Nel giorno in cui si dà notizia di razzi “Katjuša” caduti sulla base USA Al Taji, a nord di Baghdad, senza causare vittime, e a Baku si parla di come, a fornire le coordinate di tiro per il missile yankee che il 3 gennaio ha assassinato il generale iraniano Qasem Soleimani sarebbe stato un drone israeliano partito prorpio dall’Azebajdžan, è forse il caso di tornare sulla tragedia che l’8 gennaio è costata la vita alle 176 persone a bordo del Boeing 737 delle linee ucraine, abbattuto da missili iraniani.
A oggi, come dicono gli storiografi, ci sono pochi fatti certi e molte interpretazioni.
I primi sono che, ad abbattere il Boeing civile sia stata la difesa contraerea di Teheran (e, però, non tutti ne sono convinti); che le massime autorità iraniane abbiano ammesso, appena un paio di giorni dopo la catastrofe, le proprie responsabilità; che a riconoscere la propria diretta colpa siano quindi stati i reparti antiaerei dei Guardiani della rivoluzione i quali, secondo il generale di brigata Amir Ali Hajizadeh, avrebbero scambiato l’aereo di linea per un missile da crociera; che dunque si sia trattato, secondo Teheran, di un “abbattimento accidentale”. Infine, ancora un fatto certo: che la Corte suprema iraniana abbia già iniziato gli arresti dei sospettati.
Dopodiche, il resto sembra rientrare tra le varianti soggettive degli osservatori. Nelle ultime ore, però, alcune ipotesi ventilate nei giorni scorsi, tendono a prender forma più esatta. Stando ancora al generale Ali Hajizade, gli addetti alla contraerea avrebbero perso il contatto con il comando e, avendo a disposizione pochissimi secondi, hanno deciso autonomamente di lanciare i razzi. Perché e come si erano interrotti i contatti? Al momento, si rimane ancora nel campo delle ipotesi.
Ora, scriveva già l’11 gennaio Dmitrij Pavlenko su news-front, l’aereo ucraino è diventato il fattore scatenante di alcuni processi e 176 persone sono divenute “materiale di consumo” nel cinico gioco geopolitico di qualcun altro: una ben calcolata “vittima sacrificale”. Non sarebbe nemmeno la prima volta: sussiste la possibilità che la tragedia di Teheran possa essere stata volontariamente provocata: rimangono da chiarire le parole del generale Hajizadeh sulla comparsa di dati sul lancio di missili da crociera americani e l’improvvisa scomparsa di contatti tra comando e posto antiaereo. Non è chiaro il motivo, scriveva Pavlenko, per cui l’aereo avesse improvvisamente deviato dalla rotta pochi minuti prima della tragedia.
Pavlenko ricorda poi il caso dei caccia israeliani che nel settembre 2018 deviarono la contraerea siriana S-200 contro un Il-20 russo; ricorda il Tu-154 civile russo, in volo da Tel Aviv a Novosibirk, finito nel 2001 sotto il fuoco di missili ucraini autoguidati 5B28, perché rivelatosi il bersaglio più “visibile”, durante le esercitazioni navali russo-ucraine nel mar Nero. Oppure ancora il caso dell’incrociatore USA “Vincennes”, che nel luglio 1988 abbattè sul Golfo persico l’Airbus iraniano con 298 persone a bordo: Reagan definì l’accaduto una “dovuta azione difensiva” e il vicepresidente Bush incolpò l’Iran dell’incidente.
Tornando ai fatti conosciuti: alla vigilia della tragedia, nella notte dal 7 al 8 gennaio, l’Iran aveva lanciato 35 missili contro basi militari yankee in Iraq (tra l’altro, avvertendo con qualche ora d’anticipo le autorità irakene, il che aveva consentito agli americani di ritirarsi tranquillamente nei rifugi). Per questo motivo, sembra, il decollo del Boeing ucraino era stato ritardato di un’ora; le unità di difesa aerea si attendevano infatti un’immediata ritorsione: un drone USA era in volo a 20 km da Teheran, e altri poco più distanti.
Un paio di giorni fa, intervistato da Voennoe obozrenie (Rassegna militare), il veterano pilota Jurij Skrynnik ha dichiarato che la contraerea iraniana avrebbe potuto scambiare l’aereo civile appena decollato con un missile alato, solo in caso di interferenze provocate. Se si tratta di “interferenze indotte” dice Skrynnik, “allora l’operatore avrebbe potuto ricevere il segnale non di uno specifico aereo, ma come di un oggetto volante non identificato. Quando il transponder dell’aereo funziona, vengono visualizzate tutte le informazioni, compresi i dati su altitudine e velocità, numero del volo.
Oggi, tali informazioni vengono automaticamente trasmesse a siti specializzati, dove praticamente possono esser visualizzate da chiunque. Se però ci sono interferenze, l’operatore della contraerea non riceve più informazioni affidabili. Non dimentichiamo che tutto ciò è accaduto in un momento in cui i sistemi di difesa aerea iraniani erano in stato di allarme massimo; quindi, qualsiasi oggetto volante non identificato avrebbe potuto essere percepito come un bersaglio, anche come un missile americano”.
Il New York Times, scrive ad esempio che i primi due razzi iraniani non avevano colpito l’aereo e solo dopo altri colpi il trasponder del velivolo aveva smesso di trasmettere. Chi ha sparato i successivi colpi? La contraerea iraniana, o altri?
Teheran ha ammesso l’errore. Ma: a chi serve l’abbattimento del Boeing?
Il sito Analisi Difesa sottolinea la connessione tra abbattimento del Boeing e rinnovarsi delle manifestazioni anti-regime a Teheran: “In condizioni normali sono molto scarse le possibilità che una rete così strutturata di difesa aerea confonda un aereo civile appena decollato da Teheran con un velivolo nemico in penetrazione nello spazio aereo iraniano”.
Inoltre, non “si può escludere quindi che la confusione che ha generato l’errore umano ammesso dal governo iraniano sia stata determinata da un attacco di guerra elettronica che ha mandato in tilt la difesa aerea iraniana o una parte di essa. Secondo notizie trapelate da fonti iraniane, pare che nello spazio aereo iraniano o ai suoi limiti fossero attivi diversi velivoli stranieri, incluso un RC-135W da intelligence e guerra elettronica”.
E infatti, si infiammano le proteste a Teheran, al grido di “Morte ai bugiardi!”, “Soleimani è un assassino e anche il suo capo è un assassino!”, “Mentono, definendo l’America nostro nemico! Il nemico è qui”. Si chiede la punizione dei responsabili dell’abbattimento e del tentativo di nascondere la verità, insieme alle dimissioni dell’Ayatollah Khamenei.
Ha ormai fatto il giro del mondo la notizia dell’ambasciatore britannico Rob Macaire, fermato e subito rilasciato, accusato di incitare i manifestanti in piazza. Donald Trump si è addirittura dilettato ad aizzarli con twitter in farsi: “”Vi sostengo fin dall’inizio della mia presidenza. Seguiamo attentamente le vostre proteste. Il governo iraniano dovrebbe consentire ai gruppi per i diritti umani di chiarire e riferire i fatti, come richiesto dai manifestanti”.
In sostanza, scrive Valerij Panov su Stoletie, è in atto il classico processo per un colpo di stato a Teheran, secondo lo schema delle “rivoluzioni colorate” provocate dagli USA, ma più vicino alla versione “majdan”.
Anche perché, come osserva la rivista Vita Internazionale, Trump non ha perso tempo a esigere il coinvolgimento NATO negli affari mediorientalie e addirittura, pur senza specificare apertamente quali, a chiedere alla NATO di accogliere nell’Alleanza Paesi della regione, cambiando la denominazione in NATO-ME: una rivisitazione della proposta di Middle East Strategic Alliance (MESA) con Arabia Saudita, Emirati arabi, Kuwait, Qatar, Oman, Bahrein, Egitto e Giordania. E questi sono fatti accertati.
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