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Francia. Le sfide del nuovo anno politico in vista delle elezioni europee

L’anno politico in Francia riprende, dopo la pausa agostana, con alcune importanti “sfide” per il presidente Emanuelle Macron e la sua maggioranza governativa che si poggia sul movimento da lui creato En Marche!

La sua popolarità è ai minimi storici, dopo l’affare Benalla, come ha anche recentemente rilevato un sondaggio Viavoice pubblicato lunedì 27 agosto dal quotidiano Libération.

Solo il 35,7% degli intervistati esprime un giudizio positivo sul leader di LREM, solo l’8% si allinea sulla priorità politica propugnata da Macron per la ripresa di settembre, ovvero “un rilancio del progetto europeo”, e solo il 26% pensa che il Presidente si sia impegnato nella politica sociale e nella lotta contro le disuguaglianze.

In poco più di un anno “il più giovane Presidente della Francia” sembra avere notevolmente diminuito il proprio appeal nei confronti dell’elettorato, mentre la sua volontà di “moralizzare” la politica francese si è risolta con l’accumulo di “inchieste” sui suoi collaboratori più stretti, in alcuni casi con le loro dimissioni, e una pessima gestione dei vari scandali che hanno di volta in volta colpito il suo entourage.

Ne fa un impietoso elenco il sito d’informazione Regards.fr, a cominciare dai due casi recenti più eclatanti: oltre a quello dell’ex pretoriano Benalla e dello “stipendiato” da LERM Crase, anche quello di Alexis Kohler, ex direttore finanziario del colosso della navigazione italo-svizzero MSC, legato alla famiglia Aponte; per non dimenticare quello recentissimo della ministra dello sport dimissionaria, Laura Flessel, successivo alle dimissioni-choc di Hullot, ministro dell’ecologia, tra i più popolari del suo governo e “terza” carica governativa più importante.

Così scrive Loïc Le Clerc:

Laura Flessel Il 4 settembre, poche ore prima del post-rimpasto di Hulot, la ministra dello Sport Laura Flessel ha annunciato le sue dimissioni per “motivi personali”. Non ci sono volute 24 ore perché Mediapart rivelasse queste “ragioni”: “Le autorità fiscali hanno recentemente depositato un ricorso presso la Commission des Offenses Fiscal (CIF) di Bercy per un’eventuale denuncia penale per frode, dopo aver scoperto le violazioni nelle dichiarazioni del Ministro riguardanti una società di diritto all’immagine”. Si tratterebbe di di diverse decine di migliaia di euro di tasse

Il giorno precedente al sondaggio citato il 26 agosto, Le Journal du Dimanche aveva pubblicato una intervista al primo ministro Éduard Philippe, in cui venivano annunciate alcune misure di austerità che avrebbero costituito le priorità economiche del governo, tra l’altro posticipando ulteriormente la discussione sulla riforma costituzionale “interrotta” dall’esplodere del caso Benalla, e dall’imposizione da parte di tutte le opposizioni – sia di destra che di sinistra – di apposite commissioni d’inchiesta nei due rami del parlamento.

Il fiore all’occhiello della propaganda di Macron deve cedere il passo alle necessità del budget del 2019, senza che si abbiano oggi tempi certi per la sua messa in agenda.

Nelle mesures chocs di cui parla l’articolo, senza che ci fosse stato preventivamente alcuna interlocuzione con le parti sociali da parte di Philippe, il primo ministro si “assume il rischio di una perdita del potere d’acquisto per i pensionati e le famiglie e rivendica di privilegiare la remunerazione dell’attività rispetto alle prestazioni sociali”.

È la filosofia di governace neo-liberista di stampo macroniana ad entrare in crisi, sia per un una previsione errata (il prossimo anno era prevista una crescita dell’1,9% ma questa si attesterà attorno all’1,7%), sia per avere spacciato come “volano della crescita” la semplice detassazione delle imprese, che non ha prodotto i risultati sperati e che, nonostante questo, verrà proseguita con nuove misure di sgravi l’anno a venire, che peseranno non poco nel rapporto Debito/PIL.

Volendo rispettare i parametri del rapporto Debito/PIL al 3% imposto dalla UE, come confermato da Bruno Le Maire, lunedì 27 agosto, è chiaro che favorendo le imprese il governo deve procedere a dei tagli, cominciando dalla mancata indicizzazione delle pensioni rispetto all’inflazione, con aumenti dello 0,3% rispetto ad un tasso inflattivo attuale del 2,3%, e a tagli alla spesa sociale che graveranno sulla parte più vulnerabile della popolazione.

Come ha osservato Romaric Gordin, in un articolo sul sito d’informazione indipendente Mediapart, che “decostruisce” le strategie governative per ciò che concerne la preparazione del progetto della PFL, in pratica il corrispettivo del nostro DPEF, dal titolo eloquente,

Budget 2019: le gouvernement s’entête dans sa politique de classe”, rispetto alla proposta di defiscalizzare le ore straordinarie:

Infine, Édouard Philippe dimentica di menzionare diversi elementi importanti relativi a questa misura. In primo luogo, poiché la Francia non conosce la piena occupazione, l’incoraggiamento degli straordinari va a scapito dell’occupazione. L’OFCE ha stimato che questa misura dovrebbe contribuire a far scomparire 19.000 posti di lavoro. Inoltre, con la Legge sul lavoro del 2016 e le ordinanze del 2017, è più economico per i datori di lavoro ricorrere agli straordinari se un accordo aziendale è concluso in questo senso: l’aumento è solo del 10% contro 25 % secondo la legge ordinaria. In questo caso, anche con la “desocializzazione” degli straordinari, questi ultimi pagheranno meno di prima. Il lavoro non necessariamente paga. Inoltre, il governo dimentica di sottolineare un fatto importante: le misure di liberalizzazione del mercato del lavoro francese adottate dal 2015 e nuovamente accelerate lo scorso anno stanno iniziando a dare i loro frutti e pesano sulla crescita dei salari. Nel secondo trimestre, secondo Dares, i salari sono aumentati dell’1,4%, 0,3 punti percentuali in meno rispetto all’aumento dei prezzi. Vi è quindi un calo del salario reale in Francia e le misure per ridurre i contributi compenseranno solo, a volte in parte, questo declino. In altre parole, contrariamente a quanto afferma il governo, il lavoro non paga di più in Francia, paga ancora di meno ora.”

Come abbiamo citato all’inizio, il caso Hullot è tutto meno che un banale incidente di percorso per il governo  che ha proceduto ad un parziale rimpasto e che denota una mancanza di risorse umane adeguate da spendere nella macchina governativa.

Il perno della maggioranza si poggia su un movimento – LREM – che non riesce a darsi una forma organizzativa adeguata ed un relativo radicamento dopo l’exploit elettorale dell’anno scorso; è tra l’altro in notevole difficoltà nella selezione di una capolista e di candidati per le Europee dell’anno prossimo (come la maggior parte delle formazioni politiche francesi), nonché per le amministrative dell’anno successivo.

Le dimissioni di Hullot, ex presentatore della popolare trasmissione “Ushuaïa” e una delle figure più conosciute dell’ecologismo d’Oltralpe, a lungo corteggiato da vari Presidenti prima di Macron, sono dovute ad una serie di battute d’arresto e di arretramenti riguardo ad alcuni dossier importanti, che rivelano ulteriormente il peso delle lobbies nell’attuale processo decisionale governativo; gruppi di potere che si sono contrapposti, per esempio, ad una diminuzione del peso del nucleare nell’approvvigionamento energetico francese.

Secondo un inchiesta de L’Humanité, di martedì 4 settembre, a firma Lionel Venturini, su 298 consiglieri ministeriali 43 hanno lavorato come “lobbysti” e, nel caso delle dimissioni di Hullot, Thierri Coste, navigato lobbysta dell’Esagono sembra essere stata “la sua bestia nera” .

Bisogna un momento o l’altro porre il problema, perché è un problema di democrazia: chi ha il potere, chi governa?” ha dichiarato Hullot.

E quando è l’ex terzo uomo più importante dello staff di governo a porsi una domanda del genere, forse la definizione di democrazia oligarchica – per ciò che riguarda l’attuale sistema di potere, non solo in Francia – perde ogni connotazione retorica.

Come le forze politico-sociali si preparano all’autunno, e quali scenari si aprono per le elezioni europee del maggio prossimo, sarà oggetto di un prossimo contributo; è chiaro che ancora una volta il conflitto sociale sarà il lievito per quelle componenti politiche, come la France Insoumise, che vogliono fare delle urne di maggio un referendum sull’operato del presidente e del suo governo, e che lavorano per un ricompattamento di un ampio fronte d’opposizione che sfrutti la fine dello slancio della “Francia di Macron”.

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