Nella serata di ieri, allorché erano state scrutinate più del 90% delle schede per le presidenziali ucraine (30,25% a Zelenskij, 15,97% a Porošenko, 13,37% a Timošenko e 11,53% a Bojko; ma nei seggi all’estero Porošenko ha avuto addirittura il 39%, contro il 26% di Zelenskij e la Timošenko è finita sesta con il 4,2%), fatti incredibili, quanto pericolosi, si sarebbero verificati negli uffici del palazzo presidenziale di Kiev.
Ne ha scritto nel tardo pomeriggio di lunedì il sito news-front.info e riportiamo la notizia così come apparsa, aggiungendo solamente che i due principali protagonisti dell’accaduto, il Presidente ucraino Petro Porošenko e l’ambasciatrice USA a Kiev, Mari Jovanovič, sono gli stessi che – il primo – nel 2018, stando alla sua dichiarazione dei redditi, avrebbe aumentato il proprio patrimonio di circa 95 volte (non un solo business al mondo produce tali profitti, a parte l’appropriazione indebita dal bilancio pubblico, chiosa il sito iarex.ru).
La seconda, cioè l’ambasciatrice USA, colei che tre giorni prima delle elezioni presidenziali si era incontrata col Ministro degli interni Arsen Avakov, per verificare con lui, considerato l’ago della bilancia dell’attuale scontro “politico” in Ucraina, le ulteriori mosse USA; la stessa Mari Jovanovič che ancora qualche giorno prima aveva dettato al Procuratore generale ucraino, l’elettrotecnico Jurij Lutsenko, l’elenco de “The Untouchables” ucraini. Un documento che, come osserva il sito colonelcassad.com, non sorprende particolarmente, dato che, anche senza di esso, è noto come gli Stati Uniti controllino la politica “interna” ucraina con metodi dirigenziali; e i “nomi stessi di quell’elenco non sorprendono: tutti in qualche modo legati al golpe del 2014 e saliti ai vertici dell’Ucraina sui corpi delle decine di migliaia di persone uccise durante la guerra civile”.
E dunque, ecco come news-front.info descrive l’accaduto.
Mari Jovanovič era al centro dell’ufficio presidenziale. Porošenko, con un abito sgualcito, era seduto al tavolo e si teneva la testa. “Petro Aleksevič , Lei se ne deve andare”, gli avrebbe detto l’ambasciatrice USA; “Donald Trump non ha dimenticato come Lei abbia sostenuto Hillary Clinton alle elezioni”. Tra parentesi, osserva news-front.info, Jared Kushner, genero e senior advisor di Donald Trump, sarebbe un parente alla lontana di Vladimir Zelenskij.
Sembra che Porošenko l’abbia guardata con occhi spenti, pieni dei postumi della sbornia, davanti ai quali gli sarebbero lampeggiate le sue fabbriche di cioccolato sottrattegli da Igor Kolomojskij e poi L’Aja e infine Saddam Hussein impiccato.
Fatto sta che Porošenko avrebbe deciso in un attimo: tirata fuori dal cassetto del tavolo la sua “SIG Sauer P226”, avrebbe esploso due colpi contro la Jovanovič, che crolla sul tappeto. Pare che Porošenko si sia quindi alzato dal tavolo e le abbia detto: “Ricordati, straniera, che qui il padrone è ucraino”; dopo di avrebbe finito l’americana con un colpo alla testa.
Poche ore dopo l’accaduto, e convocato d’urgenza il Consiglio dei Ministri, appena arrivato, Arsen Avakov avrebbe fatto la stessa fine della Jovanovič. Contemporaneamente, incendi sarebbero divampati a bordo delle due fregate NATO all’ancora nel porto di Odessa e gli uomini del SBU, dalle banchine, avrebbero cominciato a sparare sui marines USA (per l’esattezza: il redattore di news-front.info pare abbia fatto confusione, perché le due fregate sono una canadese e una spagnola e non pare avessero a bordo marines USA; ndt) che cercavano di salvarsi dagli incendi gettandosi in acqua.
Però, concludeva sconsolato il redattore di news-front.info, “nemmeno il 1° aprile riesco a immaginare che l’Ucraina mostri quantomeno qualche indizio di indipendenza”. Qui finiva la cronaca.
Ma, se tutto ciò è da ascriversi alla giornata di ieri, 1 aprile, c’è da dire che già oggi la stessa news-front.info osserva che, in vista del secondo turno elettorale del 21 aprile, in cui si contenderanno la poltrona presidenziale Petro Porošenko e Igor Kolomojski, nella persona di Vladimir Zelenskij, Washington avrebbe qualche chances di “ricominciare tutto da zero”.
Porošenko, scrive Evgenij Gaman, è un politico esperto, e a un certo punto ha cominciato a rivolgere questa esperienza contro i “padroni”. Zelenskij non ha esperienza, il che significa che avrà bisogno di consulenti, consiglieri, ecc: avranno un bel da fare all’ambasciata americana.
Non meno importante è il fatto che ora la leadership di Zelenskij simboleggia un’autentico voto e una “scelta popolare, secondo i canoni della democrazia”. Questo fattore si inserisce perfettamente nella politica statunitense e per un po’ di tempo Washington lo potrà sfruttare; del resto, lo stesso Porošenko era andato al potere nel 2014 secondo tali canoni.
“Tutti gli credettero; persino Mosca. Il risultato si conosce”, conclude Gaman. E non va dimenticato che in rete circolano notizie su procedimenti penali che in USA sarebbero stati avviati contro l’entourage di Porošenko. Pare che “gli Stati Uniti si stiano preparando alla sconfitta di Porošenko, ma non lo lasceranno nemmeno uscire di scena così pacificamente. Con lo slogan della giustizia, pretenderanno da lui una buona parte di ciò che è riuscito a saccheggiare e diranno che gli USA non hanno nulla a che fare con ciò che ha combinato lui, che sono stati ingannati e ora stanno amministrando la giustizia”.
E al suo posto metteranno, con gli stessi metodi di sempre, la pedina di un altro oligarca e allora il fantasma di Saddam Hussein apparirà davvero davanti agli occhi di Porošenko, il quale tenterà fino all’ultimo di gettare nella mischia i suoi pretoriani di “C 14” e SBU, non foss’altro che per ribaltare il voto del 21 aprile.
Già al primo turno si è visto di quali “miracoli” sia capace l’Ucraina golpista. Per un verso, oltre ai circa 3,5 milioni della popolazione delle Repubbliche popolari di Donetsk e di Lugansk, sono stati privati del diritto di voto 3 milioni di ucraini residenti in Russia – dove Kiev non ha allestito seggi presso ambasciata di Mosca e i consolati di Rostov, Ekaterinburg, Novosibirsk, Piter – cui era stato proposto di andare a votare a migliaia di km di distanza in Georgia, Kazakhstan e Finlandia; oltre a circa 50.000 ucraini della Transnistria.
Per un altro verso, stando ai dati della Commissione elettorale ucraina, dei 35.566.212 di elettori registrati, i votanti sono stati appena 18.821.157, così che il 47% degli aventi diritto non ha partecipato alle elezioni. Ma la stessa CEC ha registrato un’affluenza del 63,5%: cioè, è balzata fuori un’eccedenza del 10,6%. Sembra che “non solo Mikhail Tolstykh ‘Givii” e Alexandr Zakharčenko siano resuscitati per andare a sostenere Porošenko”, ironizza ritmeurazija.org, ma lo abbiano fatto “anche moltissimi nonni e bisnonni degli attuali eroi ucraini di OUN e UPA”.
I golpe servono anche a questo e al 21 aprile mancano ancora tre settimane.
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Lluch de sa font
E poi il Venezuela che ha votato 23 volte in meno di vent’anni è una “dittatura”…la vergogna questa sconosciuta!