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Un infermiere di New York muore. Si lavora senza misure protettive

Dal New York Times, pubblichiamo questo articolo di Somini Sengupta che denuncia la drammatica condizione degli infermieri di New York, dove la sanità è ben oltre la crisi e dove i dispositivi di sicurezza non vengono forniti adeguatamente, e dove il sistema sanitario privatizzato si sta dimostrando non solo inefficace, ma estremamente pericoloso per tutti, clienti e lavoratori.

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Somini Sengupta da: https://nyti.ms/2UCG7RT

“Sto bene, non dirlo a mamma e papa’. Si preoccuperebbero”, scriveva a sua sorella. Potrebbe essere il primo infermiere di New York a morire a causa del coronavirus.

Kious Kelly, un infermiere nell’ospedale di Manhattan, ha scritto a sua sorella il 18 marzo dandole delle notizie devastanti: era risultato positivo al test per il coronavirus ed era attaccato ad un respiratore nel reparto di terapia intensiva. Le ha detto di poterle scrivere, ma non parlare.

“Sto bene. Non dirlo a mamma e papa’. Si preoccuperebbero”, ha scritto a sua sorella, Marya Patrice Sherron.
E’ stato questo il suo ultimo messaggio.
Al messaggio successivo della sorella non c’è stata nessuna risposta. In meno di una settimana era morto.

Kious Kelly, infermiere quarantottenne al Mount Sinai West, potrebbe essere il primo infermiere a New York ad essere morto di Coronavirus.

Sua sorella ha detto che Kious soffriva d’asma, ma per il resto stava bene.

La sua morte poteva essere evitata”, scrive la sorella in un post di mercoledì su facebook. Dopo ha aggiunto “Sono furiosa. Lui stava bene

L’ira c’è anche tra i colleghi di Kious in ospedale. Qualcuno si è lamentato tramite i social media che non avevano un numero sufficiente di mascherine e dispositivi di protezione.

Un’infermiera che lavorava con il quarantottene ha detto che le ospedale aveva fornito agli infermieri un solo camice protettivo in plastica per un intero turno, mentre il normale protocollo richiede un cambio di camice ad ogni interazione con i pazienti infetti.

L’infermiera, che ha parlato sotto anonimato in quanto l’ospedale non consentiva ai dipendenti di lasciare dichiarazioni alla stampa, ha affermato che Kious non aveva dispositivi di sicurezza, anche se aiutava i colleghi del suo team con le cure pratiche.

Appena il 10 marzo aveva aiutato un’infermiera a togliersi i suoi dispositivi di protezione dopo aver lavorato con un paziente che era risultato positivo al virus, ha detto l’intervistata.

Numerosi dipendenti del Mount Sinai West, contattati a proposito della vicenda, hanno detto che gli era stato comunicato dall’’amministrazione della struttura sanitaria di non parlare con i giornalisti.

La morte di Kious Kelly è stata inizialmente riportata sul New York Post.

Gia Lisa Krahne, una consulente esterna che si forniva cure aiurvediche ad un paziente del Mount Sinai West, ha detto di aver visto per l’ultima volta Kious Kelly la settimana del nove marzo, ed interagiva regolarmente con i pazienti e lo staff ospedaliero, ma non indossava né una mascherina né un camice protettivo.

Bevon Bloise, infermiera al Mount Sinai West, si è lamentata su facebook che l’ospedale non aveva abbastanza dispositivi di prevenzione personale.

“Sono molto arrabbiata con il sistema sanitario del MSW per non averlo protetto. Non abbiamo abbastanza dispositivi di protezione, non abbiamo quelli giusti, e non c’è il personale adeguato per affrontare questa pandemia. E non apprezzo i rappresentanti di questo sistema sanitario che dicono il contrario sulla notizia.”

Abbiamo perso un gran combattente in questa battaglia”, ha scritto una collega, Diana Torres, su facebook. Ha postato una foto di alcuni colleghi con una bandana sulla faccia usata per proteggersi. “NO, QUESTI NON SONO I DISPOSITIVI GIUSTI”, ha scritto.

Sulla sua pagina Facebook, l’ospedale MSW ha detto di essere “profondamente dispiaciuto per la perdita di un amato membro del nostro staff sanitario”, senza nominare Kious Kelly.

In una mail, la portavoce della struttura ospedaliera, Lucia Lee, ha contestato l’affermazione secondo cui l’ospedale non aveva fornito attrezzature di protezione al suo personale. “Questa crisi sta mettendo a dura prova le risorse di tutti gli ospedali di New York, mentre abbiamo – e abbiamo avuto – attrezzature di protezione sufficienti per il nostro personale, avremo tutti bisogno di un numero maggiore nelle prossime settimane,” ha detto Lee nella dichiarazione.

L’articolo del New York Post includeva una foto dello staff ospedaliero indossava della spazzatura sopra quelli che sembravano essere camici.

Due infermiere, che hanno parlato solo a condizione di una garanzia dell’anonimato per paura di essere licenziate, hanno detto che erano camici monouso con un tessuto permeabile, per questo gli infermieri avevano dovuto coprirli con dei sacchi dell’immondizia.

La foto, hanno detto, è stata fatta il 17 marzo, in un momento in cui c’erano molti pazienti affetti da coronavirus nella struttura ed altri che dovevano ancora essere sottoposti al test ma presentavano i sintomi.

Nella dichiarazione, la Lee ha aggiunto che “la foto che circola sul web mostra infermieri con dispositivi appropriati sotto i sacchi della spazzatura”.

Ma non ha risposto alla domanda che chiedeva di spiegare perché lo staff sanitario indossava sacchi della spazzatura.

Kious Kelly viveva a qualche isolato dall’ospedale, e ci è descritto dai collegi come un uomo appassionato al proprio lavoro.

Portava con sé sempre un portablocco in cui teneva cioccolate e caramelle in modo da averle sottomano da dare ai colleghi imbronciati”, ha scritto Joanne Loe, infermiera del Mount Sinai West, mercoledì su facebook.

Ma fare l’infermiere non era la sua prima vocazione. Nato a Lansing, nel Michigan, si era trasferito a New York più di 20 anni fa per intraprendere la carriera di ballerino, ha detto la sorella. Ha poi studiato infermieria e ha lavorato come infermiere al Mount Sinai West, per poi essere promosso al ruolo di assistente-manager nel reparto di TELEMETRY.

La sua famiglia sta provando a riportare la salma in Michigan.

Sappiamo che non succederà a breve, ma lo vogliamo a casa. E’ morto da solo. Adesso lo vogliamo a casa.”

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