Discutere di imperialismo, guerra, superiorità di questo o quel paese, usando le parole della “geopolitica” è apparentemente facilissimo. In poche battute diventa un dibattito tra tifoserie che ignorano le disponibilità economiche delle squadre in campo, le difficoltà oggettive, ecc.
Ci sono per questo notizie che aiutano a rimettere con i piedi per terra almeno la capacità di informarsi seriamente sullo stato delle cose. Notizie apparentemente minime, o addirittura “curiose”, se estrapolate dal contesto. Ma indicative…
Per esempio questa, riportata dall’Agenzia Agi – di proprietà dell’Eni – sempre attenta ai movimenti delle materie prime energetiche e dei settori industriali più strettamente collegati al settore petrolifero.
“Solo i ricchi, negli Usa, possono permettersi auto nuove. Come avviene in Colombia. Lo scrive il Washington Post, che calcola che anche se l’inflazione sta diminuendo e la carenza di fornitura globale di chip sta iniziando a risolversi, ‘sempre più americani vengono esclusi dal nuovo mercato automobilistico’, come si evincerebbe anche dai dati forniti dal settore industriale e dal governo.”
Seguono i dettagli, altrettanto illuminanti. In termini più concreti il quadro è questo: “La spesa per auto nuove da parte del 20% dei redditi più bassi è scesa al livello più basso nel giro di 11 anni”, ma nel frattempo, “la spesa per auto nuove da parte del 20% più ricco della popolazione ha raggiunto il livello più alto mai registrato”.
Una conferma diretta, a prima vista, dell’aumento esplosivo delle diseguaglianze sociali.
“I nuovi veicoli forse non sono mai stati un prodotto per tutti, in America“, ha detto Charles Chesbrough, economista senior di Cox Automotive all’inizio dell’anno nel corso di una conferenza, “ma certamente oggi lo sono ancor meno”.
I motivi che rendono le nuove auto non alla portata di tutte le tasche sono duplici: dal lato della domanda, “l’aumento dei tassi di interesse ha reso i prestiti auto molto più costosi”, tant’è che il pagamento mensile medio “ha raggiunto 686 dollari a metà del 2022”, mentre il mese scorso “ha raggiunto i 730 dollari”.
Cifre impossibili per lavoratori dipendenti con salari divorati dall’inflazione e alle prese, secondo il tradizionale modello anglosassone ora divenuto “euro-atlantico”, con il peso di un mutuo per la casa.
Oltretutto, spiegano gli addetti ai lavori, anche se gli acquirenti possono ottenere un tasso di interesse decente, “l’offerta di auto disponibili per l’acquisto è stata molto più onerosa”, visto che i produttori hanno “investito risorse in versioni modificate di modelli costosi e tagliato le versioni più economiche”.
Per esempio, a fine di aprile la General Motors ha annunciato che avrebbe interrotto la produzione del suo veicolo elettrico più venduto, la Chevy Bolt, eliminando uno dei veicolo elettrici più convenienti degli Stati Uniti entro la fine dell’anno, confermando una vecchia tendenza: ovvero, nel 2017 c’erano ad esempio “11 modelli disponibili sul mercato statunitense per meno di 20.000 dollari, alla fine del 2022 erano quattro e a marzo 2023 solo 2”.
Il risultato finale è un divario crescente tra coloro che possono permettersi auto nuove e coloro che non possono. Il prezzo medio di un’auto nuova negli Stati Uniti ha così raggiunto i 48.000 dollari a marzo, con un aumento del 30% rispetto a marzo 2020.
Nel frattempo, le case automobilistiche stanno vendendo meno veicoli nuovi negli Stati Uniti rispetto a prima della pandemia: circa 13,9 milioni l’anno scorso contro i 17 milioni del 2019, secondo le rilevazioni del listino Cox Automotive.
Secondo quanto raccolto da Post, alcuni rivenditori raccontano che stanno iniziando a vedere “un aumento dei prestiti insoluti”, in particolare tra gli acquirenti con un credito debole e mentre i clienti cercano di abbassare i loro pagamenti mensili, “i termini del prestito si allungano, in alcuni casi 72 o 73 mesi”.
La situazione qui in Europa, e soprattutto in Italia, è assolutamente simile. L’”auto nuova” è fuori dall’orizzonte per la stragrande maggioranza delle famiglie, alle prese con redditi stazionari o in calo anche nella “classe media”, non necessariamente con contratti da dipendente, ossia quella fascia tradizionalmente considerata destinataria-tipo delle vendite di case e automobili.
La notizia, insomma, getta una luce livida sullo stato delle popolazioni al di là e al di qua dell’oceano, chiarendo cosa significa in concreto la “crisi” dell’imperialismo euro-atlantico: restrizione dei consumi fondamentali, dal lato “basso” della popolazione, e espansione delle merci di lusso a disposizione di una ristretta fascia di ricchi che diventa sempre più ricca.
in grado di mettere al riparo le classi dominanti dal malessere sociale.
Si torna ai “fondamentali”… L’auto ritorna un bene di lusso per pochi. Ai poveri resta, ancora per qualche tempo, la possibilità di ricorrere al mercato dell’usato, specie se “attempato”.
Ma già premono le normative “ambientaliste” dei governi, che tagliano fuori dai centri cittadini i veicoli più inquinanti. E che perciò “appiedano” fasce sempre più larghe di popolazione. In attesa, poi, del mitico 2035, quando in Europa – almeno – dovrebbe diventare illegale immatricolare auto a benzina o diesel.
A quel punto riavremo lo scenario di inizio ‘900, quando poche auto – tutte rigorosamente di lusso – sfrecciavano per le vie di città percorse a piedi da fiumi di lavoratori poverissimi a caccia di un lavoro…
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Gianpaolo
vero quello che scrive ma del resto in ogni situazione si possono cogliere dei vantaggi. quante vecchie auto in ottimo stato sono state gettate perché brutte o perché poco accessoriate? è il momento di aguzzare l’ingegno. qui a Napoli ci sono tante auto anni 70 e 80 che circolano con impianto a gas e sono economicissime, si riparano col filo di ferro e non si fermano mai…io mi tengo i miei 126 del 74 e il sì del 87…