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Russia 1993-2019: le privatizzazioni, prima di tutto

Oggi, 4 ottobre, è il ventiseiesimo anniversario del cannoneggiamento del Parlamento della Federazione Russa coi carri armati e mezzi blindati delle divisioni “Kantemirovskaja” e “Tamanskaja”, mandati da Boris Eltsin. Il giorno precedente, la domenica del 3 ottobre, c’era stata la grossa manifestazione organizzata dalle forze comuniste, caricata duramente già nel pomeriggio sui viali dell’Anello dei Giardini e poi, alla sera, gli scontri alla torre della televisione, che fecero i primi morti. Il lunedì, quando i difensori del Parlamento furono costretti alla resa, molti di essi furono condotti verso il retrostante piccolo campo sportivo, ai cancelli del quale ancor oggi si possono vedere i mazzi di fiori e le fotografie che i parenti dei fucilati rinnovano ogni giorno.

Le giornate del 3 e 4 ottobre segnarono la fase culminante della controrivoluzione violenta, le cui premesse erano state (senza risalire troppo addietro: XX Congresso, riforme Liberman-Kosygin, ecc.) teorizzate dall’eminenza grigia della perestrojka gorbacioviana, quel Aleksandr Jakovlev che avrebbe poi candidamente detto di come si dovesse usare “l’autorità di Lenin per colpire Stalin” e poi quella di Plekhanov “per colpire Lenin”, ecc.

E così si è arrivati all’ottobre 2019, passando per tutte delizie e le rapine dell’epoca dei Gajdar, Čubajs, Černomyrdin e compagnia.

Oggi, scriveva pochi giorni fa Sovetskaja Rossija, riportando i dati di un’indagine del Centro Levada, i russi hanno un’altra percezione della povertà rispetto a quella del governo. Secondo quest’ultimo, la “soglia di povertà” è di qualche gradino più elevata rispetto al minimo di sopravvivenza, stabilito ufficialmente a 11.200 rubli. In base alle risposte ottenute dal Centro Levada, i russi considerano povera una famiglia in cui il reddito medio di uno dei membri sia di 12.500 rubli e il 40% degli intervistati ha dichiarato di disporre di un reddito inferiore a questa “soglia soggettiva”.

Secondo l’opinione generale, un livello dignitoso di vita è possibile solo disponendo di un reddito individuale intorno ai 38.000 rubli – media per la Russia; perché a Mosca, ad esempio, si parla di 52-60mila rubli, contro i 31-35mila di un centro di provincia – e 150.000 rubli per una famiglia media, che invece dispone di 67.000, ossia 17.000 a persona. Secondo l’indagine, solo il 7% degli intervistati ha dichiarato di disporre di un reddito “normale”, cioè pari o superiore ai 38.000 rubli.

Come che sia, dati ufficiali o meno, il numero di persone – citato da tutti, governo e opposizioni – considerate “oltre la soglia della povertà”, è di almeno 21 milioni. Vale a dire, tra 1/7 e 1/6 della popolazione russa dispone oggi di un reddito ufficiale inferiore ai 10.000 rubli, cioè meno di 150 euro al mese.

Jurij Afonin, uno dei vice Presidenti del PCFR, ricorda che appena due anni fa il russo medio considerava “normale” un reddito di 40.000 rubli: evidente, dice, che “le pretese dei russi sono calate. Cosa significa? Le persone, schiacciate dalla crescente povertà, stanno riducendo le proprie esigenze, che già così sono irrisorie: a prezzi correnti, con 40mila rubli di reddito e l’inflazione, gli aumenti di affitti e tariffe, la vita è molto modesta”. Il Rosstat (Comitato per le statistiche) calcola “il reddito pro-capite medio a oltre 34mila rubli” dice ancora Afonin; “ma secondo l’indagine Levada risulta essere di 16,8mila. Ciò non significa che Rosstat stia mentendo. Forse non sta mentendo. Ma il suo reddito “pro-capite” è ottenuto dalla media dei redditi di capitalisti, dirigenti, funzionari e comuni lavoratori”. Nulla di nuovo.

Per un confronto da “chiacchiere di cucina”, non importa guardare i “redditi” dei miliardari a capo di imperi privati: per questi, è sufficiente dare un’occhiata alla classifica di Forbes, con cifre a nove zeri. Anche “normali” deputati di assemblee elettive locali – grosso modo: i nostri assessori o consiglieri regionali – non se la passano poi tanto male. Ed è difficile immaginare che i loro introiti vengano dai “gettoni di presenza”: a mo’ di esempio, prendiamo, ancora da Forbes, la sommaria biografia del primo della lista, tale Pvel Antov, deputato dell’Assemblea legislativa regionale di Vladimir per il partito presidenziale “Russia Unita”, che presiede la Commissione politiche agricole, gestione ambientale e ecologia; un patrimonio di circa 10.000 milioni di rubli; laureato all’accademia militare di medicina di Leningrado, nel 2000 ha messo in piedi un’industria salumiera con un ricavo nel 2017 pari a 7,2 miliardi di rubli e un profitto netto di 570 milioni; è intestatario di appena 3 immobili.

Nulla, rispetto al terzo della classifica, Sergej Gusev, deputato della Duma regionale di Belgorod, che denuncia un patrimonio di “soli” 2.840 milioni di rubli, ma in compenso possiede 35 immobili; superfluo dire che anche Gusev ha la tessera di “Russia Unita”. Il buon Sergej era in origine ingegnere-capo dell’impresa dolciaria “Slavjanka”, a Staryj Oskol; nazionalizzata nel 1929, “Slavjanka” è oggi una holding che controlla una decina di imprese, con un ricavo complessivo nel 2017 di oltre dieci miliardi di rubli. Gusev ne divenne direttore nel 1994, nel periodo delle privatizzazioni; quelle privatizzazioni che trasformarono “uno dei paesi più industrializzati al mondo in un importatore di merci a basso valore e fornitore di materie prime” per l’esportazione”.

Quelle privatizzazioni che non si sono ancora arrestate. Secondo “ROTFront”, il governo sta mettendo ora a punto “il piano di privatizzazioni 2020-2022 che prevede, in particolare, l’ulteriore riduzione (avviata già negli anni scorsi) della partecipazione statale in società quali “RusGidro”, “Sovkomflot”, “Transneft”, “Rostelecom”, “Rossijskie seti”, “Obedinennaja zernovaja kompanija”, per un introito complessivo nelle casse statali di circa 20 miliardi di rubli”.

Secondo varie stime, dall’inizio delle privatizzazioni, oltre “70.000 imprese industriali sono passate in mano privata” e, contrariamente a quanto si crede generalmente, il “picco delle privatizzazioni non è stato negli anni ’90, ma dopo il 2000 e, in particolare, nel 2005. Dopo, il volume è andato diminuendo, ma i ricavi dalla vendita di proprietà statali sono costantemente presenti nel bilancio del paese”. Di fatto, esse non si sono mai fermate, sia che riguardassero la cessione di quote azionarie, sia che tendessero a smantellare completamente le singole imprese.

Tra le imprese totalmente privatizzate, per il settimo anno consecutivo la “Lukojl” (gas e petrolio, quella della famosa lettera dell’ambasciatore russo in Italia Sergej Razov al “Caro Matteo”), è in testa alla classifica di Forbes delle maggiori compagnie private russe, con un ricavo nel 2018 di 8.036 miliardi di rubli, e guida un battaglione di altre imprese, per la maggior parte nei settori energetico, metallurgico, minerario, commerciale. Secondo Forbes, nell’ultimo anno il ricavo complessivo delle prime 200 imprese private è cresciuto del 22%, per 43,7 trilioni di rubli.

Tra le prime dieci, l’ultima, “Megapolis”, vanta “solo” 706 miliardi; la nona, “Nornikel” (metalli non ferrosi; 733 miliardi) era stata uno dei giganti dell’industrializzazione degli anni ’30; sarebbe interessante sapere, nota su Forum.msk Dmitrij Čërnyj, che si firma “cittadino dell’URSS”, cosa ne pensino tutti coloro che “incensano Putin per la rinascita dello statalismo russo”. Dicono che “l’industria è cresciuta ottimamente con Putin? Ma è solo quella privata, signori miei, l’industria privata, che a noi, ai compagni, non ai signori, è stata rubata, col programma statale di privatizzazioni (e questo non è il “Piano Dulles”: è la realtà!) durante tutte le ondate di privatizzazione, che ci fosse Eltsin, Putin, Medvedev e ancora Putin… Trentacinquemila, come minimo, le fabbriche spazzate via solo dal 2005 al 2012”.

E sempre da Forbes, apprendiamo che 20 proprietari fondiari controllano in Russia quasi 8 milioni di ettari di terreno (grosso modo: la Rep. Ceca), per 471,6 miliardi di rubli. Prima in classifica, “Agrokompleks”, di proprietà dell’ex Ministro dell’agricoltura Alexandr Tkačev, con 649.000 ha, per un valore di 68,5 miliardi di rubli (1 miliardo di dollari). Ma la maggiore estensione (1 milione di ha, anche se il valore è di “soli” 45 miliardi di rubli) è quella della “Miratorg”, dei fratelli Linnikov: si dice, malignamente, imparentati con la moglie del Primo ministro Dmitrij Medvedev, Svetlana Linnik.

Anche su questo, fanno leva i liberali russi per riempire le strade di Mosca nelle manifestazioni care ai media di casa nostra: la collusione danarosa tra business e potere (locale o centrale). Su questo, alzano le voci per chiedere che lo stato abbandoni sempre più le proprie posizioni e lasci tutto ai privati.

Vari raduni e manifestazioni, in occasione dell’anniversario del “ottobre nero” del 1993, si sono tenute ieri, indette da alcune organizzazioni comuniste, in diverse delle maggiori città russe, Mosca compresa. Oggi se ne svolgeranno altre, organizzate da altri partiti della sinistra e comunisti. Non ci sono stati, ieri, e non ci saranno nemmeno oggi, i liberali, nelle strade di Mosca. Loro, nel 1993, erano alle spalle dei carri armati e indicavano chi colpire.

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