Indiscrezioni raccolte dalla stampa giapponese mostrerebbero qualcosa di più di un interesse da parte dell’industria bellica nipponica a cooperare con il consorzio che sviluppa e produce missili Sea Sparrow per le forze Nato. Se concretizzata, sarebbe la prima partecipazione giapponese a un progetto di difesa multilaterale. Attualmente la Mitsubishi Electirc produce già su licenza Sea Sparrow per le cosiddette “Forze di autodifesa giapponesi”, cioè l’esercito di Tokyo.
Una mossa che sarebbe incoraggiata dalla marina degli Stati Uniti che potrebbero così perseguire un simile accordo bilaterale con Tokyo e che è in linea con la linea nazionalista e interventista anche in ambito internazionale del governo guidato da Shinzo Abe.
Lo Sea Sparrow è un missile di utilizzo marittimo in funzione anti-nave e anti-aereo prodotto dalle statunitensi Raytheon e General Dynamics ma di cui un consorzio di 12 membri Nato sovrintende sviluppo e acquisto.
Per acquisire informazioni, lo scorso maggio ufficiali della marina giapponesi avrebbero partecipato a un incontro della Nato (North Atlantic Treaty Organization) nella sede dell’Aia. Non a caso dopo che lo scorso anno il governo ha cancellato il bando all’esportazione di armi in vigore dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale.
Una eventuale partecipazione di Tokyo, non solo ridistribuirebbe i costi della nuova versione del missile prevista per il 2016, ma porterebbe il partnerariato giapponese nella tecnologia bellica a un livello già elevato e operativo, con un chiaro segnale alla Cina, nei confronti della quale la competizione sta aumentando.
Il Giappone ha una delle industrie belliche più avanzate del pianeta, ma finora la produzione è stata destinata alle sue Forze Armate. Il governo attuale sta incentivando l’esportazione di sistemi di difesa e tecnologia militare verso i paesi con cui sta stringendo rapporti bilaterali o multilaterali di sicurezza, in particolare quelli che hanno limitati bilanci per la difesa, come le Filippine e la Malesia. L’Australia sarebbe intenzionata puntare su sottomarini giapponesi per ammodernare la propria flotta, con un accordo incentivato da Washington.
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