La denuncia di un medico francese di Mulhouse-
Negli ospedali francesi, la situazione è drammaticamente sull’orlo del collasso, specialmente nella regione del Grand-Est, la più colpita per numero di contagi dal Coronavirus. Si cominciano a registrare diversi casi positivi anche tra il personale medico ed infermieristico; tuttavia, qualunque cifra sottostima la realtà della portata del fenomeno, poiché non è stato predisposto il tampone per tutti gli effettivi del personale sanitario. Nel frattempo, si ha certezza sul numero di medici deceduti a causa del Coronavirus, arrivato ad un totale di 5 in tutta la Francia.
Il primo è stato quello di Jean-Jacques Razafindranazy, medico d’urgenza di 67 anni, deceduto sabato 21 marzo, che era ritornato in servizio dal pensionamento a fine febbraio per aiutare i suoi colleghi del pronto-soccorso dell’ospedale di Compiègne.
Nella serata di domenica 22 marzo, erano stati comunicati i decessi di Mahen Ramloll (medico generalista all’ospedale di Colmar), Olivier-Jacques Schneller (medico all’ospedale di Trévenans) e Jean-Marie Boegle (ginecologo-ostetrico all’ospedale di Mulhouse), che si sono aggiunti alla morte già confermata di Sylvain Welling (medico generalista all’ospedale di Saint-Avold).
Hanno suscitato estremo scalpore le dichiarazioni dell’attuale ministro della salute, Olivier Véran, sullo scandalo delle mascherine, per cui la Francia si è trovata all’inizio dell’epidemia di Coronavirus senza “stock di Stato” di mascherine FFP2. Infatti, il ministro ha ammesso che gli stock strategici, che 10 anni fa erano di un miliardo di mascherine più 600 milioni di FFP2, “si sono ridotti anno dopo anno”, fino ad arrivare ad inizio epidemia con un totale di “117 milioni di mascherine per adulti e nessuna FFP2”.
Ma quello delle mascherine non è l’unico problema: anni di tagli ai finanziamenti destinati alla sanità pubblica hanno contributo a creare una situazione in cui non possono essere adeguatamente garantite e prestate le cure quotidiane di assistenza ai pazienti o a coloro che arrivano al pronto-soccorso, come ribadiscono da mesi il Collectif Inter-Hopitaux e il Collectif Inter-Urgences. Figuriamoci in un contesto di emergenza sanitaria nazionale…
Il numero totale di letti negli ospedali francesi è passato dai 507.996 nel 1997 ai 399.865 nel 2017 (una riduzione di circa il 21%); il numero di letti in terapia intensiva è diminuito da 4,35 a 3,09 per 1.000 abitanti, tra il 1997 e il 2017, ovvero un taglio del 20% in termini assoluti del numero di letti in terapia intensiva.
Ad oggi, 2.827 persone contagiate dal Covid-19 si trovano in terapia intensiva negli ospedali francesi; nell’Ile-de-France, la seconda regione per numero di contagi, 1.150 persone sono attualmente ricoverate in terapia intensiva a fronte di una disponibilità complessiva di 1.500 letti (un tasso di occupazione pari al 77%).
Eppure, la gravità della situazione era stata già evidenziata dalle dichiarazioni di un infermiere dell’ospedale di Grenoble qualche settimana fa: “Siamo talmente a corto di attrezzature e di personale che rischiamo di dover fare delle scelte. Una cosa difficile da affrontare, sia per il personale sanitario che per i pazienti”.
Accusando l’intera gestione dell’emergenza, oltre 600 medici hanno denunciato alla Corte di giustizia della Repubblica il pimo ministro, Edouard Philippe, e l’ex-ministra della salute, Agnès Buzyn, con l’accusa di “menzogna di Stato” per “non aver preso le misure necessarie a frenare l’arrivo dell’epidemia in Francia pur essendo al corrente del pericolo”.
Qualche giorno fa, il quotidiano francese Libération ha pubblicato la lettera di Claude Baniam, pseudonimo di uno psicologo dell’ospedale di Mulhouse, dove mercoledì 25 marzo si è recato il Presidente Macron promettendo “un piano massiccio di investimenti per gli ospedali” e un premio per tutto personale sanitario, dei quali però non vi è traccia tra le 25 ordinanze adottate dal Consiglio dei Ministri.
Questa lettera è un grido di allarme e, al tempo stesso, una spietata denuncia contro chi ha distrutto la sanità pubblica in nome dei tagli al bilancio, affinché non vengano dimenticati i responsabili di questa situazione di emergenza e di crisi negli ospedali, una volta terminata la pandemia.
*****
Sono in collera e arrabbiato, quando sfilano nei media, fanno la loro passerella in televisione, fanno sentire la loro voce perfettamente controllata alla radio, pronunciano i loro discorsi sui giornali. Sempre per parlarci di una situazione di cui sono un fattore aggravante, sempre per sproloquiare sulla cittadinanza, sul rischio di recessione, sulla responsabilità degli abitanti, degli avversari politici, degli stranieri… Mai per scusarsi con noi, per implorare il nostro perdono, anche se sono in parte responsabili di quello che stiamo vivendo.
Sono in collera e arrabbiato, perché come psicologo dell’ospedale più colpito, quello di Mulhouse, vedo per tutto il giorno decine di persone, che arrivano da noi in caso di emergenza, e so che una buona parte di queste non ne usciranno vive, sorridenti, spensierate, come due settimane fa.
Sono in collera e arrabbiato, perché so che queste persone, questi esseri viventi, questi fratelli e sorelle, questi fratelli e sorelle, questi padri e madri, figli e figlie, nonni e nonne, moriranno soli in un servizio sopraffatto, nonostante gli sforzi coraggiosi del personale sanitario; soli, senza lo sguardo o le mani di coloro che li amano, e che loro amano.
Sono in collera e arrabbiato, per questa folle situazione che vuole farci abbandonare i nostri anziani, le nostre anziane, coloro che hanno permesso che il nostro presente non fosse un inferno, coloro che possiedono conoscenze e saggezza che nessun altro ha; che però noi lasciamo morire a grappoli in case che di riposo non hanno che il nome, per mancanza di possibilità di salvare tutti, dicono.
Sono in collera e arrabbiato, pensando a tutte quelle famiglie che vivranno con il terribile dolore di un lutto impossibile, di un impossibile addio, di una impossibile giustizia. Quelle famiglie alle quali non viene data la possibilità di vedere le loro persone amate, quelle famiglie che continuano a chiamare i servizi per avere notizie, e alle quali nessun assistente sanitario può rispondere, troppo impegnato a tentare un intervento all’ultimo momento. Quelle famiglie che sono o potrebbero essere nostre…
Sono in collera e arrabbiato, quando vedo i miei compagni che lottano, ogni giorno, ogni minuto, per cercare di portare aiuto a tutte le persone che sono in difficoltà respiratoria, perdendo energie folli, ma recuperandole, ogni giorno, ogni minuto.
Sono in collera e arrabbiato, per le condizioni di lavoro dei miei compagni portantini, assistenti di cura, segretari, inservienti, infermieri, medici, psicologi, assistenti sociali, fisioterapisti, ergoterapisti, dirigenti, psicomotricisti, educatori, operatori logistici, professionisti della sicurezza… perché ci manca tutto, eppure dobbiamo andare in prima linea.
Sono in collera e arrabbiato, perché quando vado al lavoro, e quando esco, in pochi minuti mi imbatto in tre o quattro veicoli di emergenza, che trasportano una persona piena di speranza di essere salvata… Come possiamo non avere fiducia nei nostri ospedali?
Sono all’avanguardia, sono in perfette condizioni per funzionare, per proteggere, per guarire… eppure, quante di queste ambulanze portano i loro passeggeri verso il loro ultimo posto? Quanti di questi pazienti riusciranno a riattraversare sani e salvi quella porta?
Sono in collera e arrabbiato, perché per anni abbiamo gridato la nostra preoccupazione, la nostra incomprensione, il nostro disgusto, la nostra insoddisfazione, contro le politiche sanitarie dei vari governi, che hanno pensato che gli ospedali fossero un business come gli altri, che la salute potesse essere un bene speculativo, che l’economia dovesse prevalere sulle cure, che la nostra vita avesse un valore di mercato.
Sono in collera e arrabbiato, quando vedo che i nostri servizi di emergenza chiedono aiuto da così tanto tempo, quando penso che le persone che arrivano con il Samu (Service d’aide médicale urgente) posando lo sguardo – spesso l’ultimo all’esterno – su quegli striscioni che dicono “Pronto-soccorso in sciopero”, che si trovano di fronte a medici assistenti in pensione a causa della partenza dei medici di emergenza, questi specialisti dell’emergenza che sarebbero così necessari in questi giorni bui…
Sono in collera e arrabbiato, per il modo in cui i nostri studenti infermieri e gli assistenti vengono sfruttati, e stanno facendo un lavoro di una durezza che non augurerei al mio peggior nemico, che, a soli 20 anni, devono mettere i corpi dei nostri morti in sacchi per cadaveri, senza preparazione, senza sostegno, senza che possano dire che sia volontariato.
Perché chiedere? Questo fa parte della loro formazione, andiamo! E dovrebbero considerarsi fortunati, ricevono una mancia di qualche centinaio di euro, dato che stanno svolgendo un tirocinio.
Sono in collera e arrabbiato, perché la situazione attuale è il risultato di queste politiche, di queste riduzioni di letti come amano dire, dimenticando che su questi letti c’erano esseri umani che ne avevano bisogno, questi fottuti letti! Di questi tagli ai posti di lavoro, perché un infermiere è costoso, occupa spazio nel bilancio provvisorio; di queste esternalizzazioni di tutte le professioni assistenziali, dato che un inserviente in meno nelle cifre sul numero di dipendenti pubblici è sempre un dipendente pubblico in meno di cui si può andare fieri.
Sono in collera e arrabbiato, per chi è al lavoro ogni giorno, nonostante la paura nello stomaco, la paura di essere infettato, la paura di trasmettere il virus ai parenti, la paura di trasmetterlo ad altri pazienti, la paura di vedere un collega sul letto di una camera mortuaria; questi e altri sono stati denigrati per anni in discorsi politici, sono stati privati della loro dignità quando è stato chiesto loro di affidare in pochi minuti a due professionisti tutta la cura di un reparto, scossi nella loro etica e deontologia professionale dalle contraddittorie e folli richieste dell’amministrazione.
E adesso, queste sono le persone che ogni giorno portano al lavoro la loro auto, la loro bicicletta, i loro piedi, nonostante il rischio continuo di essere colpiti dal virus, mentre coloro che li hanno maltrattati si sistemano tranquillamente a casa o nel loro appartamento assegnato.
Sono in collera e arrabbiato, perché oggi il mio ospedale sta affrontando una crisi senza precedenti, mentre chi lo ha prosciugato delle sue forze è lontano. Perché il mio ospedale è stato preso come un fottuto trampolino di lancio per direttori tanto effimeri quanto incompetenti, che miravano solo alla gestione di un ospedale universitario e che sono passati attraverso Mulhouse solo per dimostrare di saper condurre una stupida e meschina politica di austerità…
Perché il mio ospedale è stato oggetto di ingiunzioni insensate in nome di una certificazione oscura, per la quale sembrava molto più importante mostrare una tracciabilità impeccabile piuttosto che una qualità dell’assistenza umana.
Perché, in fondo, il mio ospedale non era altro che una cavia per gli amministratori per i quali contava solo l’autovalutazione egoistica. Perché oltre al mio ospedale, sono state le persone che vi sono state accolte ad essere considerate come valori trascurabili, cifre tra le altre, variabili sulla linea delle entrate e delle uscite. Perché nello stupido spirito contabile della gestione generale dell’organizzazione assistenziale, i pazienti e il personale sanitario sono tutti nello stesso paniere della più disgustosa gestione snella…
Sono in collera e arrabbiato, quando mi ricordo dei dirigenti che avrebbero dovuto tenere il nostro paese, che avrebbero dovuto guidare il nostro paese, che avrebbero dovuto portare noi, piccole persone, in alto; e che sono queste piccole persone, questi cassieri dei supermercati, questi spazzini per le nostre strade, questi inservienti nei nostri ospedali, questi contadini nei campi, questi magazzinieri di Amazon, questi camionisti nei loro veicoli, queste segretarie all’accoglienza delle istituzioni, e molti altri, che permettono alla gente di continuare a vivere… quei dirigenti stanno fissando il loro respiratore artificiale personale, il prospetto della clinica ad alta tecnologia all’avanguardia che li salverà in ogni caso, che guardano le fluttuazioni del mercato azionario come altri contano i cadaveri nel loro reparto.
Sono in collera e arrabbiato, contro quei politici che non hanno mai smesso di distruggere il nostro sistema sociale e sanitario, che non hanno mai smesso di spiegarci che dobbiamo fare uno sforzo collettivo per raggiungere il sacrosanto equilibrio di bilancio (a quale prezzo?); che “le professioni di cura sono di sacrificio, di vocazione”…
Questi politici che oggi osano dirci che questo non è il tempo delle recriminazioni e delle accuse, ma il tempo dell’unione sacra e della pacificazione… Davvero? Pensate davvero che dimenticheremo chi ci ha messo in questa situazione?
Che dimenticheremo chi ha dilapidato le scorte di maschere, test, occhiali di sicurezza, soluzioni idroalcoliche, galosce, camici, guanti, cuffie, respiratori (fottuti respiratori che oggi sono così fondamentali)?
Che dimenticheremo chi ci ha detto di non preoccuparci, che era solo un’influenza, che non sarebbe mai successo in Francia, che non aveva senso proteggersi, che anche per i professionisti le maschere erano troppo?
Che dimenticheremo l’indifferenza e il disprezzo per quanto stava accadendo tra le nostre sorelle e i nostri fratelli cinesi, tra le nostre sorelle e i nostri fratelli iraniani, tra le nostre sorelle e i nostri fratelli italiani, e cosa accadrà presto tra le nostre sorelle e i nostri fratelli del continente africano e tra le nostre sorelle e i nostri fratelli latinoamericani? Non lo dimenticheremo! Statene certi…
Sono in collera e arrabbiato, perché ho vissuto per una settimana con questo maledetto groppo in gola, questo desiderio di prostrarmi, di piangere tutte le lacrime del mio corpo, quando ascolto l’angoscia e la sofferenza dei miei colleghi, quando mi parlano di non poter baciare i loro figli perché nessuno può essere sicuro di non riprendere il virus, quando penso ai momenti di crollo in macchina prima e dopo la giornata di lavoro, quando penso ai danni che verranno, psichicamente parlando, quando tutto questo sarà alle nostre spalle, e ci sarà tempo per pensare…
Sono in collera e arrabbiato, ma soprattutto ho una profonda disperazione, una tristezza infinita…
Sono in collera e arrabbiato, e non posso sfogarmi in questo momento. La rabbia e la collera sono in agguato nel profondo della mia anima, mi stanno consumando lentamente. Ma presto, quando sarà tutto tranquillo, le farò uscire, questa rabbia e questa collera, come tutti quelli che le hanno seppellite.
E credetemi, quel momento arriverà. Si infiammeranno, e noi chiederemo giustizia, renderemo conto a tutti coloro che ci hanno condotto in questo terribile punto morto. Senza violenza. A cosa servirà? No, con un’umanità e una saggezza che a loro mancano. Sentite questa piccola musica? Quello che sussurra in sottofondo ma che si rafforza? Quel ritornello dei Fugees: “Ready or not, here I come! You can hide! Gonna find you and take it slowly!”. Stiamo arrivando…
- © Riproduzione possibile DIETRO ESPLICITO CONSENSO della REDAZIONE di CONTROPIANO
Ultima modifica: stampa