Intorno a Idlib, città del nord-ovest della Siria vicino alla frontiera con la Turchia, si va delineando un nuovo stop and go di guerra, con azioni militari e iniziative diplomatiche che vedono in campo tutte le potenze regionali e internazionali decise a ridisegnare i rapporti di forza in Medio Oriente.
Gli Stati Uniti hanno convocato per venerdì una riunione del consiglio di sicurezza dell’Onu, di cui hanno la presidenza di turno, sulla situazione a Idlib. Ad annunciarlo è stata l’ambasciatrice Usa al palazzo di vetro Nikki Haley.
La Russia, al momento, ha respinto il monito di Trump ed ha ripreso a bombardare intensamente la provincia di Idlib con almeno 50 raid aerei delle aviazioni russa e siriana. Il motivo per aver cominciato i bombardamenti è stato il ripetuto tentativo da parte degli insorti di colpire la base di Hmeimim, nei pressi del porto mediterraneo di Latakia e quartier generale delle forze russe in Siria.
I bombardamenti appaiono sia come un fattore di “contrattazione” sia una sorta di fase preliminare dell’offensiva annunciata da tempo contro quello che i governi siriano, russo e iraniano definiscono un “nido di terroristi”, ma che di fatto è da tempo sotto controllo della Turchia con il beneplacito di tutti i soggetti in campo.
A Idlib infatti nei mesi scorsi sono arrivati e si sono concentrati tutti i miliziani jihadisti scacciati dalle loro vecchie roccaforti in Siria e Iraq. Un accordo tra tutte le potenze regionali e internazionali, aveva fatto sì che potessero ritirarsi senza grosse perdite dai territori prima controllati dallo Stato Islamico e da altri gruppi jihadisti. Riza Altun, dirigente curdo del Kck, sottolineava due settimane fa anche sul nostro giornale che “Questi gruppi in gran parte sono stati sconfitti e portati nella regione tra Idlib e Jerablus. Lì ora abbiamo a che fare con una forza che va dai 100.000 ai 150.000 armati. Si sono sostanzialmente ritrovati sotto il tetto della HTS (Heyet Tehrir al-Sham). Questo gruppo da tempo viene sostenuto da numerosi Stati. Gli USA, Israele, Arabia Saudita e Turchia hanno relazioni con questi gruppi. Nel corso del tempo la Turchia si è stabilita come unica forza di garanzia di queste milizie”.
Formalmente la provincia di Idlib è coperta dagli accordi di de-escalation stabiliti fra Russia e Iran da un lato (che sostengono Damasco) e Turchia dall’altro (che sostiene i ribelli). Quest’ultimo fattore, però, non garantisce fino in fondo Ankara e le milizie jihadiste che ha sostenuto in questi anni. Essi, infatti, a Idlib condividono la stessa struttura politico/amministrativa (nonché la stessa ideologia integralista sunnita) di Hayat Tahrir al-Sham (HTS), ex Al-Nusra, che, essendo di fatto una depandance di Al-Qaeda in Siria, è esclusa da ogni trattativa politica.
Pertanto, per dare formalmente piena attuazione agli accordi di Astana tra governo siriano e alcuni dei gruppi ribelli, la Turchia e le milizie da essa sponsorizzate, anziché operare in alleanza più o meno forzata con Al-Nusra, dovrebbe unirsi per sconfiggerla e dare impulso politico al negoziato con Damasco. Il fatto che siano ben distanti dal mettere in atto questi passi, consegna un pretesto a Russia e Siria per avviare un’offensiva militare risolutiva contro i jihadisti di HTS e di altri gruppi legati alla Turchia che danno vita a continui tentativi di unirsi, sciogliersi o cambiare nome per coprire il legame tra Ankara con HTS.
E le preoccupazioni della Turchia su Idlib cominciano a manifestarsi. Il quotidiano turco Hurryyet riporta che Erdogan ha avvertito che un’offensiva militare del regime siriano su Idlib, ultima grande roccaforte degli jihadisti nel nord-ovest del Paese, potrebbe causare un “massacro”. E innescare una nuova ondata di profughi la cui destinazione sarebbe la Turchia.
Intanto Israele continua ad approfittare la situazione e ad intervenire militarmente sul territorio siriano. In questi giorni la difesa aerea siriana avrebbe abbattuto diversi missili lanciati dall’aviazione militare israeliana sulla zona di Wadi al Oyun, nella provincia centrale di Hama. Lo riferisce l’agenzia di stampa ufficiale Sana. Poco prima la stessa agenzia ha riferito di potenti esplosioni che hanno scosso Wadi al Oyun. Il sito israeliano Debka, conferma che negli ultimi 21 mesi, Israele ha condotto quasi 200 attacchi sul territorio siriano spacciandoli come raid contro le strutture e le unità militari iraniani presenti sul terreno.
L’ingerenza militare israeliana sul Siria è aumentata grazie alla cooperazione degli Stati Uniti per un’offensiva congiunta contro la presenza militare iraniana in Siria, un importante cambiamento avvenuto dopo che il nuovo consigliere della sicurezza nazionale statunitense John Bolton ha trascorso un po ‘di tempo in Israele due settimane fa.
Secondo Debka il 2 settembre scorso, anche l’aviazione americana avrebbe partecipato ai bombardamenti con uno attacco contro un convoglio militare siriano-iraniano vicino Al Tanf (dove ci sono militari statunitensi).
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