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Germania. Spd e “GroKo” strette tra Hartz IV e superlavoro

A distanza di poco più di un mese dalla sentenza con cui la Corte costituzionale di Karlsruhe aveva giudicato parzialmente incostituzionali alcune sanzioni, che riducono l’indennità di coloro che non accettano lavori “proposti” in base al sistema Hartz IV, il Congresso della SPD, svoltosi pochi giorni fa a Berlino, sembra aver sancito, almeno a parole, l’allontanamento del partito da quelle stesse sanzioni (o almeno da quelle più pesanti), orientandosi per un “Bürgergeld” agganciato a un “minimo di sopravvivenza”

Teoricamente, non è cosa da poco, dato che proprio la SPD, con il cancelliere Gerhard Schröder, aveva varato il Hartz IV nel 2005. Lo scorso 8 dicembre, Alina Leimbach riportava su Neues Deutschland le parole della ex Presidente del partito, Andrea Nahles, secondo cui “vogliamo lasciarci alle spalle Hartz IV” e mettere al suo posto un “bürgergeld”. Ma, si domandava la Leimbach, l’abbandono di Hartz IV sarà davvero qualcosa di più che pura retorica?

In effetti, già in sede di proposta della commissione di partito, era stato detto che le violazioni degli obblighi imposti da Hartz IV non dovrebbero rimanere senza conseguenze: dunque, le sanzioni dovrebbero continuare a esistere, anche se dovrebbe esser garantita una sorta di minimo di sussistenza. Un evidente compromesso, questo, volto per un verso a salvare la Grosse Koalition con CDU e CSU, sostenitrici delle sanzioni; per un altro verso, opposto, a cercare di arginare la sempre più forte emorragia di voti (confermata anche alle ultime elezioni in Turingia dello scorso ottobre) a vantaggio, da un lato di Die Linke e, dall’altro di AfD: in entrambi i casi, proprio per le questioni sociali.

E ora, stanno di fronte le elezioni ad Amburgo, a febbraio, e poi a Brema, a maggio, due grossi centri industriali che potrebbero rivelarsi fatali per la SPD. Ad Amburgo, ad esempio, se nel 2015 i socialdemocratici avevano avuto facile gioco (45,6%) sui Grüne (12,3%), ora i sondaggi danno i due partiti praticamente testa a testa (29,5% contro 28,5%), con in primo piano i temi dell’ambiente e della “Città del futuro”, assieme al problema della casa, degli affitti e della povertà, sia infantile che degli anziani. In tutta la Germania, sempre più persone, in grande maggioranza anziani, sono infatti costrette a rivolgersi ai “Tafel”, invece di disporre “di una più che meritata e dignitosa pensione”, ha detto il deputato di Die Linke Jan Korte.

Dunque, quella della SPD sulle sanzioni di Hartz IV, sembra piuttosto una corsa a difendere le proprie posizioni, più che una convinta presa di posizione; del resto, la stessa Die Linke, salutando la decisione socialdemocratica, nota come troppe volte alle parole della SPD non siano seguiti i fatti.

Oltretutto, limitandosi a chiedere un taglio delle sanzioni superiori al 30%, aveva affermato la ex presidente dei giovani socialdemocratici, Franziska Drohsel, “non faremmo altro che mettere in pratica la sentenza della Corte costituzionale”; invece, “ogni individuo dovrebbe aver diritto a un minimo di vita dignitoso”.

Di fatto, tra la proposta dei Jusos di abolire tutte le sanzioni e coloro che invece sono favorevoli al loro mantenimento, il Congresso è arrivato a una via di mezzo, chiedendo l’abolizione delle sanzioni che vanno a intaccare il minimo di sussistenza. Dalla risoluzione finale, mentre si afferma che il “minimo di sussistenza socioeconomica e socioculturale deve sempre essere garantito”, la frase “le violazioni degli obblighi imposti da Hartz IV non dovrebbero rimanere senza conseguenze” viene sostituita da un semplice “l’obbligo di cooperare è vincolante” e, sulle orme della Corte costituzionale, si dice che dovrebbero essere esclusi i tagli di oltre il 30% sulle indennità. Secondo la SPD, par di capire, le sanzioni dovrebbero continuare a agire, se il “beneficiario” di Hartz IV rimane al di sopra del minimo di sussistenza. Quale sia tale minimo, chiosa la Leimbach, è sempre stato e rimane controverso. Un “compromesso”, insomma, in puro spirito socialdemocratico.

Il Congresso si è anche soffermato sulla questione del livello delle pensioni sociali, si è espresso per un programma di investimenti di circa 450 miliardi di euro e un innalzamento, “in prospettiva”, del salario minimo obbligatorio a 12 euro l’ora.

Su questo sfondo, lo scorso 6 dicembre Die junge Welt riportava i dati dell’inchiesta “DGB-Index Gute Arbeit”, condotta dalla Deutscher Gewerkschaftsbund, la Confederazione sindacale tedesca, su un campione di 6.500 lavoratori, occupati in tutte le branche e in tutte le regioni del paese, a proposito di intensità di lavoro e sue conseguenze sulla salute.

Dunque, solo il 13% dei lavoratori tedeschi valuta le proprie condizioni di lavoro come fondamentalmente buone. Il 20% afferma di lavorare in cattive condizioni; in particolare, sotto accusa gli eccessivi carichi di lavoro, cui non corrispondono adeguate condizioni salariali. Da molti anni crescono i ritmi di lavoro, nota Die junge Welt, a causa di “obiettivi irrealistici e carenza di personale”, mentre non è contemplato alcun elemento “tampone” in caso di imprevisti. Ora, il 53% degli intervistati afferma di esser costretto lavorare, da “spesso a molto spesso”, con ritmi molto alti. Circa il 30% dice di dover superare gli obiettivi dell’anno precedente, senza però avere maggior tempo a disposizione, e ciò non rimane senza ripercussioni sulle condizioni dei lavoratori. Coloro che lamentano sovraccarichi di lavoro, parlano anche di mancanza di pause e di frequente presenza al lavoro pur se malati; il 60% si sente “svuotato e sfinito”. Non a caso, anche il 60% degli occupati in un settore non “di fabbrica”, quale quello della ricezione e ristorazione, afferma di non esser in grado di resistere fino all’età della pensione.

Nulla di nuovo, nemmeno sotto i cieli tedeschi.

 

 

 

 

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