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A Letter from New York, in piena pandemia

Gli Usa stanno collassando sotto il peso della pandemia da covid-19. I numeri dichiarati non sono probabilmente reali, difficile controllare e verificarli in un paese così esteso e che ha negato fino a qualche giorno fa la pericolosità del contagio.

Le soluzioni, stando a quello che dice il presidente durante la conferenza stampa quotidiana, sono dietro l’angolo: le perdite ci saranno come in ogni guerra, ma ne usciremo vittoriosi e anche presto, ed aiuteremo anche l’Italia, nostra amica da sempre con 100mln di dollari…,

Poi prendono la parola Fauci, Brix, il settore sanitario, quelli deputati a parlare con cognizione di causa, e dipingono una realtà più cruda ed angosciante.

Non voglio dilungarmi oltre per non togliere spazio e concentrazione a questa corrispondenza che ci viene proprio da NYC, da un quartiere, quello di Brooklyn, che tutti conosciamo come un quartiere di immigrati, e che abbiamo imparato ad ammirare per splendide pellicole hollywoodiane dirette da registi figli di immigrati.

Volentieri pubblichiamo quello che è uno sguardo disincantato, e VERO delle condizioni che si vivono nella Grande Mela. Ma anche una lucida analisi politica del Grande Paese e di quello che lo aspetta. Speriamo la prima di una lunga serie. Notare la firma.

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Caro compagno

Mi hai chiesto che vita facciamo a New York City in tempi di pandemia. Avrei voluto inviarti un report vero, con esperienze dirette, di prima mano ma, come la stragrande maggioranza di noi, sono confinato in casa da due settimane ormai. Quello che segue quindi è perlopiù aneddotica e notizie di seconda mano, riferite.

Questo comunque quello che ricavo dall’osservazione diretta: le strade sono completamente vuote, non si vede un’auto, ed in cielo non vola neanche un aereo. Al posto del consueto cacofonico rumore, una quiete sorprendente avvolge la città, un silenzio che permette al canto degli uccelli di regnare indisturbato. Diversamente dai giorni e dalle settimane che seguirono l’11 settembre, nessuna tensione o violenza esplicita accompagna questo strano silenzio. Se si scegliesse di non leggere o ascoltare le angoscianti proiezioni, si potrebbe pensare che la città sia piombata in un sonno inquietante.

Ma le previsioni sono fuor di dubbio angoscianti. Il primo caso a New York City è stato comprovato il 1° marzo; ad oggi i casi confermati sono più di 35.000 ma chi ha conoscenza diretta del sistema sanitario – gli operatori che ci lavorano – credono che questo numero sia per difetto, bisogna aggiungere almeno un buon 10%.

Il primo decesso data 14 marzo; nelle ultime 24 ore sono morte più di 100 persone. Il numero totale dei decessi in città ammonta ora a più di 1.000, ma è una conclusione scontata che queste cifre verranno presto superate. Mentre scrivo i ricoverati per covid-19 negli ospedali della città sono più di 9.000, 2.000 dei quali in terapia intensiva.

Ciascuno nel comfort del proprio appartamento può comunque percepire la sensazione di paura che serpeggia e si diffonde nel sistema sanitario. Ho letto dello strano silenzio che spesso precede uno tsunami, la gente che cammina disorientata, smarrita, fissando l’orizzonte minaccioso.

Qui la sensazione è la stessa. Gli operatori sanitari sono già allo stremo, esausti, e si stanno progressivamente ammalando. I lavoratori dell’emergenza rispondono a più di .7000 chiamate al giorno – il picco post 11 settembre fu di 4.000 – e, come in Italia devono prendere decisioni sul posto, su due piedi: chi ricoverare in ospedale, chi lasciare indietro.

I numeri sono preoccupanti, e fanno riflettere: preso nel suo insieme lo stato di New York avrebbe bisogno di almeno 140.000 posti letto; attualmente ne sono disponibili 53.000. I reparti del Genio militare stanno riconvertendo i centri congressi più capienti della città in ospedali di fortuna, improvvisati. Anche le residenze universitarie e gli alberghi stanno seguendo la stessa sorte, ed un ospedale da campo è stato appena allestito a Central Park. Purtroppo, le cifre più ottimistiche suggeriscono un apporto complessivo pari o addirittura minore alle 10.000 unità.

L’ inadeguatezza di tali cifre è impressionante.

I lavoratori della sanità pubblica impegnati in prima linea sono stati i primi a ricordare che il governatore di New York, Andrew Cuomo, che durante l’inizio dell’emergenza si godeva il suo picco di popolarità per aver tenuto la mano ferma (in forte contrasto con le riprovevoli performances di Trump da Washington), aveva egli stesso provveduto a drastici tagli alle infrastrutture della sanità pubblica statale durante i suoi 10 anni di mandato.

Questi tagli effettuati dal 2000 si sono poi tradotti nella perdita di 20.000 posti letto negli ospedali, più del 25% del totale nello stato di New York. Solo questo è il tipo di indagine matematica che interessa e mette in campo un’industria per il profitto, dove le decisioni sono prese solitamente da consulenti finanziari piuttosto che da professionisti della sanità.

A che punto siamo oggi? La città, nelle sue istituzioni, ha dichiarato ufficialmente che può reggere ancora solo una settimana, poi non ci saranno più dotazioni mediche. Tuttavia è sotto gli occhi di tutti che questa emergenza è solo agli inizi. Quanti si ammaleranno e quanti morranno è spiacevole aritmetica, ma la previsione indubbiamente è peggiore di quello che ci si aspettava. In una città come New York, la pandemia sta mettendo in luce tutte le contraddizioni della vita di tutti i giorni.

Prendiamo ad esempio i senzatetto: sono più di 20.000 coloro che dormono in rifugi di fortuna o nelle strade durante la notte: come fanno ad “autoisolarsi” ora?

Il settore alberghiero chiede a gran voce un aiuto federale, ma soltanto un gruppo ristretto di hotels ha deciso di aprire le proprie porte agli ammalati o agli indigenti. A testimoniare le vergognose, brutali priorità di questa città, rimangono più di 100.000 stanze vuote ogni notte, ad attendere il ritorno di ospiti da 400 dollari a notte.

I detenuti reclusi, solo nella città di New York sono 5.000, i più a Riker’s Island, un complesso carcerario sovraffollato che gli attivisti per i diritti penali hanno tentato più volte di far chiudere. I positivi al covid-19 fra i detenuti sono già 130 e non esiste un piano realistico per prevenire o bloccare la diffusione del virus. Ad oggi, sono stati rilasciati meno di 300 detenuti, nonostante le istituzioni riconoscano che i reclusi in una colonia penale affrontino un rischio particolarmente serio.

Una bomba a tempo analoga percorre tutto lo Stato, dove quasi 100.000 persone sono detenute nell’arcipelago delle prigioni federali o in quelle statali. New York non fa eccezione; la condizione carceraria è purtroppo una caratteristica di vita in ogni angolo della nazione e la pandemia colpirà prima o poi tutti.

In tutta la città ogni esercizio commerciale considerato “non essenziale” è stato chiuso, lasciando milioni di persone senza lavoro dall’oggi al domani. Per alcuni la chiusura obbligatoria è soltanto un piccolo disagio, ma per molti altri rappresenta una vera e propria minaccia esistenziale. Un recente sondaggio nazionale indica che più del 40% degli americani dichiara che non sarebbe in grado di sostenere una spesa sanitaria inaspettata pari a 400 dollari.

In una città come New York, con più di un milione di immigrati irregolari, sprovvisti di documenti, la situazione è ancora più grave, critica. Senza risparmi da accantonare, senza alcuna assistenza sanitaria, a rischio espulsione, milioni di newyorchesi si troveranno ad affrontare un insieme di sfide impossibile.

Non c’è dubbio che siamo in un momento di crisi storica, di serio pericolo ma anche di nuove possibilità. Idee che soltanto un mese fa sembravano radicali o anche solo fantasiose, velleitarie – una moratoria delle espulsioni o la cancellazione totale dei debiti, un programma unico per un servizio sanitario nazionale pubblico per tutti, la liberazione di massa dei detenuti e degli immigrati nei centri di detenzione, l’abolizione dei prestiti per gli studenti – vengono improvvisamente discusse seriamente e, in un certo modo, quando possibile anche limitatamente implementate.

Le prossime settimane, i prossimi mesi a New York sono pieni di incertezza. Senza dubbio si stanno già organizzando nuove reti di mutuo soccorso e di aiuto solidale. La primavera – ed il canto degli uccelli – non sono mai stati così benvenuti e nello stesso tempo stranamente fuori luogo.

 

Brooklyn, New York 30 marzo 2020

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4 Commenti


  • Sandra Rossi

    Bellissimo articolo ,
    Il giornalismo che vorrei incontrare sempre più spesso.
    Grazie
    Chi lo ha scritto?


    • Redazione Contropiano

      E’ uno pseudonimo evocativo, un mito nella storia del movimento operaio Usa… Da quelle parti i comunisti devono ancora usare qualche cautela rispetto al maccartismo permanente…


  • Mauro

    “Notare la firma”. Ma ‘ndo sta?


    • Redazione Contropiano

      Sotto il titolo, come sempre… E’ uno pseudonimo evocativo, un mito nella storia del movimento operaio Usa..

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