Si è concluso poco fa il summit Trump Xi Jinping al G20 di Osaka.
Trump ha definito i colloqui “eccellenti” e “aprono la strada ad uno storico accordo commerciale”. L’agenzia Xinhua, alle 6, dettava la notizia che riprenderanno i negoziati commerciali.
Xi aveva posto come condizione dell’accordo e del prosieguo dei negoziati la fine del bando alle società tecnologiche cinesi e la conferma del quantum di import cinese di prodotti americani deciso a dicembre, vale a dire 1.300 miliardi di dollari.
Ma il vertice era stato preceduto dalle dichiarazioni di Xi al G20 di ieri, in cui affermava davanti agli astanti che la Cina apriva i mercati agricoli, minerari, manifatturieri e dei servizi, compresi quelli finanziari.
Inoltre, di propria spontanea iniziativa, al fine di rianimare il commercio mondiale, aumentava l’ammontare di import dal resto del mondo abbattendo i dazi.
Circa i servizi finanziari, nei prossimi anni la battaglia sarà tra New York e Londra per accaparrarsi il risparmio cinese, che ammonta ora a 42 mila miliardi e che continua ad aumentare, avendo la Cina un tasso di risparmio pari al 50% del pil.
Probabile che New York verrà scelta come hub di equity mondiale e come passaporto per entrare nel mercato americano, ma il profilo globale cinese è più a favore della piazza londinese, visto che essa raccoglie capitali e li smista in investimenti in tutto il mondo. Sarebbe il braccio finanziario della Via della Seta.
Qualora si pervenisse ad un parziale accordo tra Usa e Cina, con quest’ultima che importa beni americani, la catena del valore muterebbe e potrebbe avvantaggiarsene anche il nostro Paese.
Già ora la fornitura italiana si sta spostando dalla Germania agli Usa. Lo si nota dai dati del commercio tra Usa e Italia dell’ultimo anno, in cui farmaceutica e meccanica italiana hanno conquistato grosse fette di mercato.
Ora si apre un nuovo fronte. La seconda settimana di luglio vi sarà un summit Italia-Cina a Pechino, dove verranno siglati vari accordi. Il più dirompente è quello tra la Sace, società pubblica di assicurazione sui crediti alle esportazioni, con la Eximimport Bank cinese, colosso finanziario guidato dal governo di Pechino.
L’accordo prevede canali finanziari bidirezionali per favorire le società italiane di fornitura nei confronti dei colossi industriali cinesi. Per fare un esempio, agli inizi di giugno il colosso petrolifero pubblico cinese Sinopec ha incontrato a Milano 70 aziende del settore gas ed oil per siglare accordi di fornitura. Qualora si pervenisse a quello che Trump definisce un “accordo commerciale storico”, la geografia della fornitura italiana – della catena del valore, per intenderci – muterebbe dopo 60 anni e ciò avrebbe significative ricadute di strategie diplomatiche ed economiche.
Insomma, nel ping pong sino-statunitense l’Italia potrebbe forse trarre qualche vantaggio.
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