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All’origine del Primo Maggio: Lucy Gonzalez, vedova dei Martiri di Chicago

Quanti di coloro che festeggiano il Primo Maggio sanno perché? Bisogna conoscere la messicana Lucy Gonzalez, vedova di Albert Parsons, uno dei cinque Martiri di Chicago, grande organizzatrice delle lavoratrici tessili di Chicago. Già nel 1920 la polizia di Chicago la considerava “più pericolosa di mille insorti”. Pubblichiamo questo breve estratto del libro “Latinas de falda y pantalón” (2015) del giornalista Hernando Calvo Ospina.

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Nacque schiava nel 1853, in una città del Texas, un territorio che cinque anni prima apparteneva al Messico. Era la figlia di una messicana nera e di un indio dell’Alabama. Era rimasta orfana all’età di tre anni. Appena ha potuto lavorare, è stata mandata nei campi di cotone.

Sposò Albert Parsons, un giovane veterano della Guerra Civile (1860-1864), all’età di 19 anni. Erano quasi una coppia illegale: il “mixaggio” razziale era praticamente proibito negli Stati del Sud. La vita sociale non fu facile per loro, soprattutto perché erano tra i pochi attivisti dei diritti dei neri nella terra dei razzisti. Le minacce alle loro vite li costrinsero a partire per Chicago nel 1873.

Appena messe a posto le loro poche cose, iniziarono a partecipare da subito alla vita politica. Per mangiare, Lucy confezionava abiti da donna a casa, e lavorava in una tipografia. Cominciò a scrivere, gratuitamente, per il quotidiano The Socialist. In seguito, contribuirono a fondare The Alarm, portavoce dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Lucy scrisse di disoccupazione, razzismo o del ruolo delle donne in politica.

Lucy ebbe un ruolo importante nell’organizzazione delle lavoratrici, soprattutto nelle fabbriche tessili. Erano le più sfruttate. Nemmeno le sue due gravidanze furono un impedimento: abbandonava le riunioni nelle fabbriche quasi soltanto per partorire. Con il sostegno di Albert si dedicò a collaborare alla creazione dell’Unione delle Donne Lavoratrici di Chicago. Nel 1882 fu riconosciuta dall’Ordine dei Nobili Cavalieri del Lavoro, una sorta di federazione. Un grande trionfo: fino a quel momento la militanza femminile non era stata accettata.

Sempre legata ad Albert. Ed Albert a lei. Non solo per quanto riguarda il sostegno politico, ma condividevano la cura dei bambini e la casa.

La lotta per la giornata di 8 ore divenne la principale richiesta nazionale. Anche le ragazze e le donne dovevano lavorare 15 o 18 ore per guadagnare quanto bastava per mangiare.

Il presidente degli Stati Uniti Andrew Johnson aveva approvato una legge che imponeva una giornata lavorativa di otto ore, ma quasi nessuno Stato voleva attuarla. Gli operai indissero uno sciopero per il 1° maggio 1886. La reazione della stampa fu virulenta. Il 29 aprile, l’Indianapolis Journal parlò delle “ardenti arringhe di delinquenti e demagoghi che vivono delle tasse di uomini onesti”.

Come in altre occasioni, Lucy e Albert marciarono con i propri figli. I Parsons erano in stato di tensione e allerta perché il Chicago Mail, nel suo editoriale, aveva trattato Albert e un altro compagno di lotta come “pericolosi teppisti a piede libero”. E chiedeva: “Indicateli oggi. Teneteli d’occhio. Riteneteli personalmente responsabili di qualsiasi problematica che si verifichi”.

A Chicago, dove le condizioni dei lavoratori erano peggiori che in altre città, gli scioperi e le mobilitazioni continuarono nei giorni seguenti. Il 4 maggio, fu indetta una manifestazione in Haymarket Square. Albert era uno dei relatori.

L’evento si concluse in totale ordine. Avevano partecipato circa 20.000 persone. Cominciò a piovere e i manifestanti se ne andarono. I Parsons decisero di prendere una cioccolata calda al Zept’s Hall.

Erano rimasti circa 200 manifestanti. E contro quelli si scagliò un nutrito contingente di polizia. Una bomba fatta in casa esplose, uccidendo un ufficiale. La polizia aprì il fuoco. Il numero esatto dei morti non fu mai riportato. Fu dichiarato lo Stato di assedio e il coprifuoco. Nei giorni successivi, centinaia di lavoratori furono arrestati. Alcuni torturati.

Trentuno persone furono accusate dell’attentato, otto delle quali definitivamente incriminate. Il processo iniziò il 21 giugno. Dopo aver discusso la situazione con Lucy, Albert si presentò davanti alla Corte esclamando: “Nostri Onori, sono venuto per essere giudicato insieme a tutti i miei compagni innocenti”. Il processo era una presa in giro della giustizia e delle regole procedurali. La stampa aveva lanciato una campagna di condanna. Era un processo politico perché non si poteva dimostrare nulla contro di loro. Un linciaggio. La giuria giudicò colpevoli tutti e otto gli imputati: di questi, tre furono condannati al carcere e cinque all’impiccagione. Albert Parsons era tra i condannati a morte.

Il giornalista José Martí, futuro apostolo dell’indipendenza cubana, era presente in aula. Il 21 ottobre il giornale argentino La Nación pubblicò un articolo su di lui. In questo si descriveva l’atteggiamento di Lucy quando la sentenza fu pronunciata: “Lì, la donna mulatta di Parsons, implacabile e intelligente come lui, che non sbatte le palpebre ai più grandi successi, che parla con feroce energia alle riunioni pubbliche, che non sviene come gli altri, che non muove un muscolo in faccia quando sente la frase feroce […] Si stringe il viso contro il pugno chiuso. Non guarda; non risponde; si vede un tremore crescente nel pugno…”.

Lucy, accompagnata dai suoi figli, iniziò a viaggiare per il paese per quasi un anno. Spiegava la situazione. Parlava di notte e viaggiava di giorno. Ha scritto centinaia di lettere ai sindacati e a varie autorità, sia negli Stati Uniti che in tutto il mondo. La solidarietà che ne nacque fu immensa.

Eppure, l’11 novembre 1887, la sentenza fu eseguita. Anni dopo, Lucy si sarebbe ricordata della mattina in cui aveva portato i suoi figli nel luogo in cui erano detenuti i condannati. Lucy domandò: “Lasciate che questi bambini diano l’ultimo addio al loro padre”. La risposta fu di arrestarli. “Siamo stati rinchiusi nella stazione di polizia mentre veniva commesso un crimine infernale”.

Poco prima di essere impiccato, Albert scrive a Lucia: “Sei una donna del popolo e alle persone ti lascio in eredità…”.

Il 1° maggio, come Giornata Internazionale dei Lavoratori, è stata concordata al Congresso dei Lavoratori Socialisti a Parigi nel 1889. Era un omaggio ai Cinque Martiri di Chicago. L’anno successivo fu commemorato per la prima volta. Lucy partecipò alla manifestazione tenutasi a Chicago.

Era già conosciuta come “la vedova messicana dei Martiri di Chicago”.

I padroni stavano cominciando ad applicare la giornata di otto ore. Il sacrificio non fu vano.

Dopo l’impiccagione del marito, Lucy continuò a viaggiare per il paese, organizzando le lavoratrici e scrivendo sui giornali del sindacato. Nel giugno 1905 era presente alla costituzione dell’organizzazione Industrial Workers of the World a Chicago. Parteciparono solo 12 donne e lei fu l’unica che ha osò prendere la parola. “Noi, le donne di questo Paese, non abbiamo diritto ad alcun voto. L’unico modo per essere rappresentati è avere un uomo che ci rappresenti […] e mi sentirei a disagio nel chiedere ad un uomo di rappresentarmi […] Siamo schiave di schiavi…”. Ha concluso il suo discorso dicendo: “Nessun potere umano può fermare gli uomini e le donne che sono determinati ad essere liberi!”.

Lucy ripeteva che la liberazione delle donne sarebbe arrivata con l’emancipazione della classe operaia dallo sfruttamento capitalistico.

A 80 anni, Lucy continuava a tenere discorsi a Bughouse Square di Chicago. Continuava a dare consiglio, a formare le lavoratrici. Nel febbraio 1941, all’età di 88 anni, fece la sua ultima apparizione pubblica. L’anno successivo, il 7 marzo, già cieca, la morte la sorprese quando la sua casa prese fuoco.

Anche nel momento della morte, la polizia la considerava ancora una minaccia, tanto da confiscarle migliaia di documenti e tutti i libri.

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1 Commento


  • Luciano esposito

    Straziante. Da diffondere!

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