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Libano. Pressioni internazionali sul nuovo governo

Il Libano ha da una settimana un nuovo governo. Dopo nove mesi di tensioni tra le due diverse correnti politiche – l”8 marzo” (Hezbollah, Amal, Partito Comunista Libanese, Corrente Patriottica Libanese di Aoun ed il partito sunnita “Blocco dell’Incontro”) e il “14 marzo” (i sunniti di Mustaqbal del primo ministro Hariri, i maroniti delle Forze Libanesi di Samir Geagea ed i drusi di Jumblat) – si è trovato un accordo per la formazione del governo.

Il nuovo esecutivo, guidato dal premier sunnita Saad Hariri,  conta in tutto 30 ministri con 4 donne – una novità – che occupano anche due ministeri di peso come quello degli interni e quello dell’energia. Un “governo di unità nazionale” che ha accontentato tutte le forze politiche e confessionali del paese, nel rispetto di una costituzione che suddivide il numero dei ministeri e delle cariche istituzionali su base confessionale, retaggio del passato coloniale francese.

L’ultimo ostacolo era legato alla richiesta del “Blocco dell’incontro”, raggruppamento politico sunnita opposto al partito Mustaqbal di Hariri e alleato di Hezbollah, che richiedeva un ministero.  Istanza ottenuta grazie alla mediazione del Direttore Generale della Sicurezza, Abbas Ibrahim, incaricato da Aoun di portare avanti i colloqui ad oltranza per la formazione del governo.

La Corrente Patriottica Libera (Cpl), ed i suoi alleati sciiti di Hezbollah e Amal mantengono una maggioranza all’interno dell’esecutivo –  grazie alla vittoria elettorale delle parlamentari di maggio 2018- con 11 ministeri per il Cpl, 3 per Amal e 3 per Hezbollah.

Il nuovo esecutivo nasce “già in salita” perché avrà 30 giorni di tempo dalla sua formazione per firmare la propria legge finanziaria, con l’obiettivo di dare un deciso rilancio all’economia nazionale che ha raggiunto un debito  pari a circa il 150% del PIL. La stessa agenzia di rating Moody’s aveva declassato a gennaio il paese considerando “numerose carenze strutturali e l’alta possibilità di un default.

Ad una settimana dalla sua formazione la stampa libanese ha accolto il nuovo governo senza troppi entusiasmi, a causa soprattutto dell’estenuante impasse politica legata ai singoli interessi di tutte le confessioni all’interno del panorama politico libanese.  Richieste e veti incrociati che, come accaduto nel 2011 e nel 2015,  hanno causato, “un rallentamento della vita istituzionale del paese con l’attesa di quasi un anno per la formazione di un esecutivo”, come scritto sul quotidiano Al Akhbar.

Altro fattore che ha influito, in maniera considerevole, nella formazione del nuovo governo sono state le pressioni internazionali per alimentare tensione tra i due diversi schieramenti politici.

Secondo il quotidiano online Rai Al Youm la stessa operazione israeliana “Margine settentrionale”, con la scoperta dei tunnel costruiti da Hezbollah nella guerra del 2006, aveva come obiettivo quello di creare divisioni e fratture tra il partito sciita ed il suo principale alleato la Cpl di Aoun: tentativo fallito con la formazione del nuovo governo.

L’amministrazione Trump, in sostegno alla politica di Tel Aviv e Ryadh contro l’Iran ed Hezbollah, ha mal digerito la formazione del nuovo governo ed il recente boicottaggio libanese della conferenza di Varsavia per la creazione di una “Nato Araba” in funzione anti-iraniana. Il vice-segretario americano  al Tesoro per la lotta contro il finanziamento del terrorismo, Marshall Billngslea, in visita a Beirut la scorsa settimana, ha  immediatamente lanciato un monito al governo Hariri . “Se vedremo  che Hezbollah tenterà l’utilizzo dei propri ministeri (in riferimento a quello della Sanità, ndr) per far passare denaro a sostegno delle proprie attività di terrorismo” – ha dichiarato – “bloccheremo qualsiasi finanziamento a vostro favore ed il governo libanese avrà seri problemi”.

Sintetica la risposta ufficiale di Hezbollah e del nuovo ministro della Sanità, Jamil Jabak: ”Il nostro compito è quello di superare la corruzione, la crisi economica e sociale nel nostro paese per il bene di tutti i libanesi, evitando le pressioni strumentali di paesi esterni destabilizzatori”.

Ultimo elemento di scontro con l’esterno sono i continui sconfinamenti dell’esercito israeliano nello spazio aereo e marittimo libanese. Il ministro degli esteri, Gibran Bassil, ha dichiarato che Tel Aviv ha violato la sovranità territoriale per 1417 volte nel 2018 etichettando l’atteggiamento israeliano come “un perenne affronto al nostro stato, in violazione della risoluzione 1701 dell’Onu”. Il riferimento è legato anche alla recente decisione del governo Netanyahu di autorizzare una società straniera nello “sfruttamento lungo il confine dell’area  marittima nove” per l’estrazione delle ricche risorse petrolifere e gassose offshore al largo delle coste libanesi.

Un tentativo giudicato dal presidente del parlamento, lo sciita di Amal Nabih Berri, come “un’ulteriore riprova della volontà espansionistica e colonizzatrice di Israele” visto che quell’area “contesa” è già stata assegnata dal governo di Beirut ad un consorzio formato dalla francese Total, dall’italiana Eni e dalla russa Novatek. “L’atteggiamento di Tel Aviv” – ha concluso Berri – “è molto pericoloso perché rischia di portarci ad un conflitto, anche armato, per la difesa delle risorse del Libano”.

 

 

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