La fase politica che si apre con il nuovo anno nell’Esagono va compresa nel dettaglio, anche per collocare l’importanza della mobilitazione di questo sabato – a Parigi come in tutta la Francia – e quella di domenica che vedrà protagoniste i Gilets jaunes su temi di genere, specifici sulla precarietà femminile che hanno attraversato fin qui le mobilitazioni.
Partiamo dalla stretta repressiva che l’esecutivo vuole imporre, assolutamente percepibile dal registro comunicativo, prima ancora che dai contenuti, del discorso di capodanno di Emmanuel Macron. Seguito da undici milioni di persone, l’orazione presidenziale di diciasette minuti non ha citato mai direttamente i GJ, seguendo una precisa strategia comunicativa tesa a rimuovere (esorcizzare?) il problema, così come le ragioni che hanno fatto scaturire il movimento.
Probabilmente pensando che, se la marea gialla esce dalla narrazione mainstream, possa scomparire poi anche nella realtà. Ha parlato solo dei “portavoce di una folla carica d’odio”, rappresentata secondo la stigmatizzazione a tutto tondo negativa che ne danno i media francesi allineati all’esecutivo (razzisti, omofobi, ecc.ecc.).
Si tratta della preparazione di un clima repressivo o di discredito nei confronti delle mobilitazioni e dei suoi esponenti più in vista che, con gradi e responsabilità differenti, va da una parte della dirigenza sindacale – Laurent Berger della CFDT – passando per “i verdi” (Yannick Jodot, dei EELV, ha criticato duramente sia il movimento che chi lo sostiene) – e arriva fino ad Hamon che si inventa a freddo una calunnia su Eric Drouet (accusato contro ogni evidenza di aver votato per il FN ai due turni delle scorse presidenziali) poche ore prima del suo secondo arresto, ma solo per poter poi attaccare il leader della France Insoumise colpevole di “avere abbandonato il campo della sinistra” visto il suo elogio pubblico per Drouet.
Certamente, questo gigantesco e inedito processo di politicizzazione popolare, innescato dal movimento dei GJ, ha reso più chiaro chi – tra le forze politiche esistenti – può essere vettore di una ipotesi di cambiamento e chi lo combatte o fa “l’utile idiota” di Macron e del suo entourage, pur guadagnarsi un poco di visibilità mediatica.
Un calcolo assolutamente sbagliato da tutti i punti di vista, comunque, considerato che l’ultimo sondaggio dell’istituto Odoxa-Dentsu pubblicato da “Le Figaro” indica che il 75% dei francesi è “scontento dell’azione del governo”, e che la percentuale sale all’87 tra i più disagiati, l’82 tra gli operai, il 54 tra i quadri. Macron, non lo ama proprio più nessuno, borghesi esclusi.
Passiamo a due dati concernenti la repressione: il bilancio del primo mese di mobilitazione e la circolare che il ministro dell’Interno ha inviato ai prefetti il 29 dicembre (resa pubblica qualche giorno dopo da “Europe 1”).
Dal 17 novembre al 17 dicembre, secondo le cifre ufficiali, sono state messe in “guarde à vue” 4.570 persone (1.567 a Parigi, il resto altrove), 3.747 sono stati posti sotto processo, di cui 697 per “direttissima”‘; 261 sono state rinchiuse in carcere, mentre altri scontano pene alternative, o hanno il “braccialetto elettronico” oppure è stato loro vietato di potersi recare nelle città dove sono stati arrestati per le manifestazioni a cui hanno partecipato.
Un bilancio a cui vanno sommate, 10 persone defunte e i numerosi feriti anche gravi dal 17 novembre. La circolare dice esplicitamente che il Ministro dell’Interno esige che siano perseguite: “le operazioni d’evacuazione delle vie di passaggio pubblico con il fine di liberare gli ostacoli (…) alla circolazione, chiaramente in prossimità delle rotonde e delle zone di attività economiche”.
Per il governo sarebbero ancora mobilitate circa 2.500 persone e i presidi sarebbero ancora 100. Ma lo sgombero tout court o una azione ancora più muscolare, per impedire il proseguimento delle azioni mirate che vediamo messi in atto da settimane, non sono gli unici modi messi inca mpo dal governo per far rientrare la protesta. Un metodo è quello di verbalizzare “l’occupazione senza autorizzazione della via pubblica”, che comporta 1.500 euro di ammenda, di più se si è recidivi.
In questo clima si inseriscono le varie azioni repressive di questi giorni, dal secondo arresto di Eric Drouet all’interdizione – per un mese circa – per due studenti univesitari militanti del sindacato studentesco UNEF, che non potranno accedere ai locali universitari di Nanterre perché hanno partecipato, come molti altri studenti, alle mobilitazioni delle settimane scorse decise in affollatissime assemblee generali di facoltà. L’establishment economico dà sempre più chiari segni di nervosismo e sembra particolarmente contraddetto dal fatto che l’auspicato approfondimento della sovranità popolare, attraverso l’istituzione di un Referendum di Iniziativa Cittadina – uno dei punti centrali della piattaforma rivendicativa dei GJ – possa minarne le capacità decisionali e possa costituire una “invasione di campo” nella determinazione delle scelte economiche di fondo.
Significativo in questo senso un articolo di Pascal Perri su Les Echos, che intitala il suo contributo “La verità economica non si decide per referendum“, che dà la cifra dell’abito mentale dell’élite d’Oltralpe e dei suoi maitre-à-penser.
Diciamo che si trattaormai di una paura “legittima” vista, tra l’altro, la direzione ormai intrapresa dalla direzione della CGT e dall’entrata in scena nel movimento degli insegnanti con il gruppo delle “stylos rouges“.
Nell’anticipazione di una intervista a Philippe Martinez, che verrà pubblicata domani su Le Dauphine, il segretario della CGT dice espressamente – auspicando una maggiore convergenza tra le giacche rosse e quelle gialle – che: “le mobilitazioni nelle rotonde vanno bene, le mobilitazioni nelle imprese sono meglio“, cercandi di spostare il baricentro della protesta e prendendo di mira il padronato, come aveva già più volte sostenuto.
La CGT, ed è un fatto davvero rilevante, non parteciperà al “Grand Debat” proposto da Macron, di fatto mettendosi fuori da quel simulacro di “dialogo sociale” cui si sono prestati gli altri sindacati complici. Martinez afferma espressamente, riferendosi al peggioramento del trattamento dei disoccupati che percepiscono una indennità: “le ultime misure sui disoccupati sono simboliche della sua politica di presidente dei ricchi: non si ripristina la patrimoniale, ma si dà la caccia ai disoccupati“.
Il gruppo delle “penne rosse” si è creato invece all’indomani del discorso presidenziale del 10 dicembre, quando Macron non ha minimamente citato la situazione degli insegnanti, così come quella degli altri impiegati nella funzione pubblica. Così il 12 dicembre è nato questo gruppo su FB, ora composto da circa 45.000 membri, che sfrutta le possibilità di connessione della rete per collegare il corpo docente e portare avanti alcune rivendicazioni che sono comunque il cuore delle loro istanze sindacali, tra cui gli aumenti salariali, un minor numero degli studenti nelle classi, una maggiore considerazione del ruolo svolto e il rifiuto delle riforme scolastiche volute da Macron.
Il corpo sociale degli insegnati è comunque generalmente attivo: il 42% partecipa alle “elezioni professionali” e il 24% è iscritto al sindacato, contro una media dell’11% del resto del mondo del lavoro. Il gruppo deciderà la prossima settimana che iniziative di lotta prendere.
Le voci delle Stylos Rouges sulla questione del loro rapporto con il sindacato sembrano convergere. Citiamo un insegnante intervistato da FranceInter che esprime un punto di vista condiviso: “non vogliamo mettere i sindacati da parte, vogliamo dare vita ad un movimento che coinvolga tutti gli insegnanti per dare slancio ai sindacati. Li sosteniamo e speriamo che ci sostengo a loro volta”.
Se qualcuno nutrisse dei dubbi sulla capacità di tenuta e sulla determinazione del movimento, concludiamo con la “lettera” che il gruppo France en Colere dei GJ – di cui fanno parte due delle persone più in vista del movimento, Eric Drouet e Priscilla Ludovsky – ha indirizzato a Emmanuel Macron. È un j’accuse di rara potenza espressiva che i media hanno pensato perciò di non citare mai integralmente.
Gli estensori prendono di petto le parole pronunciate da Macron: “noi denunciamo le vostre accuse false e calunniose“, affermano; e denunciano il livello repressivo, lo stravolgimento mediatico, ridanno un senso compiuto alle parole “diritti”, “solidarietà” e “giustizia” di cui sono portatori insieme alla Francia che si sta mobilitando.
Citiamo alcuni stralci presi dalla lettera integrale pubblicata sulla pagine FB di riferimento del gruppo: “Signor Presidente, questo movimento che voi non riconoscete (…) si estende e si rinforza (…) I vostri concittadini si fanno manganellare, ‘gasare’, imprigionare a cielo aperto per delle ore, nel rispetto incredibile dei diritti dei cittadini“.
Invitano ad abbandonare il gilet giallo temporaneamente per manifestare – pensiamo anche in funzione di un minore possibilità di essere identificati dalle forze del’ordine. Dicono espressamente di “ritirarlo e presentarsi nelle strade, nelle piazze, come semplici cittadini che sono“.
Si chiedono retoricamente: “quando comprenderete che voi e i vostri non siete più credibili e che avete perduto la fiducia di coloro che hanno potuto credere in voi e nel vostro movimento 19 mesi fa?”
I propositi di “riforma” confermati nel discorso di Macron – ovvero i tagli su indennità di disoccupazione, funzione pubblica e sistema pensionistico – sono “veri appelli alla rivolta cittadina per non dire alla guerra civile per quelli che non hanno niente. Le ingiustizie e il vostro disprezzo trasformeranno la collera in odio su tutto il territorio nazionale“.
E siamo sicuri che, se questo nuovo appello verrà inascoltato da un potere sordo che perde progressivamente i pezzi, il desiderio di vendetta difficilmente verra placato. A Bruxelles e a Francoforte, quando Macron ha rinnovato a capodanno la sua fede europeista ed annunciato che avrebbe proposto nuove idee per ridare slancio alla UE, devono aver pensato che le élite europee hanno prodotto loro stesse il cappio con cui si impiccheranno.
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