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Il rischio della normalizzazione si affaccia in Catalunya

Mentre non si è ancora spento l’eco della sentenza del Tribunale di Giustizia dell’UE, favorevole all’immunità per Oriol Junqueras (il presidente di ERC in prigione da due anni), prosegue la manovra del PSOE e della direzione dei repubblicani volta a neutralizzare l’indipendentismo popolare e ad evitare che l’attività dei CDR (Comitati di Difesa della Repubblica) e della sinistra anticapitalista possa mettere in discussione l’egemonia del catalanismo moderato sul movimento.

Come denunciato da diverse voci dell’indipendentismo anticapitalista, siamo di fronte a un tentativo di ricomposizione del regime volto a seppellire il conflitto e la trasformazione sociale e istituzionale in Catalunya e nel resto dello Stato.

Il PSOE si rifiuta di parlare di autodeterminazione e di amnistia, ma ha concesso un tavolo di negoziazione che ERC ha assai apprezzato. Il “dialogo” offerto dai socialisti si sposa con la strategia dei piccoli passi e dell’accumulazione delle forze dei repubblicani, due opzioni che hanno in comune l’intenzione di oscurare completamente la lotta e l’autorganizzazione dal basso dell’indipendentismo.

Il Congresso di Esquerra Repúblicana, conclusosi sabato scorso, ha visto un ampio consenso attorno alla proposta di un referendum di autodeterminazione accordato con lo Stato. Il settore critico non è riuscito a far riconoscere dalla maggioranza il mandato vincolante del primo ottobre ed è evidente che la via imboccata dal partito è quella della rinuncia al conflitto. In questa prospettiva, la questione catalana è destinata a rimanere una rivoluzione incompiuta, come l’ha definita a suo tempo Marco Santopadre nel suo libro La sfida catalana.

Nel suo intervento alla Convenzione repubblicana del sovranismo progressista del 14 dicembre, Joan Tardà, uno dei cervelli di ERC, si è spinto fino a definire il partito socialista catalano (PSC) come un “elemento centrale del catalanismo“, sostenendo la necessità di ottenerne l’appoggio nell’ipotesi di un nuovo governo delle sinistre moderate alla guida della Generalitat. Uno scenario che seppellirebbe qualsiasi trasformazione sociale e istituzionale e che si tradurrebbe in un nuovo periodo di gestione ordinaria dell’autonomia catalana.

Con la differenza che mentre negli anni ’80, ’90 e fino oltre il 2000 era il partito del centrodestra catalano a svolgere il ruolo di vassallo dello stato, ora sarebbe ERC ad amministrare le briciole del potere.

Uno scenario di triplice normalizzazione:

1) sul piano istituzionale, con la questione della costruzione della Repubblica rinviata a un futuro indefinito;

2) sul piano sociale, con la fine delle velleità di giustizia e di ricostruzione del settore publico;

3) sul piano internazionale, con la rifduzione ai mimimi termini della critica all’Unione Europea.

Una normalizzazione chiesta a gran voce da Foment del Treball, l’associazione delle grandi imprese catalane e dal capitale spagnolo. E con l’UE che, se con il Tribunale di Giustizia sostiene da un lato l’immunità di Junqueras, rianimando così il sentimento europeista dei catalani, dall’altro con la Commissione ribadisce la propria linea sulla questione catalana, improntata al rispetto della cornice costituzionale spagnola.

Solo i settori dell’indipendentismo radicale, i CDR e la Candidatura d’Unitat Popular (CUP), si mostrano indisponibili all’inciucio con i poteri forti e alla svendita del movimento. E gli anticapitalisti catalani hanno già messo in chiaro le caratteristiche della loro presenza al Congresso: lavorare per rendere ingovernabile la Spagna.

Nel corso della Convenzione republicana del sovranismo progressista, Albert Botran, neo deputato della Cup a Madrid, ha sostenuto la necessità di riempire di contenuti sociali la costruzione della Repubblica catalana, per conquistare l’egemonia nelle classi popolari e sconfiggere il disegno del capitale finanziario, facendo delle politiche di trasformazione e di giustizia sociale l’asse centrale del progetto di costruzione della Repubblica catalana.

Obbiettivi da perseguire con l’ulteriore sviluppo della lotta nelle piazze, con l’autorganizzazione popolare e con il sostegno delle istituzioni catalane. Certo non con la tattica attendista di accumulazione delle forze proposta da ERC.

Per l’indipendentismo popolare la lotta non si ferma: a Barcelona il blocco stradale dell’Avinguda Meridiana è arrivato a 77 notti consecutive, grazie alla determinazione dei vicini del quartiere che, scesi in piazza all’insegna dello slogan “la Meridiana resiste”, si definiscono “la piccola Gallia”. Da qualche giorno, anche a Girona un gruppo di manifestanti blocca ogni sera un’arteria centrale della città, nell’intenzione di mantenere viva la protesta.

E mentre a Madrid si susseguono le  trattative, le riunioni e le strette di mano con il re per formare il nuovo governo, è significativo che la CUP abbia preferito al salotto del monarca il quartiere popolare di Lavapiés, dove ha dato vita ad una iniziativa con altre forze anticapitaliste.

Davanti alla platea, i neo deputati della CUP si sono messi a disposizione di quei collettivi che lavorano per costruire contropotere dal basso, al fine di portare al collasso il cosiddetto “regime del ’78”. Un regime nel cui abbraccio rischia di perdersi Podemos, assai accondiscendente non solo con il PSOE ma anche con il re.

Nel suo discorso di Natale, Filippo VI ha definito la Catalunya una preoccupazione al pari della crisi ambientale e delle difficoltà economiche degli spagnoli, una iattura insomma. Ma Pablo Echenique, probabile futuro ministro di Podemos, ha sottolineato il tono più morbido del discorso rispetto a quello pronunciato il 3 ottobre 2017, evidenziando quello che ha definito il fiuto politico del monarca.

Così come hanno fatto anche ERC e EH Bildu, la CUP ha declinato l’invito del Borbone, al quale però ha inviato una lettera significativa, datata 11 dicembre 2019 e intitolata Non riconosciamo il re: lettera al monarca.

Qui di seguito la lettera della CUP – per la rottura al re Filippo VI

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Signor Filippo,

con questa lettera decliniamo il suo invito a  partecipare alle consultazioni per assegnare l’incarico al nuovo presidente del governo spagnolo. Avevamo molti temi da proporle, però l’incarico al nuovo governo era sicuramente il meno importante.

Ci sarebbe piaciuto parlare, tanto per cominciare, del male che ha fatto la sua stirpe, tanto il ramo francese quanto quello spagnolo, ai Països Catalans nel corso della storia, un male che, a partire da Filippo V, non è mai stato riparato. Un Filippo di triste memoria, che abolì le istituzioni, represse il popolo ribelle (che ancora oggi gli canta contro le sue canzoni) e dette inizio alle persecuzioni contro la nostra lingua.

Sicuramente lei regna con lo stesso nome per ripetere il messaggio che i suoi progenitori decisero di inviare ai catalani e alle catalane. Sono passati i secoli però la repressione della monarchia spagnola contro il nostro popolo persiste.

E potremmo parlare anche della corruzione cronica che infanga la sua famiglia, a partire da suo padre, la cui fortuna è calcolata attorno ai 2.000 milioni di dollari, per seguire con sua sorella Cristina, assolta vergognosamente dalla giustizia; potremmo parlare dei legami tra la monarchia e le imprese più importanti dell’Ïbex 35; o della partecipazione attiva della casa reale alla vendita di armi a dittature quali l’Arabia Saudita.

Tutti segnali della profonda continuità con gli interessi della corrotta dittatura franchista, alla quale continuate a conferire titoli nobiliari, grazie alla riconversione in monarchia parlamentare; una continuità che ha garantito soprattutto suo padre, figura centrale per il nuovo consenso guadagnato in seguito al suo protagonismo nel colpo di stato del 23 febbraio; un consenso grazie al quale è stato possibile ripulire l’immagine dell’oligarchia politica ed economica del regime, oltre che delle forze repressive e giudiziarie, conservatesi intatte.

Potremmo parlare anche dell’aumento della repressione contro decine di persone colpevoli solo di assumere una posizione contraria alla monarchia e che, nonostante nella maggior parte dei casi siano assolte (un esempio di come la libertà d’espressione si difenda con la lotta, come quando si bruciano le sue foto) sono obbligate a subire il processo per ingiurie alla corona.

O potremmo ragionare sul perché la sua popolarità sia al minimo storico, dopo che il 3 ottobre 2017, quando il popolo catalano lamentava le aggressioni poliziesche, lei apparse in tv per sostenere la repressione e dire che l’unità della Spagna è l’unico valore che gli interessa davvero. In questo, sia lei che suo padre siete stati estremamente fedeli al dittatore che vi rimise sul trono.

Questi temi sono probabilmente quelli che la maggioranza del nostro popolo le sottoporrebbe, se ne avesse l’occasione. Tuttavia quando viene nel nostro paese, lei sceglie di circondarsi di adulatori di ogni specie, che utilizzano la sua figura come la mascotte di un regime cadente. Impresari, politici e giornalisti di corte che sono ben lontani dal rappresentare la nostra società, la quale difende invece la libertà d’espressione, i valori repubblicani e il diritto all’autodeterminazione.

Ma il protocollo del colloqui non avrebbe consentito di parlare di questi temi. E cosí invece di perdere tempo con lei abbiamo scelto di svolgere un’iniziativa battezzata con la strofa di un vecchio inno del repubblicanesimo catalano, “il popolo vuole essere re”, alla quale inviteremo i movimenti sociali e le forze di sinistra di Madrid. 

Ci sembra più pertinente spiegare il nostro punto di vista davanti a questo publico, con il quale condividiamo la solidarietà internazionalista, quella sociale e morale, piuttosto che davanti a una persona rifiutata dal nostro popolo, come dimostrano i fischi che ricevette quando sfilò al Passeig de Gràcia di Barcelona in seguito agli attentati dell’agosto 2017 e come accade ogni volta che mette piede nel nostro paese.

Visca i Països Catalans!

Indipendenza e Repubblica!

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