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“It’s time!”: la posta in gioco delle elezioni in Gran Bretagna

Il 29 ottobre l’opzione di una “snap election” nel Regno Unito è divenuta realtà.

L’estensione dell’Articolo 50 al 31 gennaio confermata dall’Unione Europea, cioè lo slittamento della dead line per il divorzio tra Gran Bretagna e l’Unione e quindi l’allontanamento dell’ipotesi di una “no-deal Brexit”, cioè di una uscita del Regno Unito senza accordo, ha portato il leader laburista Jeremy Corbyn di fronte al suo “top team”, all’incontro del governo ombra del Labour, ad affermare di essere pronto per le elezioni anticipate, come ipotizzate da Boris Johnson.

Lanceremo la più ambiziosa e radicale campagna per una cambiamento reale che il nostro Paese abbai mai visto” ha dichiarato Corbyn.

In un discorso parlamentare che farà la storia del Paese, il leader del Labour ha detto di essere pronto alle elezioni:

C’è una alternativa all’austerity, c’è una alternativa alla diseguaglianza, c’è una alternativa agli amorevoli accordi con Donald Trump, c’è una alternativa di un governo che investe in tutte le parti del Paese, un governo che è determinato a porre fine alle ingiustizie nella nostra società, ed un governo che è determinato a dare ai nostri giovani un senso di speranza nella loro società piuttosto che prospettargli l’indebitamento e la mancanza di sicurezza di un impiego per il futuro. Che è tristemente tutto ciò che il governo Conservatore e la sua coalizione con i Liberal Democratici ha portato. Sono assolutamente pronto ad uscire e dare questo messaggio in qualsiasi elezione in ogni momento in cui sarà fissata”.

Il Labour e Momentum: una gioiosa macchina da guerra

La macchina elettorale del partito – a cui aderiscono mezzo milione di britannici – si è subito messa in moto per una campagna “porta a porta” a cui l’associazione Momentum darà il suo fondamentale contributo, come fece nelle elezioni politiche del 2017, grazie al quale venne sottratta la maggioranza parlamentare a Theresa May, costretta ad una alleanza con gli Unionisti dell’Ulster.

L’alternativa per Momentum – come ha comunicato in un breve messaggio video di raccolta fondi e di “reclutamento” di volontari già il 29 ottobre – è tra “la transizione socialista con Jeremy Corbyn o il disastro capitalistico con Boris Johnson”.

La risorsa fondamentale dalla quale attingere per queste elezioni è il “Potere Popolare” (People Power).

La mobilitazione dei volontari disposti a fare una “campagna di strada”, sui socials e per telefono, per strappare alcuni collegi “periferici” in bilico all’interno di un sistema elettorale caratterizzato dall’uninominale secco è l’arma segreta del Labour contro la pioggia di soldi che useranno i Conservatori in quella che si annuncia come una vera e propri battaglia.

Un piano minuziosamente articolato ma che necessità delle donazioni pari a 50.000 pounds in due giorni che permetta ad una formazione di “campaigners” su tutto il territorio britannico in grado di battere le strade per il successo laburista, è la premessa dell’articolato piano di Momentum fatto proprio dal partito.

Intanto, in 48 ore – come riporta il “The London Economic” – più di 80.000 cittadini tra i 18-34 anni si sono iscritti ai registri elettorali, come mostrano i dati governativi, in particolare coloro che hanno meno di 25 anni hanno raggiunto le 46.100 registrazioni.

Come scritto da “The Guardian” il 31 Ottobre, un terzo dei cittadini registrati – 316.264 in totale – ha meno di 25 anni; un elettorato “sedotto” dalle proposte radicali di Corbyn alle ultime elezioni del 2017, a cui mancano secondo Willie Sullivan – citato dal quotidiano britannico – 9,4 milioni di persone all’appello.

La data ultima per l’iscrizione nei registri elettorali è il 26 novembre, il Labour cerca di spingere in tal senso, perché uno dei settori cui vuole arrivare è proprio quello di coloro che non si sono qui sentiti rappresentati dalle varie opzioni in un quadro piuttosto fluttuante, come dimostrano le recenti elezioni europee, storicamente caratterizzate da un bipolarismo quasi perfetto andato sempre più scardinandosi.

Nel “Plan to win”, documento stilato da Momentum per la campagna elettorale in corso, è detto esplicitamente che alcuni seggi sono stati vinti o persi per meno di un migliaio di voti, e 11 tra questi per meno di un centinaio, quelli che vengono definiti “marginal seats”, come Chingford, Woodford Green, Mansfield e Southampton Itchen.

Qui è dove dobbiamo focalizzare la nostra potenza di fuoco”, dice il documento riferendosi ai marginal seats. E subito dopo:

Abbiamo calcolato che in 150 collegi marginali nel Paese, ci sono all’incirca 2 milioni di porte da battere nelle sei settimane del periodo elettorale. Il numero di porte che una persona può battere in un giorno dipende da vari fattori, ma stimiamo che in media un singolo può battere 50 porte al giorno. Questo significa abbiamo bisogno di oltre 5.000 persone impiegate 8 ore al giorno”.

I mesi scorsi sono stati spesi per organizzare l’infrastruttura in grado di dare vita una “organizzazione diffusa” (distributed organising) mutuata dalle esperienze di Bernie Sanders negli Stati Uniti.

Il Brexit Party e la possibile alleanza con i Tories

Insieme alla quantità di coloro che si iscriveranno alle liste elettorali, alla capacità di mobilitazione popolare del Labour contro le ingenti risorse economiche dei Tories – nel 2017 hanno speso sui social un milione e duecento mila pounds in “pubblicità negativa” contro Jeremy Corbyn  – un altro fattore decisivo sarà l’alleanza o meno dei Conservatori con il Brexit Party di Nigel Farage, uscito di fatto vincitore dalle recenti elezioni europee con il 31,6% delle preferenze contro il 9,1% dei Tories.

Questo tipo di apparentamento è stato fortemente caldeggiato da Donald Trump.

Farage ha posto a Boris Johnson, come condizione, di lasciar decadere l’ipotesi d’accordo faticosamente trovata con Bruxelles – definendola “semplicemente non è la Brexit” – e gli ha dato tempo per decidere fino al 14 novembre.

Da parte sua “BJ” ha per ora rifiutato l’ipotesi l’accordo e vuole capitalizzare i voti di coloro che si sono espressi per il “leave”.

In caso di mancato accordo tra il Brexit Party e i Tories, Farage si appresta a contendere i seggi sia ai conservatori che ai laburisti.

La strategia di Farage consiste in un divorzio che lasci libera la Gran Bretagna di stipulare accordi di libero-scambio secondo i principi del WTO – come nel caso canadese – senza perpetuare l’allineamento con i regolamenti europei, slegata da vincoli politici, dando all’UE tempo fino al 1 luglio per accettarlo.

Donald Trump non ha fatto proprio segreto della sua preferenza per uno sganciamento della Gran Bretagna dall’UE “senza accordo” e la stipula di un accordo di libero scambio con gli States…

La partita doppia delle elezioni britanniche

La posta in gioco delle elezioni è quindi doppia. Da un lato l’opzione secca tra il proseguimento delle politiche neo-liberiste fatte proprie – per prima in Europa – da Margareth Thatcher e di fatto sussunte dal “New Labour” di Tony Blair, oppure la rottura con queste e l’approvazione di un programma di riforme radicali che renderebbero comunque i provvedimenti laburisti “incompatibili” con la gabbia dell’Unione Europea, al di là della posizione che assumerà il partito nei confronti di Bruxelles in caso di vittoria, e quindi anche al di là della possibilità di indire un nuovo referendum sulla Brexit…

L’altra opzione secca è sulla collocazione geo-politica della gran Bretagna; se questa sarà ancora di più agganciata alla politica estera di Washington per come si è concretizzata durante l’amministrazione Trump – su una serie di dossier che vanno dall’America Latina alla questione palestinese, all’atteggiamento rispetto all’Iran alla guerra in Yemen (il Regno Unito è uno dei maggiori fornitori di armamenti all’Arabia Saudita) – oppure una rottura netta con questo orientamento, per promuovere un atteggiamento che colga maggiormente le opportunità di relazioni del mondo multipolare, in particolare rispetto alla Cina, che è già un partner economico rilevante della Gran Bretagna.

Per la coerenza con tutto il suo percorso politico “internazionalista”, favorevole alla Rivoluzione Bolivariana in America Latina e marcatamente filo-palestinese, nonché contrario alla guerra in Yemen, Jeremy Corbyn è visto con il fumo negli occhi non solo dalla Casa Bianca ma anche da tutta l’oligarchia europea.

The Guardian riporta, sabato 2 novembre, che secondo gli esperti “un governo guidato da Corbyn è visto come una minaccia molto più grande alla salute e alla qualità della vita del più ricco 1% della popolazione britannica che quella costituita dalla Brexit.”

All’upper class britannica spaventa l’idea dell’introduzione di una tassazione progressiva…

I “bad boss”, i “greedy banker” e gli altri ultra-ricchi presi di mira da Corbyn promettono addirittura di lasciare il Paese in caso di vittoria del Labour, spaventati da un programma che, oltre a varie forme di tassazione progressiva, promette di introdurre la giornata lavorativa di 4 giorni, per promuovere la coniugazione di riduzione di orario e piena occupazione; e poi di dare il 10% delle azioni delle grandi aziende agli impiegati, impedire ad ogni costo la privatizzazione del sistema sanitario nazionale (NHS), ri-nazionalizzare settori strategici come per esempio le ferrovie, avere una politica abitativa adeguata ai bisogni della popolazione, bandire il “fracking” petrolifero e avviare una seria transizione ecologica complessiva con lo sviluppo di una “green industrial revolution”, ecc.

Per concludere, le elezioni in Gran Bretagna hanno una posta in gioco elevatissima e vanno seguite con grande attenzione, perché possono portare potenzialmente ad una rottura con l’ordine neoliberale e filo-imperialista di cui il paese, dall’avvento della Lady di Ferro, si è fatto interprete, e possono portate al governo una forza politica – attraverso un processo di mobilitazione popolare elettorale – con un programma politico radicale, rompendo così quella “catena” in un uno dei suoi punti storicamente più solidi.

Per la “sinistra radicale” si potrebbe realizzare pienamente quel corso politico iniziato il 12 settembre del 2015, con la sorprendente elezione di un “outsider” come Corbyn a leader del Labour – la più longeva e ancora vitale espressione politica del movimento dei lavoratori in Europa – e seppellire definitivamente l’eredità del criminale di guerra Tony Blair, che ha ispirato la ex socialdemocrazia continentale.

In generale, come mostrano degli interessanti sondaggi citati in un articolo di James Meadway apparso su Jacobin (“by embracing its radical program labour can win”), la percezione sociale di ciò che sia il capitalismo ed il socialismo è radicalmente cambiata in UK, di fatto polverizzando l’egemonia dei valori neoliberali almeno rispetto alle nazionalizzazioni: “Sulle nazionalizzazioni il supporto è schiacciante: 83 per cento vuole l’acqua rinazionalizzata, il 77 per cento vuole che l’elettricità passi nuovamente in mano pubblica, 76 pensa lo stesso per le ferrovie”.

Che sia giunto il momento per un inversione di rotta anche nel Vecchio Continente? Senz’altro l’esito delle elezioni britanniche potrà fornire una risposta…

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1 Commento


  • ALBERTO GABRIELE

    Gioiosa macchina da guerra? Cerchiamo almeno di non portare sfiga !

    A parte questo, ottimo articolo

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