La prima misura di confino della popolazione sul territorio spagnolo è stata la chiusura di Igualada e di alcuni comuni limitrofi, circa 70.000 abitanti, decretata giovedi 12 marzo dal governo della Generalitat di Catalunya, allarmato dallo scoppio improvviso di 58 casi di coronavirus, tra cui molti medici e infermieri. Un focolaio preoccupante che rappresentava una percentuale significativa sul totale dei 261 casi registrati in quel momento in Catalunya.
Contemporaneamente però esistevano già altri focolai d’infezione sul territorio statale, sottovalutati dal governo di Pedro Sánchez, tra cui spiccava il caso della Comunità di Madrid, dove i contagi erano già più di 1300. Per dare un’idea della gravità della situazione basta fare un semplice confronto con Wuhan. Nella città cinese, circa 10 milioni di abitanti, la popolazione è stata confinata quando si contavano poco più di 500 casi. Nel caso della Comunità di Madrid, circa 7 milioni di abitanti, 1300 casi non sono sembrati sufficienti al governo spagnolo per imporre il confino dell’area.
La questione non è un mero dettaglio statistico: centinaia di abitanti di Madrid hanno potuto dirigersi verso il País Valencià per assistere, come di consueto, alle tradizionali feste delle falles. Il presidente della Generalitat Valenciana, il socialista Ximo Puig, ha deplorato questo comportamento, anche perché in diversi casi i turisti appena arrivati sono risultati positivi al coronavirus. Puig ha affermato: “siamo gente profondamente ospitale, però non è il momento opportuno per viaggiare“.
Il presidente delle Corts valenzane, Enric Morera, si è spinto più avanti affermando: “Igualada decreta il confino della popolazione e della comarca e Madrid esporta il virus“, sollevando un più che legittimo interrogativo sui criteri seguiti dal governo Sánchez nella gestione dell’emergenza. Così che già a partire da giovedi 12 marzo numerose voci sottolineavano l’inoperosità del governo centrale.
Il giorno seguente è un notabile del PP, il presidente della Comunità di Murcia, Fernando López Miras, a dichiarare apertamente che alcuni madrileni hanno preso la crisi per una vacanza e che si vedeva perciò costretto a decretare il confino di diversi comuni della costa murciana, allo scopo di “proteggere la nostra gente“.
Al riparo del proprio curriculum spagnolista, López Miras non ha avuto inibizioni a suggerire implicitamente la chiusura di Madrid. È facile supporre che la stessa ipotesi, formulata da un qualsiasi politico catalano, avrebbe sollevato le consuete accuse di nazionalismo, razzismo e suprematismo rivolte dai partiti spagnoli all’indipendentismo. E davanti alla indecisione del governo centrale, il presidente catalano Quim Torra ha annunciato il confinamento di tutta Catalunya chiedendo contemporaneamente la collaborazione del governo Sánchez per chiudere porti, aereoporti e stazioni ferroviare, tutte strutture la cui competenza è statale.
Una richiesta, volta a proteggere dal possibile contagio i catalani come tutti gli altri cittadini dello stato, che il premier ha ignorato completamente e che rimane, all’apparenza inspiegabilmente, senza risposta. Pur ripetendo che “il virus non ha frontiere”, il premier socialista ha blindato il confine terrestre con Francia e Portogallo ed ha concesso alla Comunità delle Baleari di chiudere lo spazio aereo e marittimo. Il divieto di dispiegare la stessa misura alla Generalitat catalana sembra avere a che fare più con l’affanno di negare Catalunya come soggetto politico che con il virus.
Finalmente venerdì 13 marzo il premier ha annunciato lo stato d’allarme, ma il decreto che lo istituisce è del giorno seguente, sabato 14 marzo, e viene partorito da un agitato consiglio dei ministri durato 7 ore, al termine del quale i ministri a capo di interni, salute, difesa e trasporti, tutti socialisti, sono messi a dirigere l’emergenza. Il PSOE istituisce una sorta di quadrumvirato, escludendone Unidas Podemos, e assicurandosi le leve di comando della crisi.
Sánchez annuncia in tv la dichiarazione dello stato d’allarme con un discorso all’insegna del nazionalismo e pieno di appelli all’unità che ricorda l’atteggiamento del governo spagnolo davanti agli attentati del 17 agosto 2017, quando PP e PSOE cercarono di approfittare l’emergenza terrorista per azzerare la critica e ricompattare l’opinione pubblica attorno alla monarchia. Un’operazione che Sánchez ripete adesso spingendosi oltre, dato che assume il controllo delle amministrazioni delle varie comunità autonome (comprese le forze di polizia) ed impiega l’esercito.
Una ricentralizzazione portata a termine tra gli applausi di Vox e l’aiuto entusiasta dei principali quotidiani statali che hanno salutato lo stato d’allarme uscendo in edicola con una identica prima pagina. Il fatto indubbiamente positivo che il governo del PSOE annunci di essere disposto a requisire la sanità privata non può oscurare né la lentezza né la parzialità delle musure del governo.
Secondo la CUP “le misure aprono la porta all’utilizzo delle installazioni della sanità privata così come al controllo del mercato degli idrocarburi ma in nessun caso si stabilisce che tutto ciò avverrà senza compensazioni né se ne specificano le condizioni. Allo stesso modo non si affronta il blocco necessario degli sfratti, una moratoria per il pagamento dei mutui e degli affitti né il controllo dei prezzi dei medicinali e degli alimenti per evitare la speculazione“.
Anche nella Spagna a guida socialista come nel resto dell’UE, il PIL viene prima di tutto e i lavoratori continuano a dover recarsi al lavoro, peraltro potendo attraversare comuni e perfino regioni differenti. Tutto senza neppure la necessità di una autocertificazione, fatto che fa sorgere il dubbio sulla possibilità di assicurare il rispetto delle indicazioni legate al confino. Mentre è da sottolineare che la Generalitat di Catalunya sollecita il confino di tutti i lavoratori, ad esclusione di quelli della sanità e del comparto legato agli alimenti, e la loro copertura legale davanti alle imprese.
Il bilancio del virus, aggiornato con i dati del governo spagnolo al 17 marzo, conta 9871 casi attivi e situa la Spagna al vertice dell’emergenza globale, seconda solo all’Italia. Nonostante nella Comunità di Madrid si concentri il 70% dei decessi, il governo continua senza isolarla. Una decisione che Sánchez giustifica con i consigli degli esperti ma che rivela una volta di più la volontà del governo di oscurare l’articolazione territorale delle comunità autonome con la retorica dell’unità e dell’uguaglianza di tutti gli spagnoli, allo scopo di soffocare i popoli dello stato e le loro istituzioni.
D’altro canto il decreto varato per fronteggiare economicamente l’emergenza non sembra all’altezza delle necessità della popolazione: si annuncia una linea di credito alle imprese e facilitazioni per le sospensioni temporali dal lavoro, durante le quali il lavoratore percepirà una indennità di disoccupazione ma non il salario pieno, una misura cioè che pregiudica il potere d’acquisto e il tenore di vita dei lavoratori. Il decreto inoltre non proibisce i licenziamenti nelle imprese interessate dalla crisi per i quali stabilisce un sussidio di disoccupazione.
Al netto delle buone maniere del PSOE, si profila uno scenario in cui il costo della crisi viene scaricato sulle spalle dei lavoratori. Unica misura positiva la moratoria del pagamento del mutuo per i licenziati a causa del coronavirus e per le famiglie che non arrivano a un ingresso mensile complessivo di 1600 euro. Ma per tutti gli altri non c’è nessuna facilitazione simile, né per i mutui né per il pagamento degli affitti.
Esclusa anche qualsiasi ipotesi di nazionalizzazione delle imprese nei settori strategici. Sánchez ha parlato con enfasi della maggior mobilitazione di risorse pubbliche della storia della Spagna democratica (117.000 milioni di euro), peccato però che i dati lo smentiscano: gli aiuti statali alle banche in occasione della crisi del 2008 ammontarono a quasi il doppio, ben 220.115 milioni di euro, senza contare i 300.000 milioni della BCE.
Cifre attorno alle quali si dibatterà ampiamente nei prossimi giorni, al contrario della mazzetta di 65 milioni di euro che la monarchia saudita ha versato su un conto svizzero del re emerito Juan Carlos e il cui secondo beneficiario è l’attuale monarca Filippo VI, così come ha denunciato il quotidiano inglese The Telegraph il 14 marzo. Una somma versata dai sauditi per i “servizi” resi da Juan Carlos nel corso della costruzione del treno ad alta velocità nel paese arabo, e che conferma la stretta relazione tra le due famiglie reali.
Davanti all’ennesimo scandalo, Filippo VI ha annunciato di rinunciare a qualsiasi eredità del padre la cui provenienza sia dubbia, riconoscendo così la gravità dell’ultimo caso di corruzione che infanga la monarchia. Eppure l’emergenza coronavirus ha oscurato la notizia e il monarca spagnolo ha potuto comparire impunemente in tv per inviare un messaggio alla popolazione. Mentre dai balconi di Barcellona e di altre città catalane risuonava contemporaneamente la cassolada convocata per protesta dall’esquerra independentista, accompagnata dalle note di Bella ciao.
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mario pansera
Mi permetto di dissentire su alcuni punti. Vivo da molti anni in Spagna e non sono d’accordo su molti punti dell’analisi. Mi limito solo ai 2 errori piu evidenti fatti dall’autore.
1. L’autonomia territoriale non e’ stata assolutamente messa in discussione. Infatti la decisione di chiudere Madrid spettava alla Comunidad Autonoma attualmente in mano al PP non a Pedro Sanchez. In Catalunya la situazione e’ stata completamente sottovalutata dal signor Torra non certo dal governo centrale. Lo stesso president ieri senza alcuna vergogna ha detto alla BBC che il governo centrale sta ostacolando le misure di contenzione in Catalunya. Una vergognosa menzogna. Senza parlare della CUP, formazione con cui certamente condivido molte istanze, ma che pero in questi tempi duri si sta distinguendo per incompetenza e mancanza di visione strategica. Addirittura proprio oggi un loro rappresentante ha detto che bisognerebbe tossire sui soldati che presidiano l’aeroporto del Prat a Barcellona.
2. per quanto riguarda lo scandalo Juan Carlos e della rinuncia (simbolica) del figlio Felipe all’eredita, non e’ affatto vero che l’argomento e’ stato seppellito dalla pandemia. Le assicuro la ‘cacerolada’ per chiedere di dedicare la suddetta eredita alla sanita pubblica si e’ sentita in tutta Spagna e non solo in Catalunya.
In tempi di confusione cerchiamo di non crearne ancora di piu. Qua non si tratta della Spagna cattiva e centralista contro i paladini delle liberta catalane. Purtroppo i nemici del popolo stanno su entrambi i lati del conflitto territoriale.
Andrea Perego
Non per far polemica, ma a me non risultano le cose che dici. In particolare, a me risulta il seguente:
1) Il 12 marzo, a seguito di un incremento repentino di casi ad Igualada (58 casi), Torra decide di confinare l’intera città e altri tre comuni (70.000 persone)
https://www.vozpopuli.com/sanidad/Ordenan-confinamiento-poblacion-Igualada-coronavirus_0_1336067993.html
2) Il 13 marzo dichiara la quarantena per tutta la Catalogna
https://www.elplural.com/politica/espana/torra-anuncia-confinamiento-cataluna_235316102
Allo stesso tempo, fa richiesta al governo di chiudere le frontiere della regione, cosa sulla quale non ha competenza.
https://elpais.com/espana/catalunya/2020-03-14/torra-y-urkullu-critican-el-estado-de-alarma-decretado-por-sanchez-porque-invade-sus-competencias.html
3) Il 14 marzo viene decretato dal governo spagnolo lo stato d’allarme, assumendo così le competenze sanitarie regionali. Alla data del 23 marzo, ancora scartano l’opzione di una chiusura totale di tutte le attività
https://www.eldiario.es/economia/Calvino-actividad-autonomias-suficientemente-ralentizada_0_1008949338.html
4) Non solo: la regione di Murcia (22 marzo) annuncia il blocco totale regionale di tutte le attività non essenziali. Il giorno seguente il governo impone alla regione di riattivare le attività economiche sospese
https://www.mundodeportivo.com/elotromundo/actualidad/20200323/4849538045/el-gobierno-espanol-desautoriza-a-murcia-tras-endurecer-el-confinamiento.html
5) Una cosa simile tenta di fare la regione Catalogna, il 25 marzo, riguardo alla popolazione in quarantena di Igualada (dichiarare, cioè, sospese anche le attività lavorative). Anche in questo caso il governo usa le competenze ottenute con lo stato d’allarme per rendere ineffettiva tale disposizione:
https://www.elmundo.es/cataluna/2020/03/26/5e7c6be921efa065378bf312.html
Sinceramente non capisco come si possa affermare che l’epidemia sia stata sottovalutata dal governo catalano (soprattutto se lo si confronta con l’operato del governo centrale).