“La rivoluzione non è una gara di velocità ma una di resistenza.
Unione
Pazienza
Perseveranza”
Slogan dell’Hirak
Dal 22 febbraio l’Algeria ed è entrata in una fase politica inedita per la sua storia di repubblica indipendente.
Per la dodicesima settimana consecutiva anche questo venerdì il popolo è sceso nelle strade in pieno Ramadan, per dimostrare la propria insoddisfazione nei confronti di una gestione della transizione, che è ancora in mano ai pezzi di potere dell’establishment dell’Era Bouteflika (1999-2019) ed in cui l’esercito (l’ANP) si è eretto come garante all’interno del quadro costituzionale e principale attore politico istituzionale, visto l’impasse dei partiti che hanno fino a qui governato il paese.
Una vignetta del famoso artista algerino Dilem fa recitare al cartello di un manifestante: “la fame di democrazia è più forte”.
Milioni di persone hanno manifestato scandendo slogan ostili al mantenimento delle elezioni presidenziali il 4 luglio prossimo, intonando cori e mostrando cartelli contro A. Bensalah, N. Bedoui e A.G. Salah…
L’editoriale del giornale filo-governativo di “El Moudjahid” del sabato annunciava che:
“Attualmente, sono sul tavolo del governo, alcuni dossier suscettibili di moralizzare la vita politica. È il caso della lotta contro la corruzione e la dilapidazione di denaro pubblico o la ricerca di mettere in condizione di non nuocere tutti coloro e tutte coloro che impediscono il compimento del processo legale, passando per la realizzazione delle elezioni presidenziali”
Un monito esplicito ai vecchi nemici delle alte cariche dell’esercito, come dell’opposizione (dopo l’arresto della segretaria del PT) ed ovviamente alla piazza.
Bisogna ricordare che alcuni giornalisti della catena televisiva pubblica erano stati sanzionati per le loro giudizi ritenuti favorevoli al movimento popolare e che questo venerdì i canali della televisione nazionale non hanno trasmesso le mobilitazioni.
Senz’altro un segnale di volontà di “censura” della protesta che non si indeblisce.
Il bashing contro personaggi dell’opposizione sui socials – accusati di “complotto” o di essere agenti di potenze straniere – è proseguito, come le voci di possibili altri arresti di altri personaggi di spicco dell’opposizione non cooptati nella strategia di cooperazione con lo svolgimento delle elezioni presidenziali.
La mobilitazione è rimasta intatta.
Algeri (dove la polizia ha bloccato nuovamente l’accesso al tunnel delle facoltà e proibito l’organizzazione di un iftar collettivo alla centrale piazza della Grande Poste a fine manifestazione), Batna, Bouira (dove è stato messo in atto lo stesso dispositivo di sicurezza filtrante autostradale), Bejaia, Orano, Costantine, Bordij Bou Arreridj – dove un iftar gigante (pranzo collettivo dopo la giornata di digiuno) è stato previsto alla fine della mobilitazione nella “capitale” dell’Hirak – Mostaganem, M’sila, Tizi Ouzou (dove Said Sadi ha manifestato chiamando alla solidarietà con Louisa Hanoune), Relizane, Oum El Bouaghi, Relizane, Tiaret, Setif, Tlemcen, Saida, Médéa, Sidi Bel Abbès, Chlef, Mascara, Aïn Témouchent, Sijel… Sono stati le città principali della protesta.
“No a delle elezioni organizzato da un potere dscreditato” e “Per uno stato civile e non per un regime militare” sono stati gli slogan cantati tra gli altri ad Orano, mentre la partenza di Bedoui e Bensalah è stata chiesta a gran voce dalla piazza di Costantine e di altre città: “Djazaïr Hora Démocratia” e “Makanch intikhabate”, ovvero “non ci saranno elezioni con la banda”, è stato urlato a Mostaganem ed in altri centri,
“Chaab yourid isqat nidham”, ovvero “il popolo vuole lo smantellamento del sistema” hanno gridato i manifestanti a Tiaret, e cori simili si sono sentiti altrove.
Ma forse le immagini più impressionanti sono quelle che giungono dalla capitale della protesta Bordj Bou Arreridj, dove di fronte al “palazzo del popolo” – un edificio così ribattezzato dove viene esposto uno striscione gigante ogni venerdì in cui vengono graficamente rappresentate le ragioni della protesta – i manifestanti hanno scandito all’unisono l’inno nazionale “Kassaman”, le cui parole sono state scritte in una cella col sangue dal suo estensore – Moufdi Zakaria – durante la sua prigionia per l’attiva partecipazione alla lotta di liberazione.
L’inno che è una vera e propria “canzone di lotta”, insieme ad altri brani patriottici viene intonato spesso nelle mobilitazioni: un anelito affinché le rivendicazioni della Rivoluzione Algerina – contenute sin dal comunicato numero uno del FLN del 1954 – vengano effettivamente realizzate.
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Erano stati gli studenti ad Algeri ed in altre città a dare il segno della continuità della protesta, nonostante l’inizio lo scorso lunedì della festività mussulmana, scendendo in piazza come ogni settimana.
L’8 maggio è una giornata storica per l’Algeria, in cui si ricorda il massacro coloniale francese compiuto a Setif e le rappresaglie successive commesse a partire da quel giorno del 1945 in cui parte del popolo algerino a Setif, mentre la Francia festeggiava la vittoria è sceso in piazza chiedendo l’indipendenza e brandendo la bandiera che è poi divenuta quella nazionale.
Questa data è un vero e proprio “spartiacque” nella storia algerina: vero inizio della lotta di liberazione nazionale che ha radicalizzato l’ampio fronte di forze indipendentiste, facendo maturare la scelta della lotta armata contro il colonialismo francese.
In alcune località simbolo del massacro francese le autorità hanno vietato la celebrazioni, mentre a Setif di fronte alla stele che ricorda l’eccidio è stato fischiato il capo del dipartimento.
Le elezioni presidenziali che si dovrebbero tenere il 4 luglio non hanno ancora tra i candidati alcun nome conosciuto, mentre una parte di magistrati – insieme a vari sindaci – ha dichiarato da settimane che non svolgerà i propri doveri necessari per lo svolgimento di questa tornata elettorale, in uno spirito di “disobbedienza civile” di massa che ha colpito alcune settimane orsono alcuni esponenti del governo “illegittimo”, cui è stato di fatto impedito di spostarsi in alcune città in cui dovevano recarsi in visita ufficiale per la mobilitazione popolare.
È legittimo il sospetto che, sotto la spinta popolare, le alte cariche dell’esercito stiano compiendo “un regolamento dei conti” contro pezzi del vecchio apparato di potere a loro ostili, di fatto promuovendo un’azione giudiziaria a tutto campo che incanali la sete di giustizia popolare verso una lotta tra clan rivali.
Ma ad avere fatto le spese di questa lotta tra apparati – che ha coinvolto due ex capi dei potentissimi servizi di sicurezza, poi sciolti, e potentissimo il fratello dell’ormai ex presidente ottuagenario – è stata anche la segretaria del maggiore partito politico della sinistra algerina: Louisa Hanoune del PT, eletta più volte tra i deputati in parlamento e più volte candidata alle elezioni presidenziali per questo partito.
La leader del PT è in detenzione nel quadro di una inchiesta su Saïd Bouteflika, “Toufik” e “Tartag” – gli ex capi dei Servizi – per “attentato all’autorità dell’esercito” e “complotto contro l’autorità dello stato”.
Il fratello dell’ex-presidente e due capi del servizi di sicurezza erano stati arrestati il sabato precedente, suscitando un grande scalpore visto il loro ruolo di primo piano che avevano esercitato in passato e a lungo.
Era dagli inizi degli anni Novanta – cioè durante il Decennio Nero in cui una feroce guerra civile ha contrapposto l’esercito ai combattenti jihadisti – che il capo di un partito politico non veniva arrestato.
Il PT – come le altre formazioni della sinistra algerina (FFS e PST) oltre alla base del sindacato ed alle associazioni della società civile – sostiene l’Hirak e propone una opzione di uscita dalla crisi che venga tolta di mano da pezzi del vecchio sistema di potere, e che porti ad una reale democratizzazione dei processi decisionali.
Ciò che sembra prefigurare una torsione autoritaria nella gestione della transizione da parte delle alte cariche dell’esercito, in questa manovra a tenaglia tesa a schiacciare sia i suoi vecchi competitor che i suoi attuali antagonisti, preoccupa anche per la forma spettacolare che ha assunto grazie alla “mediatizzazione” dell’arresto e della detenzione della Hanoune, filmata dalle camere dell’emittente televisiva di stato ENTV.
Dopo tre giorni dalla sua incarcerazione da parte del tribunale militare di Blida, la leader del PT non avrebbe incontrato i suoi avvocati né i suoi familiari, e non si hanno notizie su di lei.
Il suo arresto, avvenuto giovedì 9 maggio e la sua detenzione, ha suscitato viva preoccupazione e solidarietà non solo da parte della sinistra, ma di tutta l’opposizione – tra cui la Lega Algerina in Difesa dei Diritti dell’Uomo (LADDH) – ed è stata lanciata una campagna per la sua liberazione.
Il dossier di cui i particolari non sono noti riguarderebbe “una cospirazione contro l’Esercito”, e sembrerebbe essere la messa in atto di una strategia conseguente alle dichiarazioni fatte dal capo di stato maggiore Gaïd Salah che aveva tuonato contro l’opposizione che si ostinava a non entrare in un processo di consultazione promosso dal governo in vista della preparazione delle elezioni di luglio e alle ancora più infuocate parole usate dall’organo ufficiale dell’esercito nel suo editoriale questa settimana.
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Come abbiamo più volte rimarcato le radici della mobilitazione popolare contro “il sistema” sono da ricercarsi nelle scelte di fondo fatte in passate dall’establishment che ha reso l’Algeria un Paese caratterizzato dall’esportazione degli idro-carburi e dall’importazione praticamente di tutto il resto, aprendo il “commercio” all’estero e permettendo così di dare vita ad un pesante squilibrio in cui la ricchezza energetica è andata sempre meno distribuita ed utilizzata per porre le condizioni per uno sviluppo differenziato in cui la popolazione trovasse uno sbocco occupazionale adeguato alla sua istruzione.
Inoltre la mancata realizzazione integrale delle aspirazioni del popolo algerino che ha combattuto una sanguinosa guerra di liberazione (1954-62) ed ha pagato un tributo pesantissimo alla colonizzazione francese iniziata nel 1830 è un dato che ritorna con forza già dai giorni successivi all’Indipendenza con gli scontri tra le varie componenti del FLN, con il colpo di stato di Boumedienne, le mobilitazioni di fine anni Ottanta e la “Primavera Nera” berbera e giunge fino ad oggi.
Ma la coscienza di dovere ingaggiare una lotta costante e duratura è impressa nei protagonisti dell’Hirak che non sembrano intimoriti dalla gestione marziale della transizione e tornano d’attualità delle parole dell’inno nazionale utilizzate nel titolo.
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