una pressione così forte tende a creare un’esplosione, che spero non sfoci in un ulteriore conflitto armato, ma che la risposta venga dalle urne.
Ieri a Smirne c’erano 2 milioni di persone ad ascoltare il comizio elettorale di uno dei candidati; a Dyerbakir c’è stata la più grande manifestazione della città. Attraverso le interviste dei media indipendenti e dei grandi gruppi si percepisce una grande voglia di cambiamento e un estremo bisogno di calma. Ovviamente i sostenitori dell’Akp la pensano diversamente e seguono il loro leader, pensando che sia in atto un grande complotto internazionale e che i traditori della patria vogliano rovinare il Paese.
Con l’operazione militare “Ramoscello d’Ulivo” è ripartita la guerra strategica contro l’incubo “curdo”, vera ossessione del nazionalismo turco. Un’operazione di cui si parla poco. Cosa sta succedendo?
Questo è un terreno privilegiato per l’accordo tra movimento nazionalista e AKP. La Turchia si conferma come laboratorio di politiche militariste e di integralismo sunnita. Così il greco, l’ebreo, lo sciita, l’alevita, il curdo diventano i nemici. Colpire il curdo va sempre bene per incassare voti o aumentare il consenso.
Ma oltre ai dettagli militari c’è tutta una campagna mediatica, a partire dalla scuole, che tenta di dare copertura a questa incessante ondata d’odio. Alcuni governatori locali hanno parlato dell’esercito ottomano che sarebbe dovuto arrivare addirittura fino ad Aleppo. E sotto elezioni questo aspetto aumenta. Le operazioni militari hanno interessato la zona di frontiera dei monti Qandil e Sinjar, nel nord dell’Iraq, dove ci sono le basi del PKK, ed è stato trovato un accordo con gli USA sulla gestione della città di Manbij.
Ma il culmine della contrapposizione si raggiunge se il curdo, e parlo dei territori siriani, si è organizzato nel confederalismo democratico che è un esperimento amministrativo, culturale, economico, politico che non può essere facilmente digerito dal conservatorismo neo-ottomano.
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