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Assassinio di Aleksandr Zakharčenko: chi ha armato la mano di Kiev

Dato che né le sanzioni dirette contro la Russia, né quelle annunciate o indirette contro imprese che intrattengano rapporti commerciali o industriali con la Russia, soprattutto nel settore energetico, né i ricatti nei confronti dei “partner” governativi europei, sembrano sortire per ora l’effetto voluto, o quantomeno, non alla velocità sperata, la disputa d’affari interatlantica fa un salto di “qualità”: Washington ricorre a metodi “diretti” per tirare Mosca nella trappola in cui da quattro anni non intende cadere.

L’assassinio a Donetsk di Aleksandr Zakharčenko sembra rientrare in questo scenario: arrivare alla provocazione massima, affinché il Cremlino si decida a entrare direttamente in scena nel Donbass e poterlo così accusare di fronte agli europei – pur se è difficile far dimenticare tutte le gravi e colpevoli responsabilità UE per la crisi ucraina e per il sostegno alla junta nazigolpista di Kiev e ai suoi esponenti più criminali – di essere davvero quella “fonte del male”, quell’elemento disgregatore della “casa comune” occidentale di cui, per limitarsi all’Italia, lo accusano socialdemocristiani e liberalfascisti.

Perché pare abbastanza evidente che i sicari di Kiev, se possono aver materialmente portato a termine l’azione terroristica, ben addestrati da istruttori polacchi, lituani, statunitensi, canadesi o tedeschi (e anche italiani), senza il beneplacito o addirittura l’ordine di Washington, difficilmente si sarebbero arrischiati a un omicidio tanto “eccellente”, per tutto quello che ha rappresentato e che tuttora, anche dopo la morte, rappresenta, l’ex Presidente della DNR.

Non a caso, attuando un piano coordinato, in contemporanea con l’assassinio del 31 agosto e contando certamente sul momentaneo disorientamento delle milizie popolari, le forze di Kiev hanno preso a muoversi in massa sul fronte del Donbass e il rappresentante USA per le questioni ucraine, Kurt Volker ha rimarcato la necessità di aumentare le forniture militari a Kiev, dimostrandosi in ciò degno continuatore del “gigante” (PD docet) McCain, delle cui volontà testamentarie si è fatta latrice postuma l’ex rappresentante USA all’ONU, Smantha Power, che ha ricordato le parole del maestro, secondo cui “l’America rimane a fianco dei propri amici e alleati”.

E, più o meno nelle stesse ore, i perlustratori delle milizie popolari attestano l’arrivo, nelle zone del Donbass controllate da Kiev, di un gran numero di mercenari stranieri, accompagnati da alti ufficiali statunitensi e canadesi. La ricognizione della LNR testimonia anche che si sono intensificate le azioni di cecchini ed esploratori ucraini; il portavoce Andrej Maročko ha sottolineato che Kiev, approfittando del fatto che le milizie della LNR osservano scrupolosamente il “cessate il fuoco scolastico”, stanno attivamente ammassando mezzi e uomini lungo il fronte. Nel settore della DNR, sembra che Kiev si appresti a una massiccia offensiva nel sud della regione, concentrando a est di Mariupol tre brigate di esercito e fanteria di marina, coperte alle spalle da reparti del battaglione neonazista “Azov”, che si occupano del rastrellamento dei villaggi; anche qui, secondo il portavoce delle milizie della DNR, Danil Bezsonov, sotto la supervisione di istruttori NATO. Il comandante di corpo della DNR, Eduard Basurin, ipotizza addirittura la data del 14 settembre per la probabile offensiva ucraina.

D’altra parte, a Mosca si infittiscono le richieste di un immediato riconoscimento delle Repubbliche popolari, con tutte gli effetti che ciò comporta, soprattutto in termini di aiuto militare. Il Segretario del PCFR, Gennadij Zjuganov ha detto ieri che la “fiducia sarà intaccata se, in risposta al feroce attacco terroristico, non rispondiamo con ferrea volontà e le necessarie misure. Decine di volte abbiamo proposto al presidente e alla Duma di riconoscere le repubbliche di Donetsk e Lugansk. Tale decisione fu presa per l’Ossetia del Sud e l’Abkhazia: dopo di ciò, là cessarono terrore e violenza”. Anche secondo il presidente della Commissione della Duma per le questioni della CSI, Leonid Kalašnikov, Mosca dovrebbe riconoscere DNR e LNR. Credo che “il governo continuerà purtroppo a seguire la linea della non interferenza nelle questioni del Donbass. L’obiettivo di Kiev” ha detto, era la sostituzione di Zakharčenko con qualcuno più prono alle pretese ucraine: “gli accordi di Minsk sono morti da tempo. Questo omicidio vi pone la croce definitiva”. Ancora più decisa la posizione del Senato russo: oltre a riconoscere LNR e DNR, Mosca dovrebbe tagliare all’Ucraina l’accesso al mare e al corridoio terrestre dalla Crimea alla Transnistria. Senza bisogno di arrivare a scontri diretti, hanno detto al Senato, sarebbe sufficiente circondare le truppe ucraine, la maggior parte delle quali si arrenderebbero immediatamente.

Rispondono indirettamente da Kiev, anche in relazione agli ultimi incidenti con i reciproci fermi e ispezioni di vascelli mercantili russi e ucraini nelle aree del mar d’Azov e dello stretto di Kherson, sostenendo che la VI Flotta interverrà a difesa dell’Ucraina e l’ex comandante della Marina di Kiev propone addirittura di minare le acque del mar d’Azov.

A parte le dichiarazioni, al momento, le immediate conseguenze dell’assassinio di Aleksandr Zakharčenko, secondo Novorosinform possono essere di carattere politico, organizzativo e militare-psicologico. Per il primo: con le elezioni nella DNR previste al 18 novembre (in esse, non ci sarebbero stati concorrenti per Zakharčenko) e le presidenziali ucraine al 2019, l’eliminazione del Presidente della DNR può rispondere all’interesse di Kiev di avere come controparte un soggetto più malleabile. Organizzativamente, Zakharčenko era Presidente della DNR, Primo ministro e Comandante in capo ed è difficile, in poco tempo, riunire in un unico soggetto, ancorché “collettivo”, tutte queste leve di controllo; come pure non è possibile escludere qualche conflitto “di potere” all’interno della Repubblica. Sul carisma dell’ex Presidente della DNR sul piano militare, non è necessario spendere troppe parole: non a caso, nota Novorosinform, tutti gli atti terroristici ucraini si sono concentrati contro i comandanti di campo più valorosi e prestigiosi.

Come scrive iarex.ru,  Zakharčenko non era solo l’ideologo, ma anche il motore della politica seguita da Mosca per non annullare gli sforzi positivi in direzione della parte di Ucraina chiamata un tempo “Malorossija” – le regioni di Khrakov, L’vov, Odessa, ecc. – ed è per questo che “era odiato da tutti gli scrocconi polacchi, britannici e americani, nei cui progetti l’Ucraina riveste il ruolo di ariete contro la Grande Russia. Porošenko è una nullità: non è lui a dirigere la politica di Kiev. E i discorsi nelle capitali europee sul fatto che sia tempo di archiviare Bandera, sostituendolo con un nuovo Petljura” vale a dire sostituire un aperto filonazista con un nazionalista fedele all’Occidente, confermano “il timore occidentale per l’alternativa moscovita di una “Malorossija” che unisca la famiglia slava”.

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