Santiago del Cile in stato d’emergenza. Il popolo cileno è di nuovo sotto l’assedio dei militari e delle loro armi. La ragione? L’esplosione generalizzata delle proteste sociali contro l’aumento del costo della vita e del valore del trasporto pubblico, imposto dal governo della destra di Sebastian Piñera.
Il Cile, paese del cartello di Lima che sarà sede del prossimo summit dell’APEC, il paese laboratorio del modello di crescita neoliberale, con in maggiori indici di disegualianza fra ricchi e poveri del continente americano, da lunedì vive una crisi politica e sociale senza precedenti.
Nei giorni scorsi migliaia di studenti cileni sono scesi in piazza per protestare contro il “tarifazo”, l’aumento del prezzo del trasporto pubblico imposto dal governo, che porta il valore del biglietto della metro a più di un dollaro e trenta a viaggio.
Ma questo venerdi 18 di ottobre, la protesta è divampata e altri settori sociali si sono uniti agli studenti. I manifestanti si sono recati in massa ad occupare le oltre 100 stazioni della rete metropolitana della capitale. Hanno bloccato le entrate e le uscite e costretto tutti i passeggeri a salire sulla metro senza biglietto: la cosiddetta “Evasione di Massa”, che ha avuto un enorme successo
La prima risposta del governo filoyankee è stata la condanna di questi atti vandalici e la mobilitazione del 90% degli agenti di polizia verso la rete sotterranea, con lo scopo di tenere la situazione sotto controllo. Questo ha esacerbato le proteste dei manifestanti che dinanzi ad una dura repressione, hanno deciso di occupare tutte le stazione e i binari delle 7 linee della rete metropolitana, che ogni giorno muove più di tre milioni di persone. La società che gestisce le linee ha dunque preso la decisione di chiudere le stazioni e sospendere totalmente i servizi in maniera indefinita.
La reazione dei manifestanti, che hanno agito in maniera spontanea, senza aver dietro alcuna organizzazione e orientamiento politico, è stata quella di uscire dalle stazione e portare la protesta per le strade, scontrandosi con la polizia, ormai soggiogata dalla folla.
Alle 18:30, ore locali, il presidente Piñera, che prima aveva minacciato i manifestanti con l’applicazione della legge pinochettista di Sicureza dello Stato, ha decretato lo Stato di Eccezione, per permettere alle forze armate di riprendere il controllo della Regione Metropolitana.
Mai nessun governante, dalla fine della dittatura militare di Pinochet, aveva decretato una misura del genere con lo scopo di porre fine alle proteste sociali. In seguito a ciò ci sono stati intensi scontri, i manifestanti hanno dato fuoco a più di venti autobus, quattro stazioni metro e all’edificio che ospita la sede aziendale di ENEL Cile, la società che gestisce l’energia elettrica nel Paese.
Il copione qui descritto è assai conosciuto dai popoli che hanno dovuto vivere sottomessi alla dittatura del capitale nella sua versione neoliberistica.
Gli argentini, peruviani, boliviani e venezuelani prima della vittoria dei governi progressisti, hanno già passato tutto questo.
La spiegazione è molto semplice. Il neoliberismo nella fase attuale, compiuto il suo primo ciclo di crescita espansiva, ha bisogno di sfruttare sempre di più e sempre più persone. La sua stessa esistenza dipende dalla capacità di depauperare e sfruttare i popoli del proprio reddito, delle proprie ricchezze, delle proprie risorse.
Non è più possibile abbassare i salari, aumentare sistematicamente il costo della vita, mercificare i diritti sociali pià basilari come istruzione, salute e pensioni, senza restringere la libertà, indebolire la democrazia liberale, controllare i mezzi di comunicazione e reprimere in maniera sempre più feroce. Il liberalismo abbandona la sua forma democratica e avanza verso il fascismo.
E così, a meno di una settimana dal successo delle mobilitazioni di popolo di Quito, in Ecuador, contro le misure di austerità del paquetazo e il decreto dello stato di eccezione di Lenin Moreno, vediamo andare in scena in Cile la stessa situazione che per l’arroganza del governo, la storica tradizione fascista dei militari, lo spontaneismo dei manifestanti e la mancanza di conduzione politica della mobilitazione, lasciano intravedere un panorama non roseo per il popolo santiaguino.
Le manifestazioni di oggi sono continuate nonostante la presenza in strada dei militari e addiritura si sono diffuse per tutto il territorio nazionale. Diversi settori sociali, lavoratori, cittadini si sono uniti sotto la bandiera di uno Sciopero Nazionale. Persone comuni sono scese nelle principali piazze del Paese per manifestare la solidarità ai loro compagni di Santiago, per chiedere il congelamento dell’aumento del valore del passaggio, la fine dello stato di eccezione e il ritiro dei militari delle strade.
Dall’altro lato il governo ha fatto un appello al dialogo nazionale con i settori politici dell’opposizione, che è stato rifiutato da tutti i partiti. Adesso le stazioni sono sotto il controllo dei militari e i mezzi di comunicazione tentano di colpevolizzare i manifestanti dei danni arrecati.
Comunque finirà questa mobilitazione, il segnale inviato alle oligarchie nazionali è stato molto chiaro. Nei paesi ieri sottomessi ai dettami del grande capitale, oggi e domani non saranno applicate misure alcune antipopolari senza una risposta inmediata ed anche violenta dei settori popolari. La forza di un popolo si manifesta in tutte le maniere possibili e non acetterà nessuna sconfitta senza lottare fino alla fine.
* da L’Antidiplomatico
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