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Algeria, la nuova fase dell’Hirak

Il 28esimo venerdì dell’Hirak segna un giro di boa importante, per un movimento iniziato il 22 febbraio e ora entrato la settimana scorsa nel suo settimo mese di vita.

Nonostante alcuni passaggi che si annunciavano delicati e che potevano depotenziare la mobilitazione popolare, il movimento ha attraversato le vacanze estive degli studenti – le cui mobilitazioni del martedì hanno ritmato l’Hirak anche durante questa stagione – la festa del Ramadan, con il relativo digiuno diurno, ed un caldo particolarmente intenso che ha colpito anche la sponda Sud del Mediterraneo.

La festa dell’Indipendenza il 5 luglio, che quest’anno ha assunto un significato particolare perché cadeva di venerdì, e la vittoria della Coppa d’Africa calcistica il 19 luglio – sempre di venerdì – che ha assunto le caratteristiche di un episodio di riscatto popolare, hanno contribuito a non far scemare la mobilitazione.

Ad una settimana dal “rientro”, quindi, nonostante la partecipazione – ma non la diffusione territoriale, rimasta immutata – degli algerini all’Hirak non abbia raggiunto in questa stagione il carattere oceanico avuto in primavera, il movimento non è rientrato ed anzi si sono moltiplicate questa settimana le iniziative di lotta diffuse in molte città di diverse regioni (tra cui spiccano i blocchi stradali),  su una ampia gamma di questioni legate alla condizione sociale specifica, per l’impoverimento crescente di una parte importante della popolazione.

Ci sono stati blocchi stradali in diverse parti dell’Algeria contro i tagli all’acqua corrente e per la richiesta di impiego e di alloggi, che indicano come il “termometro sociale” – non solo quello climatico – non sia affatto sceso. Richieste che costituiscono il combustibile per la fase successiva, in una situazione politica senz’altro in evoluzione per ciò che concerne i ranghi dell’opposizione, ma che rimane del tutto bloccata dalla rigidità delle alte cariche dell’esercito.

Dopo il rinvio sine die delle elezioni presidenziali, successivo ad un fallimentare doppio rinvio preceduto dalle dimissioni dell’ex presidente ottuagenario, oltre al processo per “amputazione successiva” di parti del vecchio establishment attraverso inchieste giudiziarie, che hanno preso la forma anche del “regolamento dei conti” tra il capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Gaïd Salah, e “tutti gli uomini del presidente”, non si sono avuti riscontri tangibili di risultati acquisiti.

Per certi versi le istituzione “transitorie” quali il governo provvisorio di Bedoui e la presidenza ad interim di Bensalah, sembrano essersi eternizzate, e l’unico elemento di novità è stata la nomina di un “pannello” di personalità – che ha già conosciuto importanti defezioni – incaricato di interloquire (come ha in realtà ha fatto) con un ampio spettro di realtà della società civile, per intavolare un dialogo che prepari le condizioni per lo svolgimento delle elezioni presidenziali.

Ma si tratta di uno sforzo che ha non ha ricevuto, tranne rare eccezioni, feed-back positivi ed ha presto rinunciato ad alcune pre-condizioni per potere operare, di fatto ricavando la sua legittimità più dalla funzione che gli stanno dando le istituzioni, che dall’opposizione politica e dalla piazza, molto dubbiosa su questo tipo di operazione.

Una altre importante acquisizione del movimento è stata senz’altro la capacità di disinnescare i tentativi di divisione attuati costantemente dal sistema di potere – attraverso la criminalizzazione della componente che rivendica il proprio carattere Amagith e la detenzione di veri e propri prigionieri d’opinione e politici – miranti ad identificare una sorta di “Quinta Colonna” al soldo di potenze straniere che tramano contro il Paese; ma l’atteggiamento berferofobo delle alte cariche dell’establishment e la prassi repressiva non è mutata, anzi…

Di questa logica “complottista” ha fatto le spese anche l’opposizione politica – o almeno una parte – che oltre al fiele delle parole del Generale, che interviene costantemente criminalizzando chi cerca di tradurre in proposte concrete la richiesta di “rottura” con il sistema precedente della piazza, ha subito e subisce detenzioni piuttosto dure, come è il caso della leader del maggiore partito di opposizione, nonché deputata e più volte candidata presidenziale, Louisa Hannoune.

In questo ultimo caso, insieme al soffocante inquadramento poliziesco delle mobilitazioni, alla censura mediatica, al discredito delle alte cariche dell’esercito e alla repressione vera e propria, si è unito il divieto “amministrativo” a tenere riunioni pubbliche, attraverso la mancata concessione degli spazi alle forze comprese in quell’arco politico che propende per una alternativa democratica ed un processo di transizione che non perpetui l’attuale sistema di potere.

La wilaya di Algeri ha vietato un incontro previsto per il 31 agosto delle Forze di Alternativa Democratica, che raduna differenti organizzazioni dell’opposizione (FFS, RCD, PT, PST, PLD, UCP, MDS e il LADDH), mentre a Béjaïa è stato impedito al RAJ (Rassemblement Actions Jeneusse) di tenere la sua “università estiva”, prevista dal 28 al 30 agosto.

Al di là del clima di dialogo “sereno ed inclusivo” proposto dall’establishment, la realtà sembra essere quella di un irrigidimento che esclude qualsiasi pre-condizione per la messa in piedi reale di un confronto, in un primo tempo fatta propria anche dalle personalità incaricate di iniziarne l’articolazione, cioè il “Pannello” coordinato da Karim Younès: ossia dimissioni del governo Bedoui, rilascio dei detenuti politici e d’opinione, indipendenza della magistratura, apertura degli spazi mediatici e “addolcimento” del dispositivo poliziesco durante le mobilitazioni.

Il potere non solo ha risposto “picche”, denigrando le richieste in maniera abbastanza virulenta, ma sembra voler togliere spazio a tutti quelli che non condividono la sua road map ed una strategia d’uscita basata solo sull’elezione presidenziale nel più breve tempo possibile.

In qusto contesto è emerso un dato inquietante.

La Cosyfop – Confederazione Sindacale delle Forze Produttive – ha denunciato il licenziamento di 700 lavoratori per il proprio impegno nella rivolta popolare e le misure tese ad intimidire i lavoratori che hanno scioperato in primavera durante tre differenti astensioni dal lavoro.

Un aspetto fino ad ora poco conosciuto e che può pesare come una scure nella ricostruzione di un movimento operaio che ha dimostrato una certa vitalità, sia contestando la vecchia dirigenza della UGTA collusa con Bouteflika, sia predisponendo iniziative di lotta, che tra l’altro dovrebbero concretizzarsi in una precisa agenda di mobilitazione anche per i mesi a venire.

All’inizio di questa settimana, è arrivato un segnale di possibile convergenza tra i due principali campi dell’opposizione politica organizzata, aprendo la possibilità ad una “terza via” rispetto a quelle fino ad ora prospettate – che comunque avevano come comun determinatore le pre-condizioni derivanti dalle richieste popolari per l’apertura di un dialogo con le istituzioni – facendo intravedere la possibilità di coniugare la tenuta delle elezioni presidenziali (promossa dalle Forze del Cambiamento, componente trainante del Forum del Dialogo Nazionale organizzato il 6 Luglio) e il processo di transizione democratica,  avviando comunque un dialogo tra le differenti componenti.

Il Forum della Società Civile si è incontrato il 24 agosto, ed ha visto come osservatori il “Patto dell’Alternativa Democratica”. L’appuntamento era promosso tra gli altri dalle Forze del Cambiamento di Benflis, avviando di fatto un dialogo, ma gli osservatori non hanno partecipato alla seconda fase della riunione, con la creazione di commissioni per l’avanzamento sul tracciato della società civile, spiegando che si sarebbe stata una conferenza questo sabato, poi vietata, basata sullo sviluppo della piattaforma del patto per l’Alternativa Democratica.

Oltre a questo, nella stessa settimana – il 22 agosto – è stato pubblicato un lungo documento in forma di bozza per una carta per un’“Algeria libera e democratica”, firmata da un centinaio di scrittori, militanti e sindacalisti. Auspica una discussione organica con un “minimum repubblicano”, che includa alcuni valori fondamentali dello Stato di Diritto, e una transizione della durata non, inferiore a sei mesi in cui personalità “super partes” conosciute per il loro impegno nel movimento popolare si facciano carico di questo processo. Non per candidarsi a governare il Paese, ma per facilitarne la transizione dallo stato attuale che escluda dalla scena politica l’FLN e la dirigenza dell’UGTA, scartandoli dal processo.

È un fiorire di proposte, frutto del risveglio politico di una “società civile” momentaneamente congelata, ma non sterilizzata, e di un dibattito politico che si svolge ad ogni livello della società, ma che non trova una sua rappresentazione nei media di Stato, né un canale d’espressione nei corpi intermedi in disfacimento, quelli che avevano sostenuto Bouteflika e ora si aggrappano a Salah, loro unica àncora di salvezza.

Nacer Djabi, un acuto sociologo algerino, in una interessante intervista al giornale di lingua francese “Al Watan” ipotizza che: “il movimento popolare potrebbe radicalizzarsi al rientro” – pur credendo comunque nel proseguimento del suo carattere pacifico – e pensa che “gli algerini dovranno cambiare marcia nel loro momento di protesta per imporre un rapporto di forza necessario al cambiamento voluto”.

Questa è la sfida per la nuova fase che si apre…

Continuità della mobilitazione, rigidità del sistema che teme la transizione, scarsa attrattività della “commissione di dialogo e di mediazione” di K.Younès, e prefigurazione degli scenari di uscita dalla crisi; sono gli elementi che sembrano caratterizzare l’apertura di questa nuova fase dell’ Hirak.

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