Suha Jarrar ci racconta al telefono da Ramallah il quarto arresto subito, nella notte tra mercoledì e giovedì, dalla madre Khalida Jarrar, deputata palestinese, storica attivista dei diritti delle donne e tra i dirigenti del Fronte popolare per la liberazione della Palestina, il Fplp, la sinistra marxista. «È stato come rivedere un brutto film» ci dice. «Eravamo in casa solo mia madre ed io. Intorno alle 3 siamo state svegliate da forti rumori proprio sotto la nostra abitazione. Abbiamo visto una dozzina di jeep piene di soldati israeliani, mamma ha capito subito che venivano per lei». I militari guidati da un ufficiale, prosegue Suha Jarrar, «ci hanno intimato di aprire la porta. Appena entrato l’ufficiale con un sorriso beffardo si è rivolto a mia madre con le parole “eccoci di nuovo qui” e le ha ordinato di seguirlo. Ho chiesto di poter vedere il mandato di arresto ma i soldati non mi hanno mostrato nulla. Poi mi hanno allontanato da mia madre e ho potuto abbracciarla e salutarla solo per pochi secondi».
Tutto è avvenuto a breve distanza dal centro di Ramallah e poche centinaia di metri dalla Muqata, il quartier generale dell’Autorità nazionale palestinese dove si trovano gli uffici del presidente Abu Mazen. Ma dalla presidenza ieri non sono giunti comunicati di protesta. Ad alzare la voce è stata un’altra importante donna palestinese, Hanan Ashrawi, del Comitato esecutivo dell’Olp. «Nelle stesse ore in cui (Jarrar) veniva portata via, altri attivisti nelle città di Ramallah e Betlemme sono stati arrestati dalle forze di occupazione israeliane», ha denunciato. «Ancora una volta» ha continuato Ashrawi, «è stata arrestata Khalida Jarrar, che è anche un insigne difensore dei diritti umani».
La jeep con a bordo la deputata del Fplp si è diretta alla prigione di Ofer. Poi al centro di detenzione di Hasharon. «Lì ora viene interrogata ed è probabile che ci resterà per giorni» ci spiega Suha Jarrar «domenica sarà portata davanti ai giudici militari e con ogni probabilità sarà posta ancora una volta in detenzione amministrativa, che non prevede un processo e la presentazione di accuse formali. È una misura disumana e contro il diritto ma Israele la applica da decenni nel silenzio del mondo». Al momento sono centinaia i palestinesi rinchiusi in carcere per mesi su richiesta dello Shin Bet, il servizio israeliano per la sicurezza interna. La loro detenzione senza processo può essere rinnovata più volte. Ne fecero uso i britannici, durante il Mandato sulla Palestina. Israele ha poi inglobato la misura nel suo ordinamento. Viene usata contro i palestinesi sotto occupazione militare. I casi di israeliani posti agli arresti “amministrativi” si contano sulle dita di una mano.
Khalida Jarrar, 57 anni, era stata rilasciata lo scorso febbraio dopo 20 mesi di detenzione amministrativa. Un calvario denunciano la famiglia e il Fplp. Capo della Commissione parlamentare per i prigionieri politici e vice presidente dell’associazione Addameer che tutela i diritti dei detenuti, aveva scontato 14 mesi di carcere già tra il 2015 e il 2016. In quell’occasione fu accusata di ben 12 reati ma, evidentemente, senza prove dato che i giudici militari alla fine decisero di condannarla alla detenzione amministrativa e di non processarla. I palestinesi parlarono di una «vendetta» poiché Jarrar aveva rifiutato il domicilio coatto a Gerico ordinato da Israele. E perché faceva parte della commissione che prepara rapporti sulle violazioni israeliane destinati alla Corte penale internazionale. Nei Territori Khalida Jarrar è un simbolo della lotta all’occupazione, per le autorità israeliane è un membro di una «organizzazione terroristica».
In solidarietà con Khalida Jarrar, Heba al Labadi, in sciopero della fame da 38 giorni, e le altre palestinesi detenute in Israele, ieri a Ramallah, Haifa, Gerusalemme, Giaffa, Betlemme, Nazareth, Rafah, Berlino e Londra, sono scese in strada attiviste e simpatizzanti dell’associazione “Tal’at”, che si batte per la liberazione dalla società patriarcale e dall’occupazione israeliana, protagonista il 26 settembre di una mobilitazione simile dopo l’omicidio (avvenuto in famiglia) di una giovane di Beit Sahour, Israa Gharib. «La liberazione di Khalida, Heba e di tutti i prigionieri politici è centrale per la nostra lotta», spiega al manifesto Ebaa R., di Gaza, presente con altre decine di attiviste al raduno a Finsbury, a Londra, «Tal3at ripete ovunque dove è presente che la liberazione delle nostro popolo viaggia di pari passo con quella delle sue donne».
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Gianni Sartori
PALESTINESI E CURDI: DUE POPOLI, MEDESIMA REPRESSIONE
(ma qualcuno sembra non volerlo capire)
(Gianni Sartori)
Avevano protestato contro l’invasione turca del Rojava. Ora sono in isolamento e sotto inchiesta per “propaganda a favore di un’organizzazione terrorista”.
La decisione nei confronti di 57 prigionieri politici curdi è stata presa dalla Direzione di Sakran, centro di detenzione ad alta sicurezza situato nella provincia di Izmir (Turchia occidentale).
Condannati a undici giorni di isolamento, verranno anche indagati per apologia di terrorismo.
Sanzioni di cui si è venuti a conoscenza, il 31 ottobre, per le dichiarazioni di Fatma Cig.
La madre del prigioniero politico Huseyin Cig ha anche spiegato che i prigionieri vengono regolarmente sottoposti a sanzioni disciplinari del tutto arbitrarie. Una reazione delle autorità carcerarie per lo sciopero della fame (costato la vita a otto prigionieri) avviato in primavera per protestare contro l’isolamento a cui è sottoposto Abdullah Ocalan.
Nella stessa giornata, alle tre del mattino di giovedì 31 ottobre, a Ramallah le forze di occupazione israeliane sono entrate brutalmente nell’abitazione di una esponente palestinese, la femminista Khalida Jarrar. Almeno settanta soldati e 12 veicoli militari, quasi un’operazione di guerra.
La militante di sinistra era uscita di prigione appena otto mesi fa, dopo una carcerazione amministrativa (ossia senza specifiche accuse e senza processo) di 20 mesi. Del resto non era la prima volta. Nel 2017, a 13 mesi da una precedente liberazione, era stata ugualmente imprigionata di nuovo. E ancora nel 2015 era stata posta in detenzione amministrativa per 20 mesi.
La sua colpa? Aver sempre lottato per i diritti dei prigionieri palestinesi anche come vicepresidente e direttrice esecutiva dell’associazione Addameer.
Membro del Consiglio legislativo palestinese, eletta nell’aggregazione di sinistra Abu Ali Mustafa (legata al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina) Khalida Jarrar aveva presieduto il Comitato dei prigionieri del PLC.
Contribuendo inoltre a denunciare i crimini di guerra (in particolare: gli attacchi a Gaza, la confisca di terre palestinesi e la costruzione di colonie, gli arresti di massa e indiscriminati…) di cui si sarebbero reso responsabili alcuni esponenti politici israeliani. Inoltrando formale richiesta di portarli in giudizio davanti alla Corte penale internazionale.
Qualche considerazione. Amara ma necessaria. Brilla per particolare miopia (se non per autentica malafede) la posizione di alcuni nostrani ”campisti” (si dice così?) che continuano ad accusare i curdi (tutti indiscriminatamente: senza la capacità – o la volontà – di distinguere tra PDK e YPG) di aver “collaborato con l’imperialismo” (quello a stelle e strisce) “tradendo” la patria (quella con capitale Damasco, beninteso). Qualcuno, non tanto tempo fa, si augurava addirittura che per questo venissero adeguatamente puniti. Adesso forse sarà contento…
Ben diversamente, dicono, si sono comportati i palestinesi. Più realisti del re, fingono di ignorare che una sostanziale solidarietà nei confronti del popolo curdo da parte di molte organizzazioni palestinesi si è mantenuta inalterata nel tempo. Vedi le dichiarazioni di vari esponenti del FPLP durante lo sciopero della fame dei prigionieri curdi e contro l’invasione del Rojava. Ugualmente YPG e PKK hanno solidarizzato con le manifestazioni palestinesi, duramente represse, del venerdì al confine della Striscia di Gaza.
Due domande: cosa avrebbero dovuto fare i curdi mentre l’Isis massacrava, stuprava, rapiva… le donne e i bambini curdi yazidi? Allearsi acriticamente con Assad che cedendo ai ricatti turchi aveva scacciato Ocalan dalla Siria (dando così un contributo non indifferente alle difficoltà in cui ora versa il movimento di liberazione)?
O forse affidarsi a Putin che non aveva voluto accogliere come rifugiato il leader curdo – braccato dai servizi, non solo da quelli turchi – quando era atterrato all’aeroporto di Mosca?
Speculare la posizione di alcuni – tardivi – sostenitori dei diritti del popolo curdo che però sembrano vole ignorare sistematicamente quanto avviene settimanalmente ai confini della Striscia di Gaza o nelle galere israeliane.
Entrambi questi personaggi (filo curdi o filo palestinesi, ma in esclusiva) sembrano applicare le regola del “due pesi, due misure” (o anche, come sottolineava uno studioso catalano quella delle “indipendenze a geometria variabile”).
Pur tra mille difficoltà, incongruenze e talvolta contraddizioni – dovrebbe invece rimanere saldo un principio: “Con gli oppressi contro gli oppressori, sempre!”. Certo, talvolta è difficile orientarsi, ma è comunque necessario. Senza allinearsi con qualche regime (laico o teocratico che sia) che mentre magari sostiene – altrove – una lotta di liberazione, a casa propria reprime duramente. Vedi Israele, Turchia e Iran, per fare qualche esempio.
Gianni Sartori