Per il 13simo sabato consecutivo la “marea gialla” ha di nuovo invaso Parigi e numerose città dell’Esagono.
Un sondaggio recente abbondantemente circolato nei vari canali di informazione – il barometro mensile YouGov realizzato a fine gennaio – rivela che il 65% degli intervistati sostiene la mobilitazione dei Gilets Jaunes, mentre il 77% (cioè più di ¾) la giustifica, e più della meta è convinta che tale mouvement debba continuare anche durante i due mesi del “Grand Débat” macroniano.
La sfiducia in questa iniziativa presidenziale nel tardivo tentativo di ascolto delle istanze provenienti dai corpi intermedi e degli eletti locali supera abbondantemente la metà degli intervistati.
Nel dettaglio – riporta “Huffingtonpost.fr” – “sono il 58% a pensare che queste discussioni non contribuiranno a rendere più flessibile la politica del governo e il 54% dubita di un ritorno delle proposte [scaturite dal dibattitto, NdA] in totale trasparenza e imparzialità”.
L’Atto 13 è stato preceduto dallo sciopero generale di 24 ore di martedì 5 febbraio. che ha proiettato il movimento sviluppatosi dal 17 novembre in una fase nuova.
La giornata di fermata del lavoro di questa settimana ha visto la partecipazione alle manifestazioni in 200 città di oltre 300.000 persone (secondo le stime attendibili degli organizzatori), con – per la prima volta – una presenza massiccia dei gilets jaunes, che insieme agli studenti delle medie superiori e dell’università hanno ingrossato i vari cortei.
Lo sciopero generale ha avuto il sostegno di differenti forze politiche, che grazie a questo movimento hanno trovato un terreno comune di convergenza e, tra l’altrom hanno denunciato il carattere liberticida degli ultimi provvedimenti legislativi in termini di diritto a manifestare, condivisi da Amnesty International e dalla Lega dei Diritti dell’Uomo.
L’ultima tranche di questa discussione si è svolta proprio martedì, con un voto nell’Assemblea Nazionale in cui i deputati della maggioranza di LREM critici riguardo a questo pacchetto legislativo, anche se non hanno votato contro il governo, si sono però astenuti.
Se il tentativo di penetrazione dell’estrema destra nelle mobilitazioni si è fatto più aggressivo e la risposta messa in campo per impedirlo più determinata – come testimoniano tra l’altro gli scontri oggi a Lione tra i GJ antifa e gli “identitari” – la destra parlamentare si è sfilata da tempo dalle mobilitazioni, appoggiando tra l’altro le leggi “anti-casseurs” e osteggiando (come nel loro DNA) lo sciopero generale.
Vi è una oggettiva convergenza tra la piega liberista autoritaria presa dal governo e le forze della destra transalpina, che costituiscono ormai un “partito dell’ordine” trasversale che si contende, per le europee, quell’elettorato che vede nella sintesi tra liberalismo economico e autoritarismo politico la ricetta prioritaria da inscrivere nella propria agenda politica.
Proprio questa settimana è stata confermata la notizia che i servizi segreti francesi stanno intercettando ufficialmente 150 GJ. “Ufficiosamente” questo elevato grado di attenzione potrebbe ovviamente essere anche ben maggiore, mentre la sede del giornale di inchiesta indipendente “Mediapart” ha ricevuto un tentativo di perquisizione per aver rivelato il contenuto di alcune intercettazioni da fonti anonime riguardanti lo scambio tra Benalla e Creuse; il primo è al centro dello scandalo più significativo dell’”Era Macron”, che non sembra avere mai termine da questa estate, dopo le rivelazioni di “Le Monde”.
In questo clima di uso disinvolto degli apparati polizieschi e giudiziari contro i propri oppositori, si è svolta anche la perquisizione a Manuel Bompard, numero 2 alle elezioni europee per la France Insoumise (in piazza dal primo giorno con i GJ e ancora oggi presente al grande corteo di Tolosa), all’interno dell’inchiesta che già aveva portato l’ottobre scorso a perquisizioni a tappeto.
La torsione autoritaria che sta conoscendo la V Repubblica fa riemergere gli episodi che costituiscono il “lato oscuro” della democrazia transalpina nel trattare l’opposizione sociale, proprio a ridosso dell’anniversario della strage di 9 manifestanti scesi in piazza per “La Pace in Algeria”, l’8 febbraio 1962, convocata dalla CGT, durante la lotta di liberazione del popolo algerino, a cui parteciparono 20.000 persone.
Il bilancio provvisorio, dopo due mesi di mobilitazione, parla di 7.000 arresti, 1.900 feriti, 1.000 persone condannate: un inedito allucinante nella recente storia sociale metropolitana francese.
La CGT, che insieme a Solidaires ha proclamato lo sciopero, diventa di fatto parte rilevante dell’ossatura del movimento, rilanciando una serie di iniziative che, insieme ad un fiorire di vertenze aziendali locali, possono contribuire alla costruzione di un rapporto di forza migliore nei confronti dell’esecutivo e del padronato.
Le mobilitazioni del martedì della CGT per “l’emergenza sociale” diventeranno probabilmente, insieme agli Atti del sabato e alle marce femminili domenicali, l’espressione pubblica di un movimento iniziato con i blocchi stradali generalizzati, le operazioni di pedaggio gratuito delle autostrade ed i presìdi alle rotatorie.
Un altre importante tassello organizzativo sono le assemblee generali, divenute sempre più un ambito di confronto diffuso, che ha avuto nella prima “assemblea delle assemblee” nei pressi di Commercy, a fine gennaio, un primo importante momento di confronto. Un secondo appuntamento è previsto tra due mesi nella città portuale di Saint-Nazaire, dove i protagonisti di questa mobilitazione hanno occupato un edificio “sfitto” per farne una Maison du Peuple, in modo avere un centro propulsore permanente del movimento.
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Anche questo sabato si è caratterizzato per le violenze poliziesche: un gilet giallo a Parigi ha perso una mano, “distrutta” da una granata “disperdente” in prossimità dell’Assemblea Nazionale; una figura conosciuta di GJ. membro del servizio d’ordine, è stata manganellata alla testa, all’interno di manifestazioni che hanno visto la partecipazione di più di 10.000 persone. Mentre cariche, lancio di lacrimogeni e lancio di acqua ad alta pressione dagli idranti hanno caratterizzato molte manifestazioni.
Tolosa è stata anche questa volta uno degli epicentri della mobilitazione, dopo la riuscita mobilitazione per lo sciopero generale, anche per il suo ruolo di antesignana – insieme a Marsiglia e Bordeaux – della convergenza ampia di differenti soggetti, tra cui i militanti sindacali e gli attivisti studenteschi.
La città ha visto negli ultimi anni lo sviluppo della sua zona “periurbana”, in cui chi abita lungo la fascia che dista dai 10 ai 30 chilometri, è costretto a ricorrere all’automobile per ogni suo spostamento, mentre quattro lavoratori su dieci sono distanti ben più di mezz’ora dal loro lavoro, secondo i dati forniti dall’Insee.
Il centro cittadino ha conosciuto le stesse trasformazioni di altre città che sono epicentri della protesta (come Bordeaux), diventando uno spazio occupato dai simboli del capitalismo finanziario e speculativo.
Una lunga tradizione di lotte politiche e sociali, così come una consolidata pratica antifascista, sono il retroterra di questo territorio che proprio in questi giorni ricorda uno degli esodi più massicci della storia europea contemporanea: la retirada del gennaio 1939, quando gli esuli antifascisti spagnoli attraversarono il confine francese per sfuggire alla feroce repressione franchista alla fine della guerra civile, che vide numerose famiglie installarsi proprio nella regione.
In queste settimane la città è divenuta il luogo di confluenza da tutta la regione dei GJ durante il fine settimana.
Una bella inchiesta di Mediapart, a firma Emmanuel Riondé, “Pourquoi Toulouse est l’un des bastions des giltes jaunes”, cerca di spiegare le ragioni che stanno alla base di questa stagione di protagonismo sociale che vive la Ville Rose, in cui sembra si sia creato un solco profondo tra i propri rappresentanti locali – il sindaco Jean-Luc Moudenc è di LR, ma molto macroniano, riporta il giornalista – e la popolazione locale (tra cui i quartieri popolari).
La profonda sfiducia sta riguardando anche l’operato delle forze dell’ordine, i numeri parlano chiaro: il giorno dopo dell’Atto XI del 26 gennaio, il Collettif Automèdia Étudiante (Camé) ha recensito 441 interrogatori, 291 “guarde à vue”, 115 comparse di fronte alla giustizia, 196 mesi di prigione comminata “avec sourci” e 121 mesi di galera effettiva comminata.
L’Osservatorio delle pratiche poliziesche (OPP) di Tolosa ha denunciato la pratica abituale per cui dalle quattro e mezzo del pomeriggio, apparentemente senza ragione alcuna, le manifestazioni vengono disperse con la forza.
Lo scorso sabato un membro dell’OPP, registrati in prefettura e perfettamente identificabili, “ha ricevuto un proiettile che l’ha gravemente ferito alla fronte: dieci punti di sutura e una cicatrice ben visibile che gli rimarrà tutta la vita”, denuncia l’articolo.
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Diamo una panoramica parziale delle mobilitazioni adoperando le fonti di informazione diretta, i media locali e quelli nazionali.
Le cifre ufficiali del governo parlano di 51.400 manifestanti, contro i 60.000 del sabato precedente. Naturalmente, numeri notevolmente al ribasso rispetto al confronto con altre fonti di informazioni, mentre le prime stime di “Nombre Jaune” – sito di informazione nato per dare numeri attendibili delle mobilitazioni – riporta almeno 110.000 partecipanti complessivi. .
Partiamo da “Le Monde” che riporta dai 4.000 ai 5.000 manifestanti a Bordeaux, citando l’AFP; qualche migliaio (senza specificare ulteriormente) a Tolosa, 1.500 a Marsiglia nel picco della partecipazione per la polizia (ma le immagini smentiscono clamorosamente queste stime); a Nizza sono partiti per raggiungere il confine italo-francese a Ventimiglia, ma sono stati fermati a Mentone; a Montpellier hanno partecipato circa 1.500 manifestanti, che si sono poi scontrati con la polizia a piazza della Comédie.
Secondo “La Dauphine” un migliaio di manifestanti ha sfilato a Valence, più di un migliaio a Montbéliard (secondo “Estrepublicain”), ben più di mille a Tarbes per “La Depeche”. All’Isola della Reunion, a Saint-Denis, una manifestazione pacifica ha visto sfilare un migliaio di persone (GJ e militanti sindacali) per “fare fronte comune perché l’unione fa la forza” per “ipreunion.secondom”.
A Lione “Le Progress” parla di circa 4.000 manifestanti, mentre per l’Atto 13 Mulhouse, in Alsazia, per la manifestazione regionale “a rotazione” che si svolge ogni sabato in un centro cittadino diverso, sono confluiti più di un migliaio di persone Mentre a Strasburgo, secondo “France Bleu”, è stata invasa la stazione ferroviaria. che ha dovuto chiudere, ed è stato preso di mira il centro commerciale Les Halles.
Sempre FB riporta dai 1.500 ai 2.000 manifestanti a Lille, e circa altri 400 in tutta la regione. A Rennes, come riporta “Libération”, le “Stylos Rouges” – che si battono contro le riforme scolastiche previste dall’esecutivo – hanno raggiunto i gilets gialli, che hanno aperto la mobilitazione con un cartello che chiedeva le dimissioni del ministro dell’Istruzione.
Ad Arras c’è stata una mobilitazione notturna ripresa in diretta da “Licorne News”.
Nei prossimi giorni si potrà dare un quadro più particolareggiato.
P.S.
Un manifestante ha vergato a mano un pannello in prossimità dell’entrata dell’Assemblea Nazionale con un rendering che la raffigurava con le seguenti parole: “Dov’è l’entrata?”
Siamo così sicuri che la questione della “presa del potere”, nell’immaginario delle classi popolari, è poi così lontana, Oltralpe?
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