Il 2 maggio ricorreva il quinto tragico anniversario della strage di combattenti anti-majdanisti perpetrata nel 2014 dai neonazisti ucraini alla Casa dei sindacati di Odessa. Il 28 aprile 2019 neonazisti e veterani nazisti ucraini hanno celebrato a L’vov il 75° anniversario della formazione della divisione SS “Galizia”.
Il truce rituale si è svolto con l’intervento dell’orchestra militare di stato e di rappresentanti ufficiali, a testimoniare come, su questo versante, i “cambiamenti” da un Presidente all’altro non riguardino la natura dello Stato golpista ucraino. Il leader del gruppo terroristico-nazionalista “C14”, Evgenij Karas, da sempre braccio armato del (a questo punto, ex) Presidente golpista Petro Porošenko, ha farneticato che quanto commesso cinque anni fa a Odessa sia stato “il trionfo della vita e del bene”.
Questa è l’Ucraina della “democrazia europeista” così cara anche agli italici demoindivisivi.
In occasione dell’anniversario del massacro di Odessa e mentre in città, a “celebrare” il macabro anniversario, sfilavano i fascisti del “Corpo nazionale”, Vasilij Prozorov, ufficiale dei Servizi ucraini (SBU), da anni in contatto con l’intelligence russa, (lo scorso marzo, in una conferenza stampa a Mosca, aveva rivelato la mano ucraina nell’assassinio dei comandanti più in vista delle milizie del Donbass, del leader della DNR Aleksandr Zakharčenko e nell’abbattimento del Boeing malese) ha allargato la pubblicazione di documenti riservati, da lui stesso denominati “UkrLeaks”.
Prozorov ha ora parlato della strage del 2 maggio 2014, alla Casa dei sindacati di Odessa, in cui 48 attivisti anti-majdan (questa è la cifra ufficiale fornita dai golpisti, ma si parla addirittura di oltre trecento uccisi) morirono bruciati vivi dalle molotov lanciate contro l’edificio dai gruppi neonazisti, con la partecipazione delle forze di sicurezza ucraine – le immagini trasmesse all’epoca, con la presenza di numerosi uomini in uniforme, parlavano chiaro – mentre coloro che cercavano scampo calandosi dalle finestre, venivano finiti in strada, a pistolettate e anche a bastonate.
Prozorov produce documenti che provano la responsabilità dei Servizi di Kiev in quella strage. In particolare, un rapporto datato 2 maggio 2014 (ore 19), indirizzato al Centro antiterrorismo del Servizio di sicurezza ucraino, e un secondo rapporto dello stesso Centro, sul monitoraggio degli eventi di massa, stilato sulla base delle informazioni inviate al Quartier generale dai vari dipartimenti.
In base a quel secondo rapporto, nel pomeriggio del 2 maggio, nel corso della marcia “Per l’unità dell’Ucraina”, elementi delle organizzazioni nazionaliste “Maidan”, “Pravyj Sektor”, “Autodifesa”, insieme a ultras del “Černomorets” di Odessa e del “Metalist” di Kharkov (circa 600 persone), prima dell’incontro di calcio attaccarono un presidio di circa 300 filo-russi in piazza Greca.
Alla fine della partita, verso le 19, gli stessi elementi mossero verso il Campo di Kulikov, devastarono la tendopoli degli attivisti filo-russi e cominciarono ad assaltare la Casa dei sindacati, dove questi ultimi si erano rifugiati. Che la strage fosse premeditata, lo prova il fatto che numerosi neonazisti fossero già appostati sul tetto dell’edificio e altri fossero penetrati all’interno, muniti di maschere antigas, pronti a lanciare materiale infiammabile: i rifugiati non avevano scampo.
Tutto ciò è noto da cinque anni. E non è nemmeno un segreto, dice Prozorov, che, sia tra i “nazionalisti”, sia tra gli “ultras”, i Servizi, per dirla nella loro lingua, tenessero “alcune posizioni operative”. Ciò è ora confermato dall’altro documento presentato dall’ex ufficiale del SBU; un documento che non si riferisce però a Odessa, bensì a Kiev, nel febbraio 2016. In quell’occasione, i nazionalisti insoddisfatti dei risultati del majdan, tentarono di dar vita a nuove azioni di massa. Nessuno scontro violento, nessun appello al rovesciamento del potere; ma i Servizi tenevano ovviamente sotto controllo gli avvenimenti e dunque ci sono informazioni su chi, dove e in quale entità li avesse organizzati, chi li avesse finanziati, quali “informazioni” fossero state diramate a media e social network.
E’ questo un documento voluminoso, dice Prozorov, “ma vorrei concentrare l’attenzione su alcuni nomi”: “Forze patriottiche” (Jaroš, Berëza, Levus); speaker “Medved” (30 persone, responsabile D. Dotsenko); Stelmaščuk (50 persone, responsabili Greščuk e Ševčenko); speaker Andrej “Vysota”, Autodifesa majdan (20 persone, responsabili Greščuk e Ševčenko); Kostyančuk (50 persone, responsabile Petrov), speaker “Bišut”; “Centuria Nera”, Ruslan (30 persone, responsabile Petrov), speaker “Ruslan”.
Chi sono le persone presentate nel documento come “responsabili”, dice Prozorov? Danil Dotsenko: attualmente Maggiore-Generale, Capo del Dipartimento per la Difesa nazionale. All’epoca del majdan, era stato trasferito a Kiev, incaricato dei contatti con Pravyj Sektor e Dmitro Jaroš. Stepan Greščuk, nel 2014 addetto dell’Ufficio centrale del SBU; nel 2015, “per meriti nella lotta contro il separatismo”, nominato a capo dell’Amministrazione SBU per la regione di Kiev. Da questi documenti emerge chiaramente come le “forze patriottiche” siano pienamente controllate dal SBU e lo fossero già nel 2014 e sapessero cosa si stesse preparando”.
Ora, come suol dirsi: lo sapevamo, ma non disponevamo delle prove. Si sapeva come, durante la strage, il capo dell’Amministrazione regionale di Odessa, Vladimir Nemirovskij, fosse in continuo contatto con l’oligarca Igor Kolomojskij, (all’epoca, governatore della regione di Dnepropetrovsk) finanziatore ufficiale di Pravyj Sektor e come quest’ultimo assicurasse all’allora presidente ad interim golpista, Aleksandr Turčinov, che avrebbe pacificato la recalcitrante Odessa.
Cinque anni da quella strage nazista: nessun colpevole, nessun mandante, secondo la magistratura golpista di Kiev. Anche il nuovo presidente ucraino, Vladimir Zelenskij, che di Kolomojskij è la pedina e che ha promesso di consegnare alla giustizia i responsabili delle sconfitte di Ilovajsk e Debaltsevo, non ha detto una parola su autori e mandanti della moderna “Katyn” nazista, quella di Odessa.
E anche in Occidente nessuno ha mai scritto je suis Odessa. Nessun “democratico”, di quelli che declamano la “democrazia assoluta”, senza distinzioni di classe e di epoche, che strepitano contro “i fascio-razzisti amici di Mosca”, che a suo tempo hanno chiesto con quale “spirito” il Presidente del Consiglio “intende soggiornare alla corte di Putin” e lo hanno esortato a “non rinunciare a fare sentire la nostra voce in difesa dei diritti umani … a riprova del nostro tradizionale impegno nella protezione e promozione dei diritti fondamentali nel mondo”, nessuno di loro ha mai tremato stringendo la mano ai golpisti ucraini, mandanti ed esecutori diretti della strage di Odessa.
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