Non se ne parla sui giornali e nemmeno a Palazzo Chigi. Se ne bisbiglia nelle cancellerie che contano, se ne preoccupano i funzionari di lungo corso, quelli che sanno cogliere e leggere certi segnali. Perché la decisione di Trump è di quelle che pesano. Sia nei rapporti diplomatici internazionali, sia “sui mercati”.
Dal primo gennaio la rappresentanza diplomatica dell’Unione Europea a Washington è stata declassata da Stato Membro a Organizzazione Internazionale. Come il Wto o il Fmi, insomma. Non più un soggetto con prerogative sovrane, dotato di volontà politica, ma una “associazione di scopo”, temporanea, magari importante, con cui però non si devono fare i conti strategicamente.
Dal punto di vista diplomatico è una autentica retrocessione, visto che questa stessa condizione è durata fino al 2016, quando Barack Obama l’aveva “promossa”.
Lo schiaffo è però molto più pesante, perché non c’è stata – pare – alcuna comunicazione ufficiale, né un preavviso. Come si fa con i “signor nessuno”.
E’ il punto più basso delle relazioni tra le due sponde dell’Atlantico e l’origine – tra i pochi commentatori che se ne occupano – viene fatta risalire alle varie conferenze sul clima (è noto che Trump per ragioni economiche, non riconosce neppure l’esistenza del global warming), come anche al Global Compact sulla gestione dei flussi migratori (ha incatenato il bilancio federale all’pprovazione di 5 miliardi di spesa er costruire un “muro d’acciaio” al confine col Messico), a una certa freddezza nei confronti di Isarele (l’unico vero alleato di ferro in Medio Oriente) in seguito all’accordo sul nucleare iraniano o anche alle forche caudine che Bruxelles vorrebbe imporre alla Gran Bretagna per la Brexit.
Comunque sia, in tutti questi casi gli Usa attuali hanno voluto vedere lo zampino della Germania, già messa sotto tiro a partire dallo scandalo Dieselgate (a fare i “puri” senza esserlo, ci si rimette sempre, specie se ti metti contro quelli più “grossi”…) e, in misura minore, della Francia.
Diplomazia a parte, lo “sgarbo” preannuncia conseguenze sul piano commerciale. La guerra dei dazi, infatti, può investire in un attimo l’Unione Europea in quanto tale, con la moltiplicazione di offerte di “accordi bilaterali” a singoli paesi per allargare le fratture già esistenti.
Peggio ancora, il declassamento può pesare anche negli scambi tra Ue e altre macro-aree economiche, a cominciare dalla Cina. Le triangolazioni possibili sono infatti pressoché infinite. Ad esempio sul carbone, che attualmente Pechino importa dall’Europa (Germania e Ucraina, in primo luogo) in quantità molto maggiore che dagli Stati Uniti. Una “rimodulazione” dei quantitativi, a danno della Ue, costringerebbe Bruxelles (e Berlino) a reagire nei confronti di entrambi i partner (con conseguenze pericolose per l’economia europea) oppure a far finta di nulla (il che incoraggerebbe ulteriori accordi che bypassano o danneggiano l’economia Ue).
Il fatto è che – come sottolineato da un numero crescente di economisti di rilievo, a partire da Krugman – tutta l’economia europea è stata infilata in un cul de sac senza via d’uscita. La scelta ottusa dell’”austerità”, a sostegno di una politica mercantilista fondata sulle esportazioni (il “modello tedesco”), ha – sì – consentito di ridisegnare le filiere produttive del Vecchio Contintente subordinandole a dei capifile germanici, ma ha soprattutto ridotto una macroarea da 500 milioni di abitanti, con il più elevato livello culturale e tecnico del pianeta a… competere sul basso costo del lavoro per tenere bassi anche i prezzi!
Come un paese del Terzo Mondo, insomma, ma a partire – rinunciandovi – da un punto molto più elevato. Quindi condannato al declino, come si comincia a vedere in quasi tutti i paesi.
Da questa visuale si comprende bene che il terremoto sociale francese è solo la fase iniziale di esplosione della crisi di legittimità che investe ormai la governance europea. Di cui naturalmente tutti gli altri competitor globali provano ad approfittare. Ma chi è causa del suo mal…
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nicola
alla luce di questo focus sulla scelta diplomatica USA credo che PaP non dovrebbe partecipare alle prossime elezioni europee, se non come occasione di per fare tribuna politica e farsi riconosce come soggetto alternativo in Italia, poichè ci vorrebbero grandi numeri al parlamento europeo per scardinare questa UE.