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Sparizioni forzate e sparizioni programmate nel Sahel

Anche Luca Tacchetto, con l’amica Edith, la macchina e il presunto invito a cena sono spariti nel vicino Burkina Faso da quasi un mese. Quanto a Pierluigi Maccalli i mesi passati dalla sua sparizione dal Niger sono ormai quattro. Di loro non è difficile ricordare i nomi. Più complicato è invece conoscerli per le quindici ragazze rapite nei pressi del villaggio di Toumour, nella zona di Diffa, sul lago Tchad. Ancora peggio per le trentanove persone scomparse in circostanze simili nei dintorni della stessa regione da due anni.

La lista dei nomi non interessa a nessuno e i pochi tentativi di rendere pubblico l’avvenimento non ha sortito l’effetto sperato. Da queste parti si sparisce da un giorno all’altro senza lasciare traccia. Poco importa trovarsi all’epoca dei controlli e delle comunicazioni globali. Le sparizioni forzate nel Sahel non ci sono nuove. Col tempo ci siamo abituati, non senza qualche resistenza, a sparire da un giorno all’altro nel nulla, anzi nella polvere del vento.

Dell’umanitario tedesco, il cui nome non appare nelle notizie, sparito dall’undici di aprile dell’anno scorso, non ci sono notizie. Lo stesso accade per l’ostaggio americano, un certo Jeffery Woodke, portato via da casa, a Abalak nei pressi di Tahoua, dal 14 di ottobre del 2016. In quella circostanza un soldato e un addetto alla sicurezza, entrambi nigerini, sono stati uccisi. Quanto ai loro nomi pochi o nessuno li ha presi in considerazione, spariti anch’essi, come molti altri.

Sgradevole a dirsi ma è bene essere onesti fin quanto è possibile. In fondo, qui più che forse altrove, ci hanno abituato alle sparizioni della gente e delle cose. Le sparizioni di queste ultime sono le più facili e le più evidenti da notare. Dall’uranio al petrolio, passando per l’oro, i diamanti, i fosfati, la bauxite, il plutonio, il manganese, il cobalto, il petrolio e il gas naturale. Tutto sparisce e se ne va via. La graduale sparizione dei migranti si inserisce in questo ambito, trattandosi di una ‘risorsa naturale’ del Sahel.

Ci hanno educato, non senza sforzo, ad abituarci alle sparizioni. Da quelle forzate a quelle programmate il passo è meno complicato di quello che potrebbe apparire a prima vista. Se ne sono andati, in un tempo relativamente breve, i diritti umani fondamentali. Quello alla vita, al nutrimento, all’acqua potabile, all’educazione, alla casa e al lavoro. Il diritto di parola, di pensiero e di manifestare entrambi sulle strade quando gli altri luoghi sono intasati dal potere dominante.

La giustizia ha fatto una fine abbastanza simile. E’ stata sottratta profittando della distrazione di coloro che avrebbero dovuto custodirla come preziosa conquista dell’Indipendenza. Assieme alla dignità sono state le perdite meno notate e anche per questo più pericolose. Quanto alle persone, c’era da aspettarselo, la loro sparizione è più difficile a constatare perché a sparire sono loro, gli invisibili. Per questo è opera improba nominarli, o semplicemente elencarli. Gli invisibili formano il popolo del Sahel.

Passano ogni mattina sulle strade di Niamey e in altre città del Sahel. Sono bambini e portano al collo una ciotola metallica attaccata ad un filo, proprio come la loro vita. Nessuno li nota se non il venerdì, giorno ufficiale dell’elemosina per chi prega o chi si astiene di pregare. Come invisibili sono i figli dei contadini, la maggioranza del Paese, che non si trovano da nessuna parte. Che migliaia non abbiano scuole, cibo sufficiente, carente o inesistente assistenza sanitaria e condizioni di vita decenti, non importa a nessuno. Sono invisibili come i giovani che a migliaia lavorano nel mercato informale delle città e non possono sposarsi perché mancano loro i soldi per la dote. Oppure le ragazze che si pagano gli studi e lo stile di vita occidentalizzato con incursioni notturne in compiacenti hotel ad ore. Scomparsi o quasi sono i lavoratori domestici e le bambine tuttofare disseminate e ben nascoste nei cortili delle case. Invisibili, nella case a loro destinate in città, i rifugiati sottratti alle torture in Libia

Nulla da eccepire. A questo punto c’è solo da stupirsi se ci troviamo ancora qui, visibili e presenti come polvere che il vento accarezza. Per fortuna c’è il fiume Niger al quale, senza nessuna giustificazione, non manca mai l’acqua.

 Niamey, gennaio 2019

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