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9 Maggio: il soldato sovietico liberatore

Sulla Seconda guerra mondiale, sul suo inizio e sulla sua conclusione, si può scrivere dalle angolature più diverse. Si può parlare degli antecedenti, delle premesse, di quali centri imperialisti avessero riarmato e foraggiato la Germania hitleriana per spingerla ad aggredire il primo Paese socialista; si può parlare del diverso contributo portato dalle varie potenze alla sconfitta del nazismo.

Si può ricordare – non per masochistico voltastomaco, ma perché è necessario farlo – l’anticomunismo e l’antisovietismo di chi oggi vorrebbe addossare ad altri le proprie responsabilità: ad esempio, quelle dei tanti patti sottoscritti negli anni ’30 con il Terzo Reich e delle alleanze strette con Adolf Hitler prima del 1939. Parecchio di tutto ciò, e anche molto altro, viene continuamente sottolineato, per sbugiardare le blasfemie anticomuniste.

Alla vigilia del 9 maggio, nelle stesse ore in cui da Varsavia si tornava a sproloquiare sul “Patto Ribbentrop-Molotov” quale “prova diretta della preparazione dell’aggressione congiunta alla Polonia”, sulle colonne di Der Spiegel, il Ministro degli esteri tedesco Heiko Maas, insieme al trito ritornello polacco-baltico sulla data del 8 maggio come “inizio di un’altra forma di illibertà”, ribadiva però anche che “solo Germania ha scatenato la Seconda guerra mondiale attaccando la Polonia”.

Solo la Germania porta la responsabilità del crimine contro l’umanità: l’Olocausto. Chi semina dubbi e scarica su altri popoli il ruolo di colpevole, fa torto alle vittime, strumentalizza la storia e divide l’Europa”.

Dunque, il 7 maggio 1945 veniva firmato a Reims il protocollo preliminare della capitolazione tedesca; il giorno seguente, Wilhelm Keitel per la Wehrmacht, HansGeorg von Friedeburg per la Kriegsmarine e HansJürgen Stumpff per la Luftwaffe firmavano a Berlino l’atto definitivo della capitolazione incondizionata, che entrava in vigore dalle ore 24.00.

Accettavano la capitolazione il maresciallo sovietico Georgij Žukov e il maresciallo dell’aria britannico Arthur Tedder; testimoni (!) i rappresentanti americano e francese. Da settantacinque anni, dunque, il 9 maggio è considerato a Mosca e in buona parte delle ex Repubbliche sovietiche il Giorno della vittoria dei popoli sovietici sulla Germania nazista.

Per essere esatti, si dovrebbe aggiungere che, accettando la capitolazione tedesca, l’Unione Sovietica rimaneva formalmente in stato di guerra con la Germania: il conflitto si concludeva de jure solo il 25 gennaio 1955, con l’adozione della relativa decisione da parte del Presidium del Soviet Supremo dell’URSS.

Oggi, nel 75° anniversario della vittoria dei popoli dell’Unione Sovietica sulla Germania nazista e i suoi alleati italiani, finlandesi, ungheresi, rumeni, slovacchi, insieme alle decine di migliaia di volontari nazisti praticamente da ogni paese europeo, vogliamo limitarci a ricordare un episodio che sicuramente molti conoscono, indicativo del carattere della guerra di liberazione dal nazismo condotta dall’Esercito Rosso, di contro alla guerra di sterminio che i nazisti di tutta Europa avevano condotto in URSS.

Pochi giorni prima di quel 9 maggio, il 30 aprile 1945, quando ancora nella capitale del Reich si combatteva strada per strada, un soldato sovietico, il ventitreenne sergente maggiore Nikolaj Masalov, riuscì a mettere in salvo, sotto il fuoco nemico, una piccola tedesca di tre anni, rimasta sola tra le rovine di un edificio, accanto alla madre morta.

La Tass ricordava nei giorni scorsi il gesto di Masalov, servente di una batteria di mortai, reduce da tre ferite e due contusioni nel corso della guerra, che aveva preso parte alla battaglia per Stalingrado, all’offensiva Vistola-Oder e a tante altre azioni.

Quel 30 aprile di settantacinque anni fa, nella parte centrale di Berlino, poche centinaia di metri a sud del Tiergarten, le forze sovietiche erano bloccate sul Landwehrkanal, che attraversa buona parte di Berlino da est a ovest e lungo il quale passava allora la linea difensiva tedesca.

Mentre si stava apprestando il tiro della “artpodgotovka”, la preparazione d’artiglieria che precedeva sempre gli attacchi delle unità sovietiche, Masalov udì il pianto della piccola e, attraversato in qualche modo il semidistrutto Potsdamer Brücke sul canale Landwehr, bersagliato dai nazisti, si portò sulla riva opposta e riuscì a mettere in salvo la bambina, il cui successivo destino, però, ricorda la Tass, è sempre rimasto ignoto.

Testimone oculare del gesto di Masalov fu il maresciallo Vasilij Chujkov, uno dei protagonisti della battaglia di Stalingrado. Fu lui, successivamente, a suggerire allo scultore Evgenij Vucetic, di utilizzare l’episodio quale soggetto per l’enorme scultura – un bronzo di 12 metri di altezza, per oltre 70 tonnellate di peso – dedicata al Soldato sovietico liberatore nel Treptower Park berlinese, inaugurata l’8 maggio 1949.

Anche se, si deve dire, lo scultore, in un’intervista del 1966 al Berliner Zeitung, sottolineò che il monumento rivestiva carattere simbolico, più che raccontare l’episodio concreto. Il soldato tiene in una mano la spada abbassata sopra la svastica nazista e stringe con l’altro braccio la bimba.

Il monumento, uno dei più celebri dedicati al sacrificio dei soldati sovietici nella guerra anti-nazista, costituisce la parte centrale di un memoriale, che racchiude le spoglie di oltre settemila soldati sovietici, caduti nella battaglia di Berlino.

Anche una targa, apposta nei pressi del Potsdamer Brücke, oggi molto più ampio rispetto all’epoca della guerra, ricorda il gesto di Masalov, morto nel 2001 all’età di 79 anni, e l’episodio è ricordato anche in vari film di guerra di epoca sovietica, oltre che sulla moneta da 1 rublo emessa nel 20° anniversario della vittoria.

Questa fu la guerra anti-nazista dell’Unione Sovietica.

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1 Commento


  • giancarlo staffolani

    per correttezza storica, varrebbe la pena di ricordare che alla guida dell’Unione Sovietica vittoriosa sul nazismo “non casuamente” c’era il Compagno Josip Stalin ..

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