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Il riso fanciullesco della Vittoria

La situazione in Donbass, a dispetto delle intese formali, anche internazionali, non accenna a migliorare, soprattutto per la popolazione civile. La Repubblica popolare di Lugansk denuncia come i comandi ucraini continuino a dislocare mezzi militari all’interno delle aree civili occupate dalle forze di Kiev e come, da quelle posizioni, vengono bersagliati i villaggi della LNR prossimi al fronte.

Nelle scorse ore, le milizie hanno captato le comunicazioni radio nemiche tra batterie di mortai della 30° Brigata ucraina e correttori di tiro, da cui emerge come i bersagli civili non siano affatto casuali. In tal modo, sabato scorso, una bimba di 7 anni è rimasta ferita nel bombardamento della propria abitazione a Zolotoe 5.

Così come nella DNR, lunedì scorso, tre bambine di 7 e 10 anni e un uomo di 55 anni erano rimasti feriti nel bombardamento con cannoncini di mezzi blindati della 28° Brigata ucraina sul villaggio di Aleksandrovka, alla periferia di Donetsk; colpiti anche Staromikhajlovka e agglomerati civili nell’area di Jasinovataja. Le forze ucraine bersagliano i rioni civili di DNR e LNR con mortai pesanti da 120 mm, cannoncini di BMP (blindati), lanciagranate, mitragliatrici pesanti.

Da sei anni vive in questa situazione la popolazione del Donbass. Tra le decine di migliaia di morti civili, caduti sotto i colpi delle forze “regolari” e dei nazisti ucraini, si contano anche centinaia di bambini.

Cosa provano i piccoli abitanti delle Repubbliche popolari, per molti dei quali metà o più della vita è trascorsa nel terrore della guerra?

Alla vigilia del 75° anniversario della vittoria sovietica sul nazismo, una di queste giovanissime testimoni delle infamie di un conflitto voluto da centri che mirano al predominio geopolitico e condotto da forze naziste, ha voluto esprimere i propri sentimenti e farne partecipi i coetanei che, in altre parti del mondo, hanno la fortuna di non conoscere gli orrori della guerra.

Faina Savenkova, questo il suo nome, ha appena 11 anni, ma la sensibilità che trasmette, riesce a farci capire come la guerra, in mezzo alle tragedie e ai lutti, ai colpi di cannone che gelano anche il pianto dei piccolissimi, acuisca quelle emozioni che non sempre, in tempi “normali”, siamo in grado di esternare. E la piccola Faina non vuole semplicemente esprimere quello che prova, ma vuole farlo per regalare un sorriso agli altri bambini, anche a quelli che, dopo la guerra potranno tornare a sorridere.

Ecco il suo racconto.

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Buongiorno, mi chiamo Faina. Sono nata e vivo a Lugansk. Ho 11 anni; frequento la Prima classe della Scuola media di fisica e matematica N° 1 di Lugansk e sono la più giovane della mia classe. Scrivo opere teatrali e fiabe; una mia pièce è stata tradotta in italiano. Oltre a questo, da cinque anni pratico seriamente il taekwondo e sono cintura rossa. Mi piace tanto leggere; i miei autori preferiti sono Phillip Pullman, Umberto Eco, Gianni Rodari, Pavel Bažov. Frequento anche uno studio teatrale.

In occasione dell’anniversario della Vittoria ho scritto questo testo e sarei grata se, dopo averlo letto, qualcuno volesse scrivere una breve recensione. Vorrei davvero che i bambini italiani leggessero la mia opera, ma non so se a loro interesserà. Il mio desiderio è quello di dare il mio sostegno ai bambini in questo periodo difficile e regalar loro un sorriso! Cordiali saluti, Faina Savenkova.

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Il riso fanciullesco della Vittoria

La guerra è incursioni aeree, fragore di artiglierie e carri armati, cannonate, spari… La guerra ha tanti suoni e tanti volti. La guerra si insinua furtiva e rovina su di te con tutta la sua forza, quando meno tu la aspetti. E tu ti nascondi, e cominci a contare gli scoppi. Uno. Due. Tre… Oh Signore, ti ringrazio, è caduto lontano. Poi, i cannoni tacciono. E in quel silenzio si può udire il pianto di un bambino. Muti singhiozzi, come il miagolio di un gattino. Ma poi ricomincia il bombardamento, e copre tutto… È per questo che i bambini della guerra sono silenziosi. Sanno che nessuno udirà il loro pianto.

L’estate del 1941 era molto calda. Sotto il sole cocente, i campi bruciavano e i ruscelli si asciugavano, mentre le notti rimanevano fredde e buie. Il paese viveva la propria vita. Nessuno si aspettava che il dolore stesse per bussare alla porta. Certo, le persone sapevano che la guerra poteva cominciare presto, ma cercavano di confidare in una sorte migliore, nel bene. Come noi, nel 2014.

Vasilij, uno dei miei bisnonni, compiva 17 anni nel 1941. Si preparava per essere ammesso all’Istituto, e, aggiungendosi un anno di età, aveva presentato la domanda. Ma il suo sogno non era destinato a realizzarsi. Venne la guerra. C’era altro cui pensare, che non all’Istituto.

La guerra può cambiare molte cose. Può stritolare tantissimi uomini nelle sue macine, portare distruzione e fame. La guerra può cambiare il destino di tutta una generazione, lasciandone nella memoria segni e cicatrici. Ma se tu le resisti, quella pian piano si ritira. E noi ricordiamo i nostri eroi e a che prezzo sia stata conquistata la vittoria.

Tanti o pochi, gli anni rubati alla pace? Per tutti, il 22 giugno è diventata una data che ha cambiato la vita in “prima” e “dopo”. Per tutti quei lunghi, tormentosi anni, i miei nonni e i loro cari lottarono per la vittoria e per la vita. La guerra mise alla prova la loro resistenza, ne forgiò il carattere, li trasformò in uomini. E io sono orgogliosa che nessuno di essi si sia macchiato di tradimento o sia finito tra i polizei.

Il mio bisnonno Vasilij era artigliere. Come molti altri soldati, riuscì a sfuggire all’accerchiamento. Avrebbe potuto arrendersi, ma egli, combattendo, riuscì a riunirsi ai suoi. Rimessosi dai traumi, scappò dall’ospedale per tornare al fronte dai suoi compagni, perché voleva difendere la propria Patria, la propria terra.

Non poteva agire in altro modo. Tutto il Paese non poteva fare in altro modo. In tutto quel tempo, la sua mamma ricevette tre avvisi della sua morte; ed è terribile per me, pensare a cosa ella abbia provato ogni volta. E nonostante tutto, egli combatté fino alla liberazione di Praga e poi rimase in servizio fino al 1949.

L’altro bisnonno e le due bisnonne erano troppo giovani, così che rimasero nelle retrovie. Nessuno sa dove fosse più dura: al fronte o a casa, dove essi lavoravano, al pari dei grandi, dandosi da fare fino allo sfinimento, fino a farsi sanguinare le mani. “Tutto per il fronte! Tutto per la vittoria!”. Per loro, quelle non erano parole vuote; nessuno mugugnava. Ognuno faceva quanto poteva. Essi credevano nella giustezza di ciò che facevano, che si doveva battere il fascismo, per il futuro dell’umanità.

Chi lottava per la vittoria al fronte; chi nelle retrovie. Solo una cosa non cambiava: i bimbi della guerra crescono troppo in fretta e troppo presto. Basta ricordare le imprese delle nostre Giovani guardie o i piccoli divenuti figli dei reggimenti. Per quanto fossero piccoli, cessavano di essere bambini, anche se sognavano lo stesso, come bambini, caramelle e giorni spensierati. Ed essi furono un bastione di quella vittoria.

Io ho undici anni. Vivo a Lugansk e so cosa siano i tiri delle artiglierie e gli attacchi aerei. Metà della mia vita è segnata dalla guerra. Non posso sapere cosa provassero quei bambini come me, in quel duro e terribile 1941. Ma credo che debba somigliare a tutto quello che sopportano oggi i bambini di Lugansk e di Donetsk. A volte mi vien voglia di scrivere una lettera ai miei coetanei del 1941.

Sussurrare loro tante parole di conforto; ma poi ricordo la loro vita e mi rendo conto che non si può che invidiare la loro resistenza e la loro abnegazione. Le vite dei bimbi della guerra non sono storie di disperazione; sono storie di speranza, anche se piene di tragedie. E seppure né allora, né oggi possiamo sapere cosa ci attenda domani e se ci sia per noi quel “domani”, pure marciamo decisi in avanti. Non ci siamo piegati e diventiamo ogni giorno più forti, perché nel nostro sangue scorre la forza dello spirito.

Ogni volta che vado sulle tombe dei miei bisnonni e penso a loro, so che continuerò il loro cammino: andavamo e andiamo nella stessa direzione. E anche io so di sicuro, come loro, che la guerra prima o poi finirà e cominceremo a costruire un nuovo futuro. Memori della guerra, ma fiduciosi nella pace. Un futuro, nel silenzio del quale si potrà udire la preghiera dei bambini per la pace e si potrà udire il loro riso. Perché, quando risuona il riso dei bambini, la guerra si ritira.

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