Alle 20:00 (ora di Brasilia) il TSE (1) ha confermato l’elezione a presidente del candidato del PSL (2), Jair Bolsonaro. Un ex-capitano dell’esercito, divenuto negli ultimi mesi un leader nazionale grazie alle sue posizioni razziste, alla sua ossessiva omofobia, all’esasperato bigottismo evangelico, all’esaltazione pubblica della dittatura e della tortura e, logicamente, a un amore cieco per il mercato, associato a un odio demenziale nei confronti della sinistra, dei sindacati e del mondo progressista.
Una vittoria che, comunque, presenta numerose contraddizioni. Infatti, il nuovo presidente (3), oltre a non avere a disposizione un partito organizzato, storicamente legato ai settori importanti della classe dominante, difende un programma economico ultra-liberista, molto controverso che asseconda tutte le richieste del mercato, in particolare quelle delle multinazionali statunitensi. Richieste che, però, rimettono in discussione le promesse populiste e le posizioni sovraniste difese nella campagna elettorale. Per esempio: Bolsonaro promette una crescita del 7%. Nello stesso tempo vuole abbassare i consumi con la cancellazione della tredicesima e della quattordicesima mensilità. Una proposta che colpirà non soltanto i lavoratori dell’industria e dei servizi, ma anche i funzionari pubblici che, insieme ai cosiddetti “colletti bianchi” (dagli impiegati ai direttori), sono una parte importante della classe media che ha votato Bolsonaro, credendo ciecamente ai due milioni di Fakenews distribuiti, quotidianamente nella rete via WhatsApp.
D’altra parte, le valanghe di messaggi WhatsApp promettevano che la privatizzazione di tutte le imprese statali permetterà al futuro governo di Jair Bolsonaro di sanare il debito estero in appena sei mesi! Un falso plateale che, però, crea anche una rottura politica con la cosiddetta “Destra democratica e repubblicana”, che non ammette la privatizzazione del Banco do Brasil, della Petrobras, dell’Eletrobras e di tutte le banche e le imprese energetiche che lo Stato ha trasformato in imprese pubbliche.
Toccando la questione dei messaggi WhatsApp, tanto usati dallo staff elettorale di Bolsonaro e pochissimo da quello del PT, la presidentessa del PT, Gleisi Hoffmann, in un’intervista collettiva ha dichiarato: “…Noi del PT, dopo le elezioni negli USA vinte da Trump, avevamo in parte capito l’esistenza di questi nuovi meccanismi. Però, non ci siamo preparati come dovevamo. E questo è stato un errore, poiché abbiamo divulgato il nostro messaggio politico soprattutto nelle reti sociali tradizionali, sottovalutando per completo il potenziale del WhatsApp…”
Comunque tutti gli analisti sostengono che oltre alla questione mediatica, i principali motivi della sconfitta di Haddad – e quindi del PT lulista – sono soprattutto politici, programmatici e ideologici. Argomenti che il noto storiografo Mario Maestri (5), ha riassunto sentenziando: “…Purtroppo il PT, invece di tornare alle sue origini, si è adeguato a questa farsa elettorale preoccupandosi di far sopravvivere il suo apparato di partito nel nuovo ordine sistemico determinato con il golpe. Per questo Fernando Haddad era il candidato ideale. Un autentico gentleman che durante la campagna non ha mai denunciato il golpe, non ha mai evidenziato le responsabilità del mercato nell’esplosione della crisi economica, non si è mai riferito alle manipolazioni dei media e al vergognoso comportamento del TSF (6) e del TSE . Ha cercato di aprire inutili ponti con i cosiddetti settori autentici del MDB e del PSDB dell’ex-presidente Fernando Henrique Cardoso, facendo capire alla classe dominante che il PT era disposto a voltar pagina!….”
Astenuti: 21,30%; Nulli: 7,42%; In bianco: 2,15%
Le urne elettroniche hanno registrato il voto di appena 104.864.339 brasiliani (90,43% dei voti utili), di cui il 55,40% in favore di Bolsonaro e il 44,60% per Fernando Haddad, candidato del Partito dei Lavoratori (PT). Nello stesso tempo il TSE informava che in questo secondo turno l’astensione ha battuto tutti i record con 31.370.372 “assenze”, pari al 21,30% dell’elettorato. A questi si devono aggiungere i voti nulli, che sono stati 8.607.203 (7,42%) e quelli in bianco, che hanno raggiunto 2.491.539 (2,15). In pratica 42.469.114 brasiliani, cioè il 30,87% degli elettori non ha votato nessuno dei due contendenti.
Comunque, è opportuno ricordare, che di questo 30,87%, il 20,50% è rappresentato da elettori del campo progressista, rimasti delusi dal PT e soprattutto dalla strategia che la direzione del partito di Lula ha usato con il candidato Fernando Haddad. Infatti, il restante 10,37% riguarda la storica indecisione degli elettori moderati, che non avrebbero mai votato per il PT e che quando la disputa elettorale diventa estremamente polarizzata si astengono, perché temono cambiamenti radicali, sia di destra sia di sinistra.
Secondo l’analista di marketing elettorale, Paulo de Tarso Santos (4) “…il cambiamento del linguaggio e delle proposte politiche di Haddad, in questo secondo turno, sono state troppo drastiche e repentine. Per questo non ha convinto quel 20% degli astenuti, che rappresentano il voto critico!”. Infatti, senza quel 20% Haddad, ha perso credibilità arenandosi al 44,60%.
Per analizzare tutti i motivi della sconfitta del PT e quindi per capire perché nel primo turno Fernando Haddad fece un discorso di sinistra, per poi abbandonarlo nel secondo turno, è necessario scoprire per quali motivo il candidato del PT ha cercato di conquistare i cosiddetti settori “democratici” della classe dominante. E’ necessario comprendere perché Haddad ha promesso riforme privatizzanti e la manutenzione dello status quo alle banche e ai mercati.
Per spiegare questo complesso processo politico, che sta alla base della sconfitta del PT, esistono due metodologie. Una è quella invocata dalla presidentessa del PT, Gleisi Hoffmann che, per evitare l’analisi politica sull’evoluzione ideologica del PT, attribuisce la sconfitta elettorale ai media, alle Fake News e alla forza di penetrazione di WhatsApp.
Mentre, la seconda ripropone l’analisi congiunturale, per capire come si sono definiti nella della direzione del PT i nuovi comportamenti social-liberisti e in particolare per determinare quello che è successo nel PT durante i quindici anni di gestione del potere. Sia quello federale con i governi di Lula e di Dilma Roussef, come pure quello degli stati e delle città governate dal PT. Per rispondere sarà necessario un altro articolo con cui dare una risposta completa e approfondire questi argomenti con base i concetti analitici di sinistra.
Quello che, invece, fin d’ora si può confermare è che il lulismo — vale a dire la tendenza maggioritaria che negli ultimi venti anni ha gestito l’organizzazione e l’evoluzione ideologica del Partito del Lavoratori — è giunto al capolinea della sua storia politica. Infatti, la direzione lulista, ossessionata dalla possibilità di essere scacciata dalle sale del potere, ha, inutilmente, sacrificato José Dirceu (7) e un’altra decina di dirigenti storici, nella speranza di accontentare la classe dominante, la TV Globo, la Polizia Federale e i giudici di Curitiba.
I lulisti non si sono accorti che l’obiettivo del giudice Sergio Moro non era incarcerare questo o quell’altro dirigente. L’obiettivo delle differenti inchieste era la distruzione ideologica e politica del PT, in quanto unico partito di massa capace di produrre un cambiamento di sinistra con la mobilizzazione dei differenti segmenti del movimento popolare, in particolare il MST e il MTST.
Un obiettivo che per la classe dominante e per il Dipartimento di Stato era di importanza strategica. Infatti, quest’obbiettivo è diventato raggiungibile, quando gli strateghi del golpe si sono accorti che la direzione del PT lulista non avrebbe reagito mobilitando le masse. In realtà, non c’è stata una reazione massiccia e combattiva del PT, che, in passato, minacciava il mercato dicendo che controllava il proletariato e la classe operaia. Infatti, il giorno dopo la presentazione in Parlamento dell’Impeachment, la presidentessa Dilma Roussef si limitava a dire che avrebbe presentato la sua difesa nel Senato, per poi passare la giornata nel giardino della residenza presidenziale!
Quando, poi, i giudici del TSF si preparavano per valutare i motivi dell’Impeachment, davanti al palazzo del TSF c’erano appena cinquemila militanti, di cui la metà era del MST! Lo stesso si può dire della scarsa mobilitazione da parte del PT, quando si sono celebrati i due scandalosi processi che il giudice Sergio Moro aveva montato per condannare Lula. Una situazione che, poi, si è ripetuta il 7 aprile, 2018, quando la Polizia Federale si è presentata per arrestare Lula nella sede del sindacato dei metallurgici di São Bernardo do Campo. Infatti l’ex-presidente, chiedendo calma si fece ammanettare dicendo: “…Ho fiducia nella giustizia e nel processo che sarà fatto nel Tribunale Superiore Federale!...”.
Il dramma, quasi comico, del lulismo è che José Dirceu, con 72 anni, è stato condannato a trent’anni di carcere da un giudice del TSF – Joaquim Barbosa – che era stato nominato dallo stesso presidente Lula, perché afro-brasiliano. Lo stesso dramma si è poi ripetuto quando il sesto giudice del TSF, José Antonio Dias Toffoli, ha votato contro l’Habeas Corpus presentato dagli avvocati di Lula. A questo punto vale la pena ricordare che Toffoli, in passato, era stato l’avvocato del PT, che durante il governo di Lula, fu nominato Avvocato Generale dello Stato, per poi essere proposto, sempre da Lula, come 59º presidente del Supremo Tribunale Federale.
Oggi, molti analisti riconoscono che Joaquim Barbosa, José Antonio Dias Toffoli, l’ex Ministro Antonio Palocci e tutti quelli che hanno puntato il dito contro Lula e la direzione del storica del PT si sono adeguati alla strategia del Golpe, che si è rivelata pubblicamente nel 2015 con l’Impeachment. In realtà, il golpe contro il PT ha cominciato a essere ideato nel 2008, quando Lula riuscì a fare eleggere Dilma Roussef, rompendo la tradizione dell’alternanza nel potere.
Il futuro del governo Bolsonaro
L’elezione di Jair Bolsonaro, è stata determinata da due elementi politici che hanno obbligato il mercato e il Dipartimento di Stato ad appoggiarlo, poiché era l’unico candidato della Destra e del centro-destra che nei primi sondaggi di Datafolha e di IBOPE del mese di gennaio otteneva uno stabile 12%. Infatti, il candidato del mercato e dell’imperialismo statunitense era il presidente golpista, Michel Temer, che, però, registrava il 97% di rigetto. Per questo motivo, il mercato ha prima lanciato Henrique Meirelles, che in tutti i sondaggi non superava il 2%. In seguito, fu scelto Geraldo Alckmin del PSDB. Nonostante l’appoggio della TV Globo e dei media Alckmin non ha mai sorpassato il 5%. Tanto è vero che nel primo turno ha ottenuto un misero 4,76%.
Quindi, le multinazionali, il Dipartimento di Stato e il mercato, per portare a termine il programma economico introdotto con il golpe, hanno dovuto accontentarsi di Jair Bolsonaro e trasformarlo in un candidato nazionale, simbolo dell’anti-petismo. Per questo motivo nella campagna elettorale del primo turno e poi nel secondo contro Haddad è stato usato lo stesso progetto di marketing elettorale che ha determinato la vittoria di Trump.
Infatti, Bolsonaro ha fatto una campagna che accontentava tutti gli oppositori del PT, che, a sua volta, erano manipolati con una valanga di messaggi WhatsApp, in cui era promosso il più bieco anti-petismo, la fine della crisi, della corruzione, del narcotraffico, delle favelas, il rispetto per la sovranità e logicamente il mantenimento in carcere di Lula e degli altri dirigenti storici del PT. Bolsonaro ha giustificato al TSE che i quasi due milioni di messaggi giornalieri in WhatsApp, inviati in suo favore, erano solo “…una semplice iniziativa di alcuni industriali con cui io non ho relazioni!”.
In realtà, l’uso politico della rete WhatsApp è iniziato silenziosamente nel 2012 per poi, nel mese di giugno del 2013, far esplodere in São Paulo le prime grandi manifestazioni di protesta contro il governo di Dilma Roussef, che aveva autorizzato l’aumento dei prezzi dei trasporti pubblici, nella sua maggioranza privatizzati. In seguito, nel 2014, la rete WhatsApp è intervenuta nelle elezioni presidenziali che Dilma vinse con uno striminzito 51,60%, grazie soprattutto ala presenza di Lula.
Le eccellenze di Washington sanno che Bolsonaro è un presidente che deve essere guidato e controllato in ogni momento, proprio per evitare che nel Brasile, sommerso da una grave crisi economica, ricominci l’instabilità con lo scoppio del conflitto sociale, provocato anche dalle parole d’ordine di Bolsonaro inneggianti al razzismo e al ritorno della dittatura. Per questi motivi negli ultimi quindici giorni della campagna elettorale il comitato elettorale di Bolsonaro in São Paulo, ha ricevuto la sottoscrizione di numerosi rappresentanti della classe dominante e soprattutto dei militari. Tra questi il generale riservista Augusto Heleno, che fu il comandante del corpo di spedizione brasiliano in Haiti (MINUSTAH) e che sarà il futuro Ministro della Difesa.
Invece il nuovo ministro dell’Economia, Paulo Guedes, è uno sconosciuto economista ultra-liberista legato ai Chicago Boys, con un programma di riforme economiche ridotto a tre parole “Vamos Privatizar Tudo!“ (Privatizzeremo Tutto!). Il Primo ministro, vale dire il Ministro-Chefe da Casa Civil, sarà il deputato Onyx Lorenzoni, conosciuto nel Parlamento come uno dei più truffaldini sempre pronto all’inciucio. Il ministero della giustizia sarà dato a Gustavo Bebianno. L’unico merito che ha è quello di essere un emerito scudiero di Bolsonaro, mentre è assolutamente estraneo alle questioni giuridiche. Lo stesso dicasi per il ministero delle scienza e della tecnologia, donato ad Alessio Souto Ribeiro, mentre all’ex-senatore Magno Malta sarà offerto un ministero importante, forse quello dei trasporti – per accontentare le sette evangeliche e pentecostali .
In realtà chi dovrà esercitare il controllo politico sul governo, per poi muovere i fili di collegamento con il mercato e con il Dipartimento di Stato, sarà il generale riservista Augusto Heleno, che ha già imposto la nomina di un colonnello alla presidenza della Petrobras, oltre ad aver confermato che l’occupazione militare della città di Rio de Janeiro da parte dei reparti speciali dell’Esercito continuerà!
Comunque la scelta del generale riservista Augusto Heleno da parte di Bolsonaro come futuro ministro della Difesa, ha riacceso la polemica sull’essenza fascista di questo governo che metterebbe in pericolo la democrazia. In realtà il governo di Jair Bolsonaro non ha bisogno – e nemmeno gli conviene – vestire la camicia nera fascista, poiché l’attuale legge anti-terrorismo – purtroppo fatta dal governo di Dilma Roussef – è sufficiente per reprimere “costituzionalmente” tutto quello che si muove sinistra contro l’attuale sistema, con l’approvazione dei media e la benedizione dei pastori delle chiese evangeliche.
NOTE
1 — Tribunale Superiore Elettorale (TSE) , è l’organismo che ha organizzato lo svolgimento del primo e del secondo turno delle elezioni brasiliane. Lo stesso che, in ultima istanza, decise di cancellare la partecipazione di Lula, in funzione della legge “Ficha Limpa” (Fedina penale pulita) .
2 — “Partido Social Liberal” – il Partito Sociale Liberista, è sempre stato un piccolo partito conservatore di destra, senza grande importanza politica nel cosiddetto “basso clero del Parlamento”.
3 — Jair Bolsonaro governerà quattro anni dal 1 gennaio 2019.
4 — Paulo de Tarso Santos è stato il responsabile del marketing elettorale del PT e in particolare delle campagne di Lula per le elezioni presidenziali del 1889 e del 1994.
5 — Il professor Mario Maestri è figlio di emigranti italiani di Porto Alegre. Marxista, ha partecipato nella lotta contro la dittatura. Fu esiliato in Belgio. Partecipò nel processo di democratizzazione, aderendo poi nel PT. Da cui ne uscì nel 2002 a causa delle espulsioni (volute dallo stesso Lula) dei quattro parlamentari della sinistra, che non avevano votato la riforma del sistema pensionistico. In seguito integrò il processo di fondazione del PSOL (Partito Socialismo e Libertà). Ha scritto più di 20 libri sulla storia del Brasile e altri dieci su quella del Paraguay.
6 — Il Tribunale Superiore Federale (TSE) è l’istanza superiore della giustizia (simile alla Cassazione italiana) Composto di 11 giudici, ha legittimato prima le false accuse dell’Impeachment nei confronti della presidentessa Dilma Roussef. Poi ha permesso il depistaggio delle inchieste sorte nei confronti del presidente golpista Michel Temer. Per ultimo ha fisso la data del terzo processo di Lula nel marzo del 2019, per mantenere Lula in carcere e, quindi, impedire la sua partecipazione nelle elezioni di ottobre come candidato del PT.
7 — José Dirceu, fondatore del PT, insieme a Lula. Era l’eminenza grigia del partito e della tendenza lulista “Articulação”. Primo Ministro (Ministro-chefe da Casa Civil) durante i due governi di Lula, ha ricevuto due pensanti condanne, di dodici e diciotto anni di carcere, per aver mantenuto in vita la pratica di pagare, con gli attivi delle società statali, il voto in favore del governo a una parte di deputati e di senatori del cosiddetto basso clero del Parlamento, che appoggiavano il governo del PT solo se pagati. Una forma di corruzione politica che esiste fin dai tempi di Getulio Vargas, negli anni trenta.
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