Donald Trump ha firmato ieri il decreto sull’inasprimento del rispetto delle sanzioni contro la Russia. Come riporta la Tass, il documento conferisce al Ministero delle finanze l’autorità per “concretizzare l’ulteriore attuazione delle sanzioni”, affinché i vari “dipartimenti governativi adottino le misure per assicurarne la piena esecuzione”. Si tratterebbe di un rafforzamento dei criteri di attuazione del CAATSA (Countering America’s Adversaries Through Sanctions Act , adottato un anno fa contro Mosca, Teheran e Pyongyang), in particolare nella sezione relativa alla Russia.
L’atto si inserisce in una guerra economica in atto da molto tempo e che vede uno dei fronti principali nel settore energetico. Senza introdurre nuove sanzioni, il Segretario di stato Mike Pompeo ha inoltre aggiunto altri 33 nomi (dal complesso militare-industriale russo) ai 39 già presenti nel DASKAA (Defending American Security from Kremlin Aggression Act) diretto contro una serie di oligarchi russi, anche della cerchia presidenziale. In ogni caso, su interaffairs.ru, il presidente della Camera di commercio russo-americana, Alexis Rodzjanko ritiene che le sanzioni, specificate nel DETER (Defending Elections from Threats by Establishing Redlines) vietando operazioni bancarie, trasporti sulle ferrovie russe e acquisto di combustibili, obbligheranno tutte le aziende USA a ritirarsi dalla Russia: non a caso una serie di compagnie petrolifere, tra cui Shell, Exxon Mobil и Chevron, si pronunciano non da ora conto nuove sanzioni, che le mettono in svantaggio rispetto a concorrenti stranieri come Royal Dutch e BP.
Da tempo il dominio imperiale americano è in sensibile declino, attaccato dai poli economici e finanziari concorrenti e, per quanti dazi e misure protettive – finanziarie e militari – possa adottare, la discesa pare inarrestabile e si rispecchia nel destino del dollaro USA.
A giugno, il 18° vertice della Shanghai Cooperation Organisation (SCO) aveva deciso il passaggio alle valute nazionali nelle transazioni reciproche. Se si considera che, a fianco degli otto paesi membri (Cina, Russia, Kazakhstan, Kirghizia, Tadžikistan, Uzbekistan, India e Pakistan) altri quattro (Afghanistan, Bielorussia, Iran e Mongolia) godono dello status di osservatori e sei (Azerbajdžan, Armenia, Cambogia, Nepal, Sri-Lanka e Turchia) sono “partner di dialogo” e che, inoltre, Pechino immette petroyuan sul mercato, l’Iran è passato all’euro nei computi internazionali e si prospetta il passaggio all’euro negli scambi energetici UE-Russia, allora le cose sembrano assumere una piega tutt’altro che ottimistica per la valuta yankee.
Washington reagisce, prima coi dazi sugli acciai tedeschi, ora con quelli del 10%, sulle merci cinesi, per 200 miliardi di dollari (cui possono aggiungersi altri 267 mld in caso di risposta cinese) che saliranno al 25% dal prossimo 1 gennaio. In risposta, Pechino colpisce con la stessa misura il punto più sensibile americano: l’importazione di gas naturale liquefatto (GNL) USA. Washington fa la voce grossa e per bocca del Segretario all’energia, Rick Perry, minaccia non solo Pechino, ma tutti i “paesi che non si comporteranno come membri civilizzati della comunità internazionale: saranno puniti”, a partire dal settore energetico. La minaccia, nota Aleksandr Khaldej su iarex.ru, è rivolta a Mosca e Teheran, ma, più in generale, dovrebbe rappresentare la risposta USA al crescente protagonismo dei paesi BRICS e SCO; e però, per usare l’arma dell’energia, è necessario controllare anche fattori quali valute internazionali, prezzi delle materie prime, sistema finanziario proprio e dei propri “vassalli” e vie commerciali internazionali. E se è vero che la Russia, al pari del resto del mondo, viene a trovarsi in mezzo alla disputa tra Washington e Pechino, è anche vero che il controllo USA su quei fattori sta scemando sempre più.
Ivan Timofeev, direttore del club Valdai, osserva che, in teoria, le “guerre commerciali hanno motivazioni economiche e anche paesi alleati possono esservi coinvolti; le sanzioni, al contrario, hanno obiettivi politici. In pratica, però, oggi è tutto mischiato: la guerra commerciale tra Stati Uniti e Cina ha uno sfondo politico, con la sezione relativa al North Stream-2 del CAATSA che dice che l’obiettivo è quello di promuovere gli interessi energetici USA in Europa. E se, come afferma il vicedirettore del Centro di studi internazionali, Dmitrij Suslov, per gli USA la “solidarietà interatlantica è necessaria nei confronti della Cina”, ciò non significa che Washington si limiti a proporla: qualche mezzo per imporla ancora ce l’ha. In effetti, secondo Rodzjanko, sia nella guerra commerciale USA-Cina, sia per le sanzioni contro la Russia, rivestirà un ruolo cruciale la posizione UE, ricordando che con il CAATSA, gli USA hanno “rotto” con gli alleati. Determinante nella politica statunitense nei confronti della Russia, osserva Dmitrij Suslov ancora su interaffairs.ru, sarà il destino del North Stream-2: “se i tedeschi capitolano e accettano le limitazioni statunitensi, allora ci sarà un aumento anche della pressione USA sulla Russia”.
Di fatto, la Germania è spinta verso il gas russo dalla prossima chiusura delle proprie centrali atomiche e anche dalla prevista cessazione del giacimento di gas olandese di Groningen, decisa da L’Aja. La scorsa settimana, a Vilnius, Angela Merkel ha detto in sostanza alla Presidente lituana Dalja Gribauskajte di infischiarsene dei mugugni baltici sul North Stream-2: Berlino ha bisogno del gas russo, perché il gas di scisto yankee è troppo caro. E per quanto riguarda la Francia, iarex.ru riprende l’annuncio di Emmanuel Macron di voler chiudere tutte le 796 centrali termoelettriche del paese e vi scorge un segnale lanciato a Mosca addirittura per un North Stream-3.
Ora, alle guerre commerciali e alla politica delle sanzioni, Dmitrij Suslov, aggiunge le restrizioni agli investimenti, soprattutto nei confronti della Cina e ritiene che nel lungo periodo questi tre passi mineranno l’egemonia economica USA, dato che molti paesi cercheranno di proteggersi e prendere le distanze dal dominio americano.
Proprio sul fonte asiatico, appare ormai cosa fatta l’accordo di Gazprom con la cinese CNPC per il gasdotto Sila Sibiri-2, parte del progetto “Sila Sibiri” (Forza della Siberia) – composto di tre segmenti: l’orientale, Sila Sibiri-1; l’occidentale, Sila Sibiri-2; l’estremo-orientale, Sila Sibiri-3 – che deve collegare i centri di estrazione di Irkutsk e Jakutja all’estremo oriente russo e alla Cina, cui Gazprom fornirà 38 miliardi di m3 l’anno di gas, da fine 2019 e per 30 anni. Tra l’altro, al recente Forum di Vladivostok, la Mongolia ha auspicato l’accelerazione del progetto del Super anello energetico dell’Asia nordorientale, cui, oltre a Russia, Cina e Mongolia, pare siano interessati anche il Giappone e le due Coree; il vice presidente di Gazprom, Vitalij Markelov, ha anzi annunciato la ripresa dei colloqui con Seoul per la realizzazione di un gasdotto in Corea del Sud – secondo importatore mondiale di gas naturale liquefatto (GNL) dopo il Giappone – attraverso la Corea del Nord.
Inoltre, il presidente di Gazprom, Aleksej Miller, dice anche che la compagnia sosterrà l’Iran nelle sue forniture di gas al mercato asiatico. A breve, sarà sottoscritto un memorandum per la realizzazione del gasdotto Iran-Pakistan-India, con la partecipazione russa. Nel 2017, Gazprom aveva firmato un promemoria con l’Iran per lo sviluppo di quattro siti, rimanendo tuttavia irrisolto per Teheran il problema delle esportazioni, soprattutto dopo le sanzioni USA. Il piano iniziale era quello delle forniture sia attraverso il gasdotto Iran-Pakistan-India, sia in forma liquida (GNL), per la quale Gazprom starebbe progettando l’impianto “GNL-Iran”.
Oltretutto, per la Russia, anche i proventi dall’export di petrolio nel primo semestre dell’anno sono cresciuti del 34% rispetto al 2017; cresciute anche le entrate dai circa 90 milioni di tonnellate di prodotti raffinati: +26,6% dalla benzina e +39% dal gasolio. Aumentati del 70% i ricavi dall’export di GNL, con una crescita dei volumi fisici del 60%, pari a 21 milioni di m3. I ricavi di Gazprom dalle esportazioni di gas sono aumentai del 28%, raggiungendo i 27 miliardi di dollari, pari 130 miliardi (+6,3%) di m3.
E’ in questo quadro, e nelle more del completamento del “Turkish Stream”, con una portata annua di 31 miliardi di m3 di gas, che diviene sempre più realistico il progetto di percorso della Latitudine Settentrionale, dall‘impianto di gas liquefatto della penisola di Jamal (circa 16,5 milioni di tonnellate l’anno dal giacimento di Tambej meridionale verso il porto di Sabetta e la rotta marittima settentrionale) la cui entrata in servizio è prevista per il 2024-2027.
E nella stessa area di Jamal si insedia anche la Novatek, dell’oligarca Leonid Mikhelson (3° nella classifica di Forbes-Russia, con un patrimonio di 18 miliardi di dollari) per preparare la penetrazione in Asia e sbalzare dal mercato del GNL americani e australiani. Lo sta facendo, con lo sviluppo del progetto “Arctic GNL-2”, secondo stadio dell’impianto di liquefazione del gas naturale nella penisola di Gydan, sull’altra sponda, rispetto a Jamal, della baia del fiume Ob e per cui Novatek ha firmato un accordo di partecipazione del 10% con Total.
Sull’altro versante, in aprile Mikhelson aveva firmato un accordo col Ministro di industria e commercio giapponese, Hiroshige Seko, riguardante il progetto di un nuovo impianto, legato alla realizzazione di un terminal in Kamčatka, da ultimare entro la fine dell’anno. Novatek calcola che il costo per la fornitura di GNL russo dal terminale di Jamal sia un po’ più adeguato di quello australiano e statunitense per i paesi europei, ma molto più conveniente per l’area asiatica e le permetta di sbaragliare la concorrenza.
Insomma, da sempre, seguendo i percorsi di gasdotti e oleodotti, si riescono a chiarire anche diverse ombre sulle relazioni internazionali, sugli scontri, gli attacchi e le ritirate e, in qualche caso, anche a indovinare come mai, quando e dove tutti si aspetterebbero pesanti risposte militari a evidenti pesanti provocazioni, con l’uccisione di civili e di militari, ci si limiti invece a far la voce grossa e accettare scuse di prammatica. “Tanta è l’arte, che l’arte non si vede”, cantava il divino Ovidio.
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