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Gli Stati Uniti cercano l’escalation contro la Cina

La guerra commerciale tra Stati Uniti sta rapidamente diventando una guerra sul piano politico.

Lo confermano l’escalation di accuse da parte del Segretario di Stato statunitense, Pompeo, sul fatto che il Coronavirus sia nato in un laboratorio cinese, accuse che hanno visto la dura replica della Cina affidata alle pagine del Quotidiano del Popolo, che così ha commentato le dichiarazioni di Pompeo: “Non importa quante volte una bugia venga ripetuta o quanto accuratamente venga fabbricata. Resta ciò che è”.

Ma forse i cinesi sottovalutano i danni della dottrina comunicativa del nazista Goebbels, secondo cui una bugia ripetuta continuamente ha serie probabilità di essere scambiata con la verità.

Il dato sicuramente più inquietante è che quella che si va delineando tra Stati Uniti e Cina è ormai una guerra politica, uno stadio superiore di quella dei dazi iniziata prima della pandemia e della crisi globale in cui siamo immersi. Una guerra politica è uno stadio posto a metà tra quella economica e quella militare vera e propria.

A dare un’idea di questo salto di qualità è il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, il quale ha chiesto agli stati membri dell’alleanza atlantica di «proteggere i propri giganti economici dalle acquisizioni dei cinesi».

In secondo luogo va registrata l’attivazione di tutti gli apparati di sicurezza sia degli Stati Uniti che dei Five (Gran Bretagna, Canada, Australia e Nuova Zelanda), i cinque paesi anglossassoni integrati tra loro da una alleanza storica e strategica che da sempre esula anche dalla Nato. Che però sembrano aver smentito di aver “prove” di manipolazione del virus…

Dal 27 marzo la US Defense intelligence agency, il servizio di spionaggio agli ordini del Pentagono, ha comunque cominciato a diffondere l’ipotesi di “incidente e grave negligenza” da parte della Cina. Eppure anche oggi il consulente capo della Casa Bianca per l’emergenza Covid, Anthony Fauci, in un’intervista a National Geographic è tornato a smentire le fantasiose – e pericolose – tesi dell’amministrazione presidenziale degli Stati Uniti. Rischiando, a quanto pare, l’ormai prossimo “licenziamento” insieme a tutta la task force anti-covid…

Ma nonostante smentite ripetute ed autorevoli, il 30 aprile scorso Trump aveva annunciato: «di avere le prove, ma di non poterle dire in pubblico».

Non v’è dubbio che all’innalzamento dei toni contribuisca la campagna elettorale americana; la rielezione o meno di Trump, a novembre, si gioca anche, o forse soprattutto, sull’efficacia della sua amministrazione sull’emergenza Covid-19, una crisi aggravata dal bilancio di morti che secondo alcune stime non sarà inferiore ai 100mila morti, dal boom della disoccupazione di massa negli Stati Uniti.

Alla Casa Bianca si stanno esaminando tutte le opzioni per far scattare vere e proprie rappresaglie economico-finanziarie contro la Cina, azioni che, se avranno seguito, potrebbero innescare una nuova crisi tra le due potenze, dalle conseguenze imprevedibili.

Trump e alcuni suoi collaboratori avrebbero discusso l’imposizione di sanzioni per un valore di mille miliardi di dollari sulle future importazioni cinesi per rifarsi delle devastazioni del coronavirus. Mentre il senatore repubblicano Marsha Blackburn ha ipotizzato addirittura di eliminare i pagamenti di interessi sui titoli del Tesoro statunitense in mano alla Cina.

Su questi scenari si ripropone un conflitto interno all’amministrazione Trump dove oggi pare prevalere la componente della “sicurezza nazionale”, dominata da falchi come il Segretario di Stato Pompeo e dagli esponenti del National Security Council, mentre appare in difficoltà la corrente dei consiglieri economici più disposta alla cautela.

E’ sempre utile rammentare che la Cina è il primo detentore estero di titoli del Tesoro statunitensi, ne possiede quasi 1.100 miliardi, pari al 17% del debito Usa in mano a soggetti stranieri. A marzo molti possessori di titoli Usa hanno cominciato a liberarsene ed è dovuta intervenire la Fed con acquisti massicci (quasi 700 miliardi) per evitare che i tassi schizzassero verso l’alto.

Insomma sia la guerra politica che quella economica degli Stati Uniti contro la Cina non sarebbero certo a costo zero. Non lo era prima della pandemia, figuriamoci adesso, ben dentro l’attuale crisi globale che sta cambiando il mondo in cui abbiamo vissuto.

E, per ora, non vogliamo azzardarci in previsioni sulle conseguenze di uno scivolamento verso  una eventuale guerra militare.

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1 Commento


  • andrea’65

    Redazione
    vi segnalo un interessante articolo de Il Manifesto sull’affaire Trump vs. China.
    Essendo ormai il Petro-dollaro carta straccia, la Cina puo’ imporre la sua valuta, avendo riserve in oro consistenti ( e avendo fatto il pieno di petrolio a costo irrisorio ). In passato Saddam e Gheddafi avevano provato a non usare il dollaro nelle transazioni, ma sono stati democratizzati.

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