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I fantasmi sovietici della Lituania europeista

Nel corso della riunione dei Ministri della giustizia e degli interni dei paesi UE, il Ministro della giustizia lituano Elvinas Jankevičius ha sollevato la questione dell’indagine aperta in Russia contro procuratori e giudici lituani impegnati nel caso dei fatti del 13 gennaio 1991 alla torre della televisione di Vilnius. Allora si arrivò allo scontro di piazza, dopo che la Lituania aveva unilateralmente proclamato l’indipendenza dall’URSS, ma il Soviet Supremo aveva giudicato l’atto illegale e mobilitato l’esercito. Durante gli scontri, furono esplosi diversi colpi di fucile (nessuno conosceva allora il tipico scenario di majdan…) e alla fine si contarono 14 morti e oltre 60 feriti.

Ora, Jankevičius giudica l’attuale azione investigativa russa “una pressione diretta” sui giudici lituani. Dopo che lo scorso 27 marzo il tribunale distrettuale di Vilnius aveva proclamato il verdetto sul “caso del 13 gennaio”, il Comitato investigativo russo ha avviato un’inchiesta sui giudici lituani per “sentenza illegittima” e ha intentato una causa penale. Secondo Mosca, inchiesta e sedute giudiziarie lituane si sono svolte in violazione di tutte le norme legali, interne e internazionali, e la polizia non ha presentato un singolo fatto a conferma che fossero stati militari sovietici ad aprire il fuoco il 13 gennaio del ’91.

Una delle vittime più note di quella che si dimostra essere una vera e propria perenne “fobia senza prescrizione” di Vilnius per il passato sovietico, è l’ex leader del Fronte Popolare Socialista di Lituania, Algirdas Paleckis. Imprigionato dall’ottobre 2018, con l’accusa di “spionaggio ai danni della Lituania”, ovviamente al servizio di Mosca, Paleckis ha fatto sentire la propria voce con una lettera aperta pubblicata lo scorso 28 maggio dal portale Ekspertai.eu.

Durante i primi mesi di reclusione, scrive Paleckis, “continuavo ad avere una speranza, ancorché piccola, che la procura conservasse almeno una porzione di buon senso. Che essa, in attuazione delle istruzioni del VSD (Dipartimento per la Sicurezza di Stato), mi trattenesse e, accertata l’assenza di prove, avrebbe chiuso il caso. Tuttavia, la procura, continua sistematicamente a muoversi al guinzaglio del VSD e questo, a sua volta, al guinzaglio di Gribauskajte”, la Presidente lituana, ex dirigente repubblicano del PCUS.

Dalija Gribauskajte, continua Paleckis “è la principale fascista della Lituania. E’ lei che ha completato la costruzione del fascismo democratico nel nostro paese. E’ questo un fascismo importato dagli USA. E’ in America che, alla fine del XIX secolo, è comparsa questa smorfia di democrazia degenerata. L’oligarchia finanziaria, comprando i media liberi, si è insediata in modo permanente al vertice della piramide finanziaria. E finora ha avuto successo, dato che, in apparenza democraticamente, si libera di tutti coloro che la pensano diversamente, sia in America che fuori dei suoi confini”.

“L’essenza del fascismo democratico” – afferma Algirdas Paleckis – “è proprio la sua capacità di “liberarsi per tempo e con tatto ‘democratico’ di coloro che dissentono. Comincia con l’indirizzare i media contro di loro. Se non si arrendono, allora li attacca finanziariamente, con sanzioni, pressioni sul lavoro. Se nemmeno così si arrendono, allora intenta cause e li sbatte in prigione. I fascisti democratici in America hanno perfezionato fino a livelli finissimi l’arte di disfarsi dei dissidenti. E poi l’hanno esportata da noi. Chi vuole vivere e respirare tranquillamente in Lituania, deve dire un ‘no’ chiaro e deciso al fascismo democratico. Ieri hanno preso me. Domani voi. Io non mi arrenderò mai. E voi? Firmato: Algirdas Paleckis, 27 maggio 2019, Vilnius, prigione Lukiškių”

Gli antecedenti della lettera aperta di Paleckis sono più o meno questi: il 19 dicembre 2018 il governo di Vilnius annunciò la neutralizzazione di una “rete di spie russe”. Furono arrestati un cittadino russo, lo storico e attivista politico Valerij Ivanov (rilasciato dopo due giorni, ma poi condannato il 27 marzo scorso a quattro anni di galera), il politico Algirdas Paleckis e altre 5 o 6 persone, i cui nomi non furono resi noti. In quel momento, Paleckis era detenuto già da circa due mesi, anche se il suo arresto fu comunicato solo il 19 dicembre.

Fu detto che si era ricorsi a “un arresto segreto”, per smascherare l’intera “rete di spionaggio”. Paleckis è accusato di aver raccolto informazioni su giudici, pubblici ministeri e tutti i funzionari impegnati nel caso degli avvenimenti del 13 gennaio 1991. Dicono che, su ordine dei Servizi speciali russi, avrebbe raccolto informazioni su tutte quelle persone, con l’obiettivo di avviare poi procedimenti penali contro di loro in Russia e chiedere successivamente l’intervento dell’Interpol.

In Lituania, gli avvenimenti del 13 gennaio 1991 alla torre della televisione a Vilnius sono ufficialmente interpretati come “aggressione contro la Lituania indipendente” e si sostiene che tutte le vittime siano cadute per mano dei paracadutisti della guarnigione di Pskov, inviati a fronteggiare le azioni del “Sajudis” separatista.

Qualunque tentativo di far luce sul caso – ad esempio, perché alcune delle vittime presentassero ferite da proiettili esplosi da carabine “Mosin”, in dotazione all’esercito russo nella Prima guerra mondiale, con cui i paracadutisti non avrebbero potuto essere armati – sono perseguiti come “negazione dell’aggressione sovietica”, accusa che prevede la galera. Nel 2011, lo stesso Paleckis era già stato incriminato per la frase “i nostri hanno sparato sui nostri”, a proposito degli scontri di 20 anni prima.

Per quei fatti, ricorda l’agenzia iarex.ru, da cinque anni è trattenuto in isolamento un cittadino russo, il colonnello della riserva Jurij Mel. Arrestato nel marzo 2014 alla frontiera Lituania, mentre stava rientrando in Russia, il 27 marzo 2019 Mel è stato condannato a sette anni di prigione, accusato addirittura di “crimini di guerra” e “crimini contro l’umanità”, per aver preso parte, come capocarro (allora tenente ventiduenne) agli scontri nei pressi della torre televisiva, esplodendo tre colpi a salve; quattro anni sono stati inflitti a Valerij Ivanov.

Condannati in contumacia altri 69 sospettati, tutti cittadini di Bielorussia, Ucraina e Russia; tra essi, l’ex ufficiale del KGB Mikhail Golovatov (12 anni), il novantacinquenne ex Ministro della difesa dell’URSS Dmitrij Jazov (10 anni) e l’ex Comandante della guarnigione di Vilnius, Vladimir Uskhopčik (14 anni). La Procura lituana è ricorsa in appello, giudicando la sentenza “eccessivamente mite”.

Il politologo Alexandr Nosovic afferma su Balticnews.lt che quello di Mel rappresenta un chiaro esempio di persecuzione politica, dato che le stesse autorità lituane ammettono che nessuno fosse rimasto ferito in seguito alle sue azioni, “ma riversano su di lui la responsabilità collettiva per i morti” del 1991.

Nel febbraio scorso anche al Parlamento europeo si erano svolte alcune sedute sulla questione delle persecuzioni politiche nei Paesi baltici: a quanto pare, senza che si arrivasse a particolari conclusioni. Molto più “funzionale” agire in altra direzione: ad esempio, col perpetuare ininterrottamente manovre militari, come le “Iron Wolf 2019”, iniziate ieri al poligono di Pabradė, alla frontiera con la Bielorussia, e a quello di Gaižiūnai, a nordovest di Vilnius, con militari da Belgio, Gran Bretagna, Germania, Danimarca, Paesi Bassi, Norvegia, Polonia, Stati Uniti, Estonia, Repubblica Ceca.

Molto più adatto alla funzione assegnata ai Paesi baltici nella contrapposizione alla Russia, perché la Lituania, potrebbe recitare oggi Marco Antonio, “è terra d’onore”, per UE e NATO; è terra di “fascismo democratico”.

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