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Dittatura del capitale o nazionalizzazioni e democrazia economica socialista

«Siamo di fronte a due modelli di sviluppo che si scontrano». Stragi del capitale o democrazia economica socialista come in Venezuela.

Prima che l’intera attenzione mediatica e dell’opinione pubblica fosse fagocitata dal caso della nave della Guardia Costiera italiana ‘Diciotti’ ferma nel porto di Catania con 177 migranti a bordo, nel paese si era acceso un sano dibattito sull’opportunità delle nazionalizzazioni. Tema emerso perché settori dell’autodefinito governo del cambiamento avevano avanzato l’ipotesi di revocare la concessione delle autostrade alla società controllata dalla famiglia Benetton in seguito al crollo del ponte Morandi a Genova. I settori liberal liberisti sono immediatamente insorti. Agitando anche, a sproposito, lo spauracchio Venezuela. Insomma, nulla di nuovo per un paese dove il circuito mainstream utilizza quotidianamente fake news per deformare la realtà e cercare di conformarla ai propri interessi. Un classico esempio di post-verità. 

Per questo abbiamo deciso di sentire un parere autorevole. Quello del professor Luciano Vasapollo, professore di Analisi Dati di Economia Applicata alla «Sapienza» Università di Roma, Delegato del Rettore per le Relazioni Internazionali con i Paesi dell’America Latina e dei Caraibi; e professore all’Università de La Habana (Cuba) e all’Università «Hermanos Saíz Montes de Oca» di Pinar del Río (Cuba) 

da L’Antidiplomatico

 

Professore, dopo l’immane tragedia di Genova, potrebbe tornare una stagione di nazionalizzazioni?

Siamo ancora una volta di fronte a due modelli di sviluppo che si scontrano. Uno è lo sviluppo quantitativo basato sullo sviluppismo, quindi solo sul profitto. Questo crea danni all’uomo e all’ambiente. I danni si misurano nella maniera in cui vediamo. Facciamo l’esempio del ponte di Genova: si tratta di una strage di Stato. Mi assumo la responsabilità piena di questa forte dichiarazione. Una strage compiuta da quello Stato che ha appoggiato le aziende e le multinazionali come Benetton che hanno agito come in quel famoso film ‘Prendi i soldi e scappa’. Perché la rete autostradale è stata costruita con le nostre tasse. Su questa rete ci sarebbe molto da dire, visto che l’Italia è una grande nave nel Mediterraneo dove ad esempio il trasporto delle merci si potrebbe fare via mare. Invece si è sventrato il paese con il sistema autostradale, già dagli anni 50’ con la Democrazia Cristiana, per permettere alla Fiat e all’Iveco tramite il trasporto su gomma di far soldi. 

Questo sistema dell’assistenzialismo alle imprese partito negli anni 50′ con i governi di centrodestra e centrosinistra. L’unica parentesi positiva è stata quelle delle nazionalizzazioni quando in Italia per cercare di creare un’ammortizzatore sociale contro lo sviluppo e l’avanzamento del movimento operaio, c’è stata una redistribuzione del reddito e della ricchezza. Pensiamo al fatto che oltre al lieve rialzo dei salari diretti e indiretti vi fu l’importante conquista dello Stato sociale, con la forza del movimento dei lavoratori. Scuola e sanità gratuita. Insomma, tutto lo Stato sociale. 

Parallelamente a questo si è messo in funzione tutto un sistema ‘irizzato’, quindi un sistema bancario fortemente pubblico, tutto il sistema energetico con l’ENI, le telecomunicazioni e i trasporti. Questo passaggio molto importante non vorrei si dimenticasse perché le nazionalizzazioni hanno funzionato nel nostro paese. Le nazionalizzazioni hanno reso dei servizi efficienti. 

Poi cosa è accaduto?

Poi è successo che il conflitto sociale e la forza del movimento operaio crescevano e quando l’ammortizzatore dello Stato sociale e delle nazionalizzazioni non sono più serviti, il grande capitale nazionale e transnazionale, e quindi anche gli Stati Uniti, hanno giocato in Italia l’arma del terrorismo e del fascismo. Ricordiamo la stagione delle stragi impunite, i tentativi di colpo di Stato. Non c’è un capitalismo buono e uno cattivo. Il capitalismo usa i suoi strumenti in funzione dei rapporti di forza. Quando i rapporti di forza erano positivi per i lavoratori il capitale ha dovuto concedere le nazionalizzazioni e lo Stato sociale, poi ha tentato l’arma repressiva. 

Quello che è avvenuto a Genova dimostra che lo sviluppismo quantitativo questo provoca. Essenzialmente il profitto e la logica che è stata imputata a Berlusconi, ma che di Berlusconi non è, perché gli artefici primari sono quelli che hanno voluto l’ingresso nell’Unione Europea, quindi tutta la diaspora dopo il Partito Comunista. I governi Prodi, D’Alema e i successivi. I Democratici di Sinistra, il Partito Democratico e via discorrendo. Che hanno la responsabilità di aver portato il paese al massacro sociale all’interno dell’Unione Europea. 

Qual è la logica che sottende le privatizzazioni?

Socializzare le perdite e privatizzare i ricavi. Così è stato fatto anche con il sistema autostradale. Costruito con le nostre tasse, dopodiché la gestione è stata data alle multinazionali. Estranee al settore. Il loro settore produttivo era quello dell’abbigliamento. Invece Benetton, come tanti altri, vede la rendita. C’è differenza tra rendita e profitto. Non c’è più bisogno di rischiare per fare profitto, ma la rendita. Io mi metto al casello, ho una rendita di posizione, chiunque passa di lì mi paga, altrimenti per fare il tratto di strada di un’ora ci mette quattro ore. Quindi una rendita assicurata. Le responsabilità non solo esclusivamente dei democristiani o di Berlusconi, il PD ha delle responsabilità enormi perché tutte le concessioni fatte, tutti processi di privatizzazione e liberalizzazione portano la targa Bersani. A me sinceramente veniva da ridere quando in campagna elettorale si diceva: esiste un partito di estrema sinistra, che supera a sinistra il PD sull’asse Bersani-D’Alema. Quest’ultimo è stato il presidente del consiglio e il ministro che ha massacrato per gli interessi delle multinazionali del petrolio. Per portare sull’Adriatico i canali, le condutture, per aprire le strade alle grandi multinazionali energetiche. D’Alema ha la responsabilità del bombardamento, del massacro e del genocidio del popolo jugoslavo. Bersani porta lo scettro del re delle privatizzazioni in questo paese. Perché a un certo punto tutte le imprese nazionalizzate le si rendono di proposito non efficienti – dalle Poste ad Alitalia – per poi procedere con le privatizzazioni.


Quali sono le alternative?

Questo è un modello. L’altro modello è quello che vediamo in Venezuela. Con tutte le sue contraddizioni e i suoi limiti. Un modello in cui abbiamo uno sviluppo non quantitativo, ma qualitativo, perché al centro si mette la persona. I governi di Chavez e Maduro invece di dare l’82% delle rendite petrolifere alle multinazionali del petrolio e lasciare il 18% al paese, mette a disposizione del Venezuela l’85% delle rendite. Per le infrastrutture e gli investimenti sociali. Per una scuola gratuita, per dare al popolo un’abitazione, il lavoro, un sistema fognario, l’energia elettrica. Alle multinazionali resta solo il 15%. Nessuna multinazionale, ENI compresa, decide di andare via dal Venezuela, pertanto significa che quelle di cui godevano erano super-rendite. Questo è un sistema di qualità. Basato sulla democrazia economica e basato sulla democrazia redistributiva. Quella che noi chiamiamo democrazia socialista dove attraverso le missioni sociali si è cercato di dare una dignità, un’identità e uno sviluppo autocentrato. Vedete, sviluppismo quantitativo da una parte, invece tentativo di avere uno sviluppo autodeterminato, a democrazia economica partecipativa. Uno sviluppo autocentrato con le decisioni popolari e la democrazia popolare.

 

In Italia si è creato un clima da stadio dove vi sono due tifoserie che si affrontano.

Non sono un tifoso di calcio. Insegno politica economica internazionale. Rivendico di essere un marxista. Dove il marxismo non è soltanto una collocazione politica, ma un metodo scientifico. Poi sono un dirigente politico, culturale e sindacale. Per cui faccio riferimento a quelli che sono i programmi e le iniziative portate dalle organizzazioni alle quali faccio riferimento e mi onoro di appartenere: dal Cestes dell’USB affiliata alla Federazione Sindacale Mondiale fino alla Rete dei Comunisti e poi di quella che è una rete di intellettuali e artisti, marxisti e progressisti, che ho fondato insieme a molti altri dietro direttiva di Chavez e Fidel Castro nel 2004.

Ora davanti alla scelta di uno sviluppo autodeterminato a democrazia socialista non è che i capitalisti ti regalano qualcosa. Pertanto l’attacco al Venezuela è un attacco pesantissimo. Perché dobbiamo ricordare che il Venezuela è il 5° produttore di petrolio ma il 1° paese con le maggiori riserve di petrolio. Quindi conquistare il Venezuela vuol dire conquistare il petrolio. Rimettere le mani sull’America Latina, dove con tanti colpi di Stato più o meno bianchi, come contro Dilma Rousseff e Lula in Brasile, quello in Paraguay, si sta cercando in una fase di guerra espansionistica economica, quindi di crisi capitalistica, di rimettere le mani sulla regione. Quindi i provvedimenti presi da Maduro sono i provvedimenti minimi che avrebbe dovuto prendere per uscire dalla crisi. Quindi quella che viene chiamata svalutazione del Bolivar, o l’ancoraggio del Bolivar al Petro, significa cercare semplicemente di sottrarsi alla speculazione sui mercati di cambio. Perché c’è una speculazione, una guerra economica che è la guerra commerciale, poi c’è una guerra finanziaria internazionale, poi una guerra monetaria sui mercati di cambio. Contro il Venezuela è stato scatenato tutto questo fino all’attentato a Maduro. Fascisti e narcotrafficanti contro la Rivoluzione Bolivariana. Per sottrarsi a tutto questo si prova innanzitutto a legare la moneta alle riserve di petrolio e non al dollaro o l’euro, quindi alla speculazione e gli attacchi dell’imperialismo statunitense e di quello dell’Unione Europea. Guidato da governi di centrosinistra dove il PD è fonte principale. 

 

Ha fatto riferimento alle misure implementare da Maduro in Venezuela per far fronte alla guerra economica e le dure sanzioni statunitensi. Riusciranno queste a risollevare l’economia venezuelana?

Abbiamo la possibilità con delle manovre di uscire fuori dalla tenaglia della speculazione internazionale. Non sarà facile. I provvedimenti presi da Maduro sono quelli giusti. Provvedimenti anti-inflattivi, per la redistribuzione del reddito e delle merci, per rendere il commercio più autodeterminato, legare la moneta alla criptovaluta Petro invece che al dollaro o l’euro. Ma se la speculazione internazionale ti attacca in un momento in cui le rivoluzioni e i paesi progressisti sono una minoranza senza appoggi internazionali, ovviamente diventa difficile trovare una soluzione.         

Pertanto a chi afferma, come Casini, che chi vuole le nazionalizzazioni in Italia vuol dire che vuole rendere il paese come il Venezuela, dico che ha ragione. Noi che difendiamo non da tifosi, ma da politici che hanno a cuore le sorti del paese e del popolo, vogliamo processi di nazionalizzazione in Italia proprio come in Venezuela. Perché l’unico modello razionale è quello di democrazia economica a carettere socialista con la pianificazione, e non il cosiddetto liberoscambio che è il regno estremo del profitto. 


Intanto continua imperterrita la disinformazione a reti unificate contro il Venezuela.

Approfitto di questa considerazione anche per rispondere a chi ha pubblicato delle foto dove viene mostrato che per acquistare beni di prima necessità come un pollo vi è bisogno di una montagna di denaro, che questa si chiama inflazione. Il problema non è tanto quanto denaro ci vuole per comprare un pollo, ma la capacità d’acquisto. E la capacità d’acquisto è intaccata dalla guerra economica che vuole l’oligarchia venezuelana e le forze reazionarie, imperialiste e delle multinazionali. Addirittura si è speculato contro il Venezuela con il terremoto. In Venezuela vi è stato un sisma di potenza 7,3 che per fortuna non ha prodotto vittime. Ho letto e sentito che si è affermato come il terremoto abbia colpito un paese già ridotto alla fame e piegato a causa della dittatura del governo Maduro. Dove c’è un problema umanitario. Nessuno guarda dentro casa sua. 

 

Appunto. In Italia?

Il nostro governo è molto contraddittorio. Dal punto di vista sociale si propongono le nazionalizzazioni, anche di settori strategici e industrie decotte come l’Ilva. Noi sosteniamo questa nazionalizzazione. Dall’altra parte invece ci sono ministri e forze di governo eversive, non sovversive. Che non hanno a cuore le sorti del paese né buone relazioni internazionali. Pensate ad esempio alla nave ferma a Catania dove si stanno commettendo reati contro il diritto internazionale e addirittura la nostra Costituzione. Abbiamo settori di governo che si muovono in chiave anticostituzionale. Se lo facesse un cittadino qualunque sarebbe già accusato e forse già arrestato. Vedete quant’è contraddittoria questa fase. Il problema è scegliere da che parte stare. 

 

Intanto noi de l’AntiDiplomatico insieme ad altri siamo oggetto di una campagna infamante.

L’AntiDiplomatico e riviste storiche del movimento operaio italiano che io difendo come Marx XXI, Socialismo 2000, Contropiano, vengono attaccati e infamati con l’accusa di rossobrunismo, di essere fascisti, perché vogliono le nazionalizzazioni, uscire dall’euro. Io penso che Contropiano, un giornale storico della sinistra di classe come Marx XXI e lo stesso l’AntiDiplomatico dimostrano tutti i giorni da che parte stare. 

Noi proponiamo – parlo per me e l’area a cui faccio riferimento – un’uscita dall’euro che non è certo quella di Salvini, Casapound o Alba Dorata. Noi individuiamo nella borghesia transnazionale europea il nemico. Il massacro sociale voluto dai governi di centrodestra e centrosinistra. Noi vogliamo uscire dalla gabbia dell’Unione Europea e dell’Euro da sinistra. Con un’alleanza delle forze popolari, di classe, dell’area mediterranea e non solo per dare uno sviluppo autodeterminato. Se questo significa seguire esempi come Cuba o il Venezuela dicessero quel che vogliono. Noi vogliamo sottrarci alla macchina del profitto dell’Unione Europea e delle multinazionali. Quindi nulla a che fare con l’uscita da destra. Davanti all’imperialismo di Stati Uniti e alla guerra non strizziamo l’occhio a nessuno, ma c’è una nuova geopolitica dove paesi come l’Iran, la Russia, la Cina, il Sudafrica giocano il loro ruolo nello scacchiere internazionale. Nessuno pensa che la Russia di Putin sia l’Unione Sovietica o che la Cina sia il sol dell’avvenire, però dobbiamo tener conto che gli Stati Uniti e l’Unione Europea non hanno più la leadership internazionale perché devono fare i conti con questi paesi. Paesi sotto sanzione ed embargo come il Venezuela e Cuba fanno bene ad avere scambi commerciali con soci, non alleati politici, come i cinesi, i russi, l’India e il Brasile. 

Poi per favore non si venga a parlare a noi di antifascismo. La nostra storia politica parla per noi, sin dagli anni 60′. Abbiamo dimostrato che uno dei nostri valori primari è l’antifascismo militante. Inoltre tra i fascisti sarebbero da annoverare non solo quelli che utilizzano la simbologia fascista, ma bensì chi si muove e opera da fascista, come alcuni settori del governo. Per cui prima di parlare si guardasse alla contraddizione interna del governo tra i partiti che vogliono le nazionalizzazioni e altri che invece vogliono il razzismo, l’estremismo e il fascismo.    

 

Quale opposizione per questo governo?

Fatemi dire che questo paese non ha opposizione. Perché il PD è il primo colpevole di tutte le leggi liberticide, le privatizzazioni e le concessioni alle multinazionali. Questo è un paese che attualmente è senza governo ed opposizione. L’unica opposizione è quella delle strade, l’opposizione è quella dei pochissimi mass-media liberi e indipendenti, e quella di sindacati come l’USB, dei movimenti sociali e di forze come Potere al Popolo che cercano di organizzarsi e darsi una prospettiva. Una prospettiva che insieme a Eurostop e altri movimenti indichiamo nell’uscita da Euro e NATO, per la creazione di un’ALBA euromediterranea, che abbia come modello l’esperienza latinoamericana. Quindi nazionalizzazioni, sviluppo autodeterminato e democrazia economica a carattere socialista.

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1 Commento


  • Franco Astengo

    Al riguardo del tema delle nazionalizzazioni c’è da tener presente che in ballo pare esserci la volontà della maggioranza Lega – M5S di tentare (riassumo semplificando sulla base di letture giornalistiche) di utilizzare la CDP (5 miliardi di depositi postali) quasi come una “Nuova IRI” o meglio come una “IRI 4.0” per sviluppare una nuova stagione di intervento pubblico in economia, inaugurata con l’acquisizione del 4,9% di Telecom attuata per fermare la scalata di Vivendì e che proseguirebbe con l’acquisizione della maggioranza della super- dissestata Alitalia.
    Questo all’inizio: adesso con la vicenda Autostrade il quadro è ancora in via di modificazione e sembrano crescere i contrasti tra gli alleati di governo.
    Entrando nel merito c’è da ricordare sommessamente che l’Italia ha di fronte il problema europeo e il rapporto con le economie occidentali e dei paesi ad alta concentrazione di capitali e di sviluppo industriale: uno stato di cose affatto diverso dal Sud America.
    Sarebbe il caso, a questo proposito, di ricostruire accuratamente la storia dell’IRI, almeno nel secondo dopoguerra: non mancheranno occasioni in questo senso.
    Per adesso, invece, sarà il caso di limitarci all’idea di intervento pubblico in economia così come questo potrebbe essere proposta nell’attualità.
    Attualità molto diversa da quando il tema fu proposto (e bloccato) all’epoca del primo centrosinistra e dell’avvio del “miracolo economico”.
    Il quadro generale di riferimento oggi è tracciato, da un lato dalla strategia dei dazi da parte degli USA e dalla continuità delle regole di “austerità” dettate dall’UE, a fronte di una complessità del mercato internazionale che presenta fortissimi squilibri strutturali anche da parte di quei paesi che si ritenevano emergenti e che avrebbero dovuto funzionare da nuovi riferimenti complessivi.
    Si tratta di fattori decisivi che ci richiamano a una necessità di un livello strategico tale attraverso il quale fronteggiare questa fase di fuoriuscita dallo schema della cosiddetta “globalizzazione” così come questo fenomeno si era evidenziato nell’ultimo decennio, a livello planetario.
    L’Europa impostata su di una logica strettamente monetarista è ancora in una situazione di deficit (che appare a prima vista incolmabile) sui rispettivi piani nazionali e subisce, forse più di altre parti del mondo, l’impatto di questo stato di cose e si trova di fronte alla contesa tra identità e globalismo (ben oltre il tema dei migranti, dominante soltanto per i media e sul piano propagandistico dell’ultradestra nazionalista).
    Intanto, mentre si verificano questi imponenti spostamenti di capitale, la condizione materiale dei lavoratori peggiora e la situazione economica complessiva dell’Unione Europea appare in una situazione di arretramento complessivo sicuramente non certificata dalle percentuali di crescita o di decrescita del PIL dei rispettivi Paesi
    L’Italia si trova in una situazione d’incapacità di difesa del proprio residuo patrimonio economico soprattutto perché si trova di fronte ad uno specifico intreccio perverso tra politica ed economia che finisce con il paralizzare scelte di fondo che sarebbero necessarie, soprattutto dal punto di vista dell’intervento del pubblico sia sul piano degli investimenti che della gestione in un quadro complessivo d’insufficienza grave anche dal punto di vista della realtà finanziaria(pensiamo alle difficoltà del sistema bancario, stretto anche dalla “questione morale”) e delle infrastrutture.
    Il tessuto produttivo nazionale attraversa, da anni, una crisi strutturale che condiziona l’economia del Paese e non si riesce a varare un’efficace programmazione economica, all’interno della quale emerga la capacità di selezionare poche ed efficaci misure, in grado di incrociare la domanda di beni e servizi e promuovere una produzione di medio e lungo periodo.
    Appaiono, inoltre, in forte difficoltà anche gli strumenti di rapporto tra uso del territorio e struttura produttiva, ideati nel corso degli ultimi vent’anni allo scopo di favorire crescita e sviluppo: il caso dei distretti industriali, appare il più evidente a questo proposito.
    Da più parti si sottolinea, giustamente, il deficit di innovazione e di ricerca.
    Ebbene, è proprio su questo punto che appare necessario rivedere il concetto di intervento pubblico in economia: un concetto che, forse, richiama tempi andati, di gestioni disastrose e di operazioni “madri di tutte le tangenti”.
    Oggi si tratta di riconsiderare l’idea dell’intervento pubblico in economia; non basta (anzi appare pericolosa) l’idea di usare la CDP come salvadanaio per acquisire quote di società già pubbliche poi privatizzate e adesso in totale dissesto.
    Si evidenzia così un’assoluta mancanza di strategia e quindi mi pare non ci sia nulla da appoggiare.
    Emerge, infatti, la consapevolezza di dover finanziare l’innovazione produttiva: è questo il nodo di fondo di un possibile rinnovamento della capacità di intervento pubblico in economia.
    Mentre il mercato internazionale si specializzava nei beni di investimento e intermedi, con alti tassi di crescita, l’Italia si specializzava nei beni di consumo, con bassi tassi di crescita.
    Nel 1990 (queste le responsabilità politiche vere del pentapartito) i paesi europei erano tutti in condizione di debolezza e tutti, tranne Portogallo, Grecia, e Italia, hanno modificato le proprie capacità tecnico – scientifiche diffuse, al fine di agganciare il mercato internazionale.
    Non a caso i Paesi europei hanno una dotazione tecnologica, costruita anche grazie al supporto e all’intervento diretto del settore pubblico ed è questo il vero elemento di squilibrio all’interno dell’UE mentre l’Italia è rimasta al palo nel campo dell’innovazione rinunciando anche allo sviluppo di segmenti alti del mercato del lavoro, nell’informatica, nell’elettronica, nella chimica, addirittura nell’agroalimentare. Queste sono state le responsabilità dirette e comuni di centro – destra, centro – sinistra, tecnici, larghe e piccole intese avvicendatesi al governo del Paese tra il 1992 e il 2018.
    Si è così’aperta l’involuzione del sistema, fino al distacco totale di interi settori sociali e all’acquisizione della maggioranza da parte di soggetti fondati, da una parte sul semplice schematismo dell’odio razziale (cresciuto fortemente a livello di massa) e dall’altro sull’improvvisazione e la pura sete di potere.
    Se si vuol pensare all’intervento pubblico in economia occorre affermare con grande chiarezza che l’approccio dato, in questo senso, alla questione di CDP è – perlomeno – sbagliato (ci sarebbe da dire anche colpevole, perché è colpevole pretendere di governare soltanto sulla base di slogan).
    L’intervento pubblico in economia necessita prioritariamente di programmazione e di capacità di gestione e, in questo momento, va rivolto prioritariamente, alla capacità di finanziamento e di regolazione verso i soggetti capaci di generare innovazione: l’Università, in primis, L’Enea, il CNR, le grandi utilities, le infrastrutture, al punto di far pensare a una proposta della costituzione di un’Agenzia per la ricerca e la programmazione pubblica.
    Si tratta di rilanciare un intervento pubblico in economia in grado di stabilire criteri vincolanti di collaborazione anche con imprese miste, nel cui quadro interventi di finanziamento siano collegati alla generazione di processi di alta ricaduta industriale e al perseguimento di precisi obiettivi di crescita occupazionale, nei settori avanzati e non tradizionali.
    Si delineerebbe così un processo lungo e difficile, il cui presupposto dovrebbe essere quello di non affidarsi al mercato e ai suoi meccanismi, prevedendo una capacità di intervento del pubblico, sia sotto l’aspetto della programmazione, che della correzione degli indirizzi generali.
    L’idea dell’intervento pubblico, della programmazione, della gestione si pone naturalmente, come accennato all’inizio, in diretta relazione con il quadro internazionale e – in specifico – con il ruolo dell’Italia nell’Unione Europea, nella necessità di rompere la gabbia monetarista.
    Sarebbe il caso di discuterne sul serio, fuori dalle improvvisazioni e dai propagandismi.

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