A dire la verità, non fa quasi più notizia: se c’è da aspettarsi qualche novità nell’altalena dei rapporti tra Russia e Bielorussia, è solo nel ritmo di alti e bassi. Se qualcuno scorge un “flirt economico” tra le due ex repubbliche sovietiche, ecco che immediatamente si conficca sotto la pelle la sverza del transito del gas, individuata, ma non ancora estratta, dopo gli ultimi (all’apparenza) cordialissimi e ravvicinatissimi incontri tra i presidenti russo e bielorusso del 6, 25 e 29 dicembre scorsi, allorché Mosca si era detta disposta a ridurre il prezzo del gas fornito a Minsk, chiedendo come contropartita una maggiore integrazione dello “Stato Unitario”, sul tavolo dal 1999, che prevederebbe Costituzione e legislazione uniche, unici parlamento e governo, unica moneta.
L’ultimissima che arriva da Minsk è la minaccia lanciata da Aleksandr Lukašenko che Mosca potrebbe addirittura perdere “l’unico alleato” ai propri confini occidentali, se non ci saranno “compensazioni” per le perdite bielorusse in materia energetica. E, di nuovo, l’osso rimasto di traverso è rappresentato dalla manovra daziaria russa sul petrolio, che incide sulle entrate bielorusse per il transito del greggio. Lukašenko l’ha messa giù dura: mancati compensi di Mosca per tale manovra (Minsk avrebbe già perso circa 3,5 miliardi di dollari dal 2015 e potrebbe perderne ancora due volte tanti, da qui al 2024, per il prezzo del gas praticato da Mosca al proprio “alleato”, pari a quello medio di mercato, senza sconti) non saranno una catastrofe per Minsk, ha dichiarato, che potrà benissimo racimolare 400 milioni di dollari – la perdita calcolata per quest’anno – in altro modo, ma così Mosca “perderà l’unico alleato lungo la direttrice occidentale; è una sua scelta”.
La manovra fiscale russa in questione prevede la graduale abolizione del dazio sull’esportazione di gas e petrolio e il contemporaneo aumento dell’imposta sull’estrazione da qui al 2024. Dato che la Bielorussia acquista tali prodotti al prezzo del mercato interno russo, stabiliti in base ai prezzi mondiali, al netto di costi di trasporto e dazi all’esportazione, con la nuova manovra russa Minsk verrebbe a pagare un prezzo molto più alto dell’attuale.
Dunque, Lukašenko pone quale obiettivo prioritario la ricerca di fornitori alternativi di prodotti energetici e guarda direttamente ai porti del Baltico: “Se i lituani non ci stanno, ci accorderemo con i lettoni. Lavoreremo il prodotto nelle raffinerie di Navapolatsk e riforniremo tutti i Paesi baltici a prezzi concorrenziali”, ha detto. E ha aggiunto, senza mezze parole, che nessuna unione con la Russia – il famoso “Stato Unitario” – è possibile se non c’è parità di diritti: ovvero, pare sottintendere, parità di prezzi. Non è passata nemmeno inosservata la presenza a Caracas, in occasione dell’insediamento di Nicolas Maduro, del vice premier Igor Ljašenko, non a caso fino alla scorsa estate a capo del “Belneftkhim”, il colosso industriale che controlla oltre il 30% dei settori energetico e chimico bielorussi.
Lukašenko ha ricordato come, a suo tempo, i due paesi si siano mossi in stretta conformità per il Trattato di Unione tra Bielorussia e Russia; ma, a un certo punto, ha ricordato, la Russia ha fatto un passo indietro. “Questa cosa l’ho ricordata al Presidente russo e lui ha risposto che è così. Ora la domanda è: cosa fare con l’Unione? Dobbiamo sederci a un tavolo e vedere cosa possiamo fare insieme. L’unione si può formare solo su un piano di parità. E’ un principio base di qualsiasi unione: nessuna base equa ― nessuna Unione. Altrimenti sarebbe un’annessione del debole da parte del più forte debole, o una incorporazione”. Chiaro cosa intenda Lukašenko: se si deve guadagnare da gas e petrolio, si deve guadagnare nella stessa misura.
Non è tardata la risposta di Mosca. La portavoce del Ministero degli esteri, Marija Zakharova, riferendosi ostentatamente alle “esternazioni del signor Lukašenko”, ha detto che “la Bielorussia è un nostro sicuro alleato, un partner. La strada verso l’ampliamento dell’interazione strategica con Minsk non è assolutamente in dubbio”. Per quanto riguarda questioni concrete, “il dialogo viene condotto dai competenti uffici”.
Le azioni della “Mosca ufficiale contraddicono lo spirito e la lettera di tutti gli accordi, anche nel quadro del EAÈS (Unione economica euroasiatica”, ha detto Lukašenko e ha aggiunto: “In Russia, qualcuno dice “Non abbiamo obblighi di risarcimenti. Non è scritto da nessuna parte negli accordi di Unione”, quindi io pongo una domanda diretta: quando abbiamo firmato questi accordi, su Stato Unitario o su EAÈS, dovevamo aspettarci un deterioramento della situazione economica a causa di alcune azioni interne della Russia?”.
Stando ai botta e risposta ufficiali, non è dunque chiaro chi davvero freni il famoso “Stato Unitario”; chi ponga condizioni alla sua realizzazione di fatto. Jurij Barančik ricorda su iarex.ru come fino a pochissimo tempo fa circolassero le parole di Lukašenko secondo cui “la Bielorussia è pronta ad andare sul percorso di integrazione reciproca tanto lontano, non appena lo sarà anche la Russia”. Ma se Minsk vuole lo stesso prezzo russo su gas e petrolio, punzecchia Barančik, deve dimostrare di avere anche la stessa politica: per dirne una, nei confronti dei banderisti ucraini e dei bielorussi che intendono seguirne l’esempio. Sono frequenti infatti i reciproci attestati di amicizia tra Minsk e la Kiev naziputschista.
Sta di fatto, comunque, che se Mosca non è certo entusiasta delle esternazioni del “signor Lukašenko”, in ogni caso Vladimir Putin si è premurato di mettere al “lavoro d’assalto” l’ambasciatore a Minsk, Mikhail Babič, passato dai ranghi del Ministero degli esteri alle dirette dipendenze dell’Amministrazione presidenziale. Segno che Mosca è preoccupata delle mire occidentali sulla Bielorussia e degli scenari che potrebbero aprirsi (i recentissimi approcci con Washington) con qualche decisione avventata del suo presidente.
I presupposti per interventi occidentali sembrano esserci, con previsioni di una imminente svalutazione di un 20-30% del rublo bielorusso, con un debito estero lordo, nel terzo trimestre del 2018, pari a 39,5 miliardi di dollari che, secondo il FMI, costituisce il 51% del PIL. Si parla di riserve correnti, pari a 7 miliardi di dollari che, senza nuovi prestiti esteri, non consentirebbero di far fronte agli obblighi finanziari per il servizio sul debito estero, pari a 5,5 miliardi $ nel 2019.
Dunque, se il Ministero delle finanze di Minsk, a quanto si dice, conta su un prestito un miliardo e mezzo di dollari da parte della Russia, Mosca farebbe forse bene a non lasciar correre. La spregiudicatezza di cui il “signor Lukašenko” ha dato sinora prova, potrebbe spingerlo definitivamente tra le braccia di chi continua a definirlo (ma solo a scopi propagandistici) “l’ultimo dittatore” comunista.
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa